Vinicio Capossela, una firma d’autore oltre il tempo
Di lune e bestiari alla Casa del Jazz
Un racconto di due ore, partendo dagli esordi del cantautore originario dell’Irpinia
Ogni concerto di Vinicio Capossela non può che essere un evento.
Sono davvero pochissimi i musicisti in grado di saper usare, anche contemporaneamente, diversi registri stilistici senza scalfire minimamente il proprio timbro e la propria creatività.
Mi viene in mente Bob Dylan, ad esempio.
E Capossela è sulla stessa strada, intendendola non solo come un confine ma un luogo, come ne scriveva Jack Kerouac, amato da entrambi.
Stasera Capossela si ha voluto regalare un concerto non di nostalgia ma, come lui stesso l’ha definito, «di gratitudine».
Sono passati oltre trent’anni da quel suo primo album, “All’una e Trentacinque Circa” e Vinicio e la sua opera paiono entrambi in grandissima forma.
Tutta la band gigioneggia su una cifra jazzistica che ben si sposa con la location che li ospita, davvero avida di un rilancio artistico troppo tempo atteso.
Così, oltre due ore di concerto vanno via tra un flessuoso piano jazz con incursioni folk e pop polistrumentali.
Vinicio racconta come sono nate le sue opere e scherza anche di avere preannunciato gli eventi che aveva scritto e cantato nelle prime opere.
Alterna musica e reading, con un omaggio a Jeff Buckley tratto dal suo libro “Non si muore tutte le mattine”, e lettura del Belli da parte dell’attrice Sabrina Impacciatore.
Il pubblico ha faticato un po’ a sciogliersi, forse non più abituato ai concerti.
C’è voluto tutto lo sponz di Capossela per farlo saltare dalle proprie sedie.
È davvero un diluvio di emozioni quello che scoppia nelle nostre corde allo scorrere di un album che, con quelle sonorità miste tra Paolo Conte e Tom Waits, segnò l’inizio di una carriere altissima.
‘Resta con me‘, ‘Stanco e Perduto‘, ‘I vecchi Amori‘, ‘All’una e trentacinque circa‘.
Pesca anche dal successivo “Modì” del 1991 con ‘Solo per me‘, per poi le arrivare alle acclamatissime ‘Che cos’è l’amor‘, ‘Odio l’Estate‘ di Bruno Martino passando per l’inedito ‘Sulla terra non è rimasta che follia‘ che apre alle divagazioni ariostesche letterato e governatore.
Non manca nulla dell’immaginario di Capossela, dalla luna ai bestiari fino alla presentazione di della band come fosse un gruppo storico di amici.
Il che, ben si veste nella location dell’esibizione che fu patrimonio della banda della Magliana ben prima di scoprirne la vocazione artistica.
Un serio gioco, quello di Vinicio, che dispensa pennellate di alta cultura e profonda emozione con una solidità umana che pochi artisti possono pregiarsi di avere ma che lo rende unico e riconoscibile nel liquido panorama musicale contemporaneo.
Come una pennellata di Michelangelo in mezzo a migliaia di colori.
Questo è Capossela, anche per chi non è un suo assiduo fan: un tocco di vero ed espresso talento che gozzoviglia e giravolta in se stesso, sbevazzando tra risa e sussurri di chi attende che l’artista poeta col suo cappello e la sua barba entri in scena.
Senza troppo prendersi sul serio, ma prendendo molto sul serio la sua Arte (con la A maiuscola), acchè chi ne usufruisca lo faccia con gioia e con inno alla vita, un po’ sensato e un po’ no.
Come piace da sempre a Vinicio.