Uncle Acid And The Deadbeats, paura e delirio a Milano
Cercare di muoversi in una Milano in pieno delirio da derby è un mezzo incubo, figuriamoci se hai pure la sfiga di abitare nei paraggi di San Siro: il mezzo incubo si trasforma in un incubo intero, al quadrato.
Invocando mentalmente tutti i santi del calendario, riesco finalmente a raggiungere la Santeria, esattamente 3 minuti prima dell’ingresso sul palco dei Gaupa, il quintetto svedese chiamato ad aprire questa intrigantissima serata che vedrà protagonisti anche i canadesi Blood Ceremony e gli Uncle Acid And The Deadbeats, a cui tocca il ruolo di headliner.
Mi sarebbe spiaciuto parecchio perdere il set dei Gaupa, una band che avevo già apprezzato con l’album d’esordio, ma che mi ha definitivamente conquistato con il recente, secondo album “Myriad”.
Provenienti da Falun (Svezia) e con un monicker che in lingua madre significa lince, il quintetto guidato da Emma Näslund propone un interessante melange di stoner, psichedelia e folk, rileggendo il tutto in chiave doom e tinteggiando questo peculiare quadro sonoro con un’appena accennata pennellata progressive.
Il vocalismo di Emma è, direi, centrale nell’economia della band: provate ad immaginare una Bjork in versione psych. Il tempo a loro disposizione non è stato particolarmente generoso, ma in quella mezz’oretta o poco più hanno ben impressionato con un set solido e coinvolgente.
Emma è protagonista assoluta su di un palco che sembra sempre troppo piccolo per contenerla, e non mi riferisco al solo aspetto vocale: la sua è una performance fisica, che risulta esaltata dalla grande staticità dei suoi compagni di banda.
In scaletta troviamo i tre brani di punta di “Myriad”, con particolare menzione per l’opener ‘Mammon‘ (si, questi ragazzi cantano prevalentemente in svedese) e per ‘Diametrical Enchantress‘, un bell’anthem di natura stoner/doom che ben incornicia il peculiare vocalismo di Emma.
Non mancano anche un paio di brani dal debut, tra cui la title-track ‘Febersvan‘, con la quale la band si accomiata dal pubblico della Santeria.
Detto in tutta franchezza, il mio interesse per questa serata era quasi per intero dedicato all’atteso (e graditissimo) ritorno sulle scene dei Blood Ceremony, quartetto di Toronto (come i Rush!) che seguo fin dagli esordi, e che giusto una decina di giorni fa ha finalmente pubblicato, ancora una volta per la Rise Above di Lee Dorrian, il quinto disco, “The Old Ways Remain”, con cui si chiude un silenzio discografico che perdurava dal lontano 2016, quando uscì lo splendido “Lord Of Misrule”.
Da Toronto con furore, la sacerdotessa Alia O’Brien (voce, flauto ed organo) ed i suoi tre accoliti sono progressivamente diventati uno dei gruppi di punta dell’occult rock nordamericano, grazie ad un sound che affonda le proprie radici nei riff dei Black Sabbath e nelle scorribande più rockeggianti dei Jethro Tull, senza nascondere richiami a formazioni più di culto come i Coven piuttosto che i Pentagram, senza disdegnare atmosfere ‘acide’ dal retrogusto psichedelico e deliziosamente retro.
Stiamo comunque parlando di influenze, e non di plagio, perché i Blood Ceremony possono contare su un song-writing efficace e di gran qualità, che permette a i loro brani di vivere di vita propria.
E di questo possiamo rendere merito al chitarrista Sean Kennedy, sicuramente il motore creativo della formazione.
Sul palco però è tutta un’altra storia: da buona sacerdotessa, Alia accentra inevitabilmente su di sé l’attenzione del pubblico, e non solo per questione meramente estetiche.
Gli altri tre fanno il loro sporco mestiere, con Kennedy sempre lì a macinar riff come non ci fosse un domani e a fornire ad Alia la base su cui far svettare la propria voce e, sempre più frequentemente, il suo flauto traverso.
Anche per loro il tempo è tiranno, quindi poche chiacchiere tra un brano e l’altro per lasciare alla musica il maggior tempo possibile.
Nonostante la lunga attesa e la conseguente aspettativa, il nuovo disco trova poca rappresentanza nella setlist di questo show, con la presenza delle sole ‘Lolly Willows‘ (l’orecchiabile singolo già pubblicato nel 2019, e quindi ben conosciuto, per lo meno ai fan della band) e il doom occulto di ‘Ipsissimus‘.
Questo lascia però liberi i Blood Ceremony di dare ampio spazio anche agli album precedenti, che vengono toccati in toto con almeno un brano a testa.
Ha fatto comunque molto piacere poter riascoltare le varie ‘Oliver Haddo‘, ‘Witchwood‘ piuttosto che ‘Half Moon Street‘.
Il fan che c’è in me avrebbe gradito uno concerto di durata superiore, e per quanto mi possano piacere gli Uncle Acid, non nego che un’inversione nell’ordine di apparizione non mi avrebbe certo offeso.
Nel frattempo sono arrivate le 21:30 e, come da programma, Kevin Starrs e compagni prendono possesso dello stage sulle note di ‘Mt. Abraxas‘, inaugurando così il loro secondo show milanese nel giro di un anno (a maggio 2022 avevano aperto per i Ghost al Forum di Assago).
Non molto, anzi direi nulla è cambiato da allora, di nuovo album ancora non se ne parla (si vociferava di un imminente uscita, ma a quanto pare i tempi si stanno allungando), “Wastelands” è dal 2018 che rimane il loro ‘nuovo’ album, e quindi non resta che mettersi comodamente in transenna ed assistere all’ennesima prova di potenza a cui lo zio acido ci ha sempre abituato.
Il palco è a dir poco minimal, così come il comparto luci (o assenza di esso) che (molto poco) illumina ciò che accade in scena, lasciando come unico stimolo visivo il maxischermo centrale su cui scorrono le immagini psichedeliche che da sempre contornano le loro esibizioni live, trasformando il tutto in un’esperienza audio-visiva intensa, con il fuzz sparato a mille che funge da apocalittica colonna sonora al delirio onirico e tossico partorito dal caro, vecchio Starrs.
Non avendo nulla di nuovo da presentare, si pesca a piene mani dai cinque dischi fino ad oggi pubblicati dalla band, con doverosa e gradita prodigalità nel rinfrescare i fasti dal loro capolavoro assoluto, quel “Blood Lust” da cui questa sera ascolteremo ‘Death’s Door‘, ‘13 Candles‘, ‘Ritual Knife‘ e ‘I’ll Cut You Down‘.
L’impatto sonoro è devastante, i quattro di Cambridge pestano come dei dannati e confermano ancora una volta quale sia il loro peso specifico del panorama stoner, con quel sound in cui i Sabbath amoreggiano con gli Stooges, in un polveroso garage inglese di fine anno ’60.
Finale incandescente con una ‘No Return‘ che manda a casa con l’acufene il pubblico che nel corso della serata ha riempito sempre di più il parterre della Santeria.
Il bilancio della serata non può che essere positivo, con i Gaupa che confermano anche in sede live quanto di buono hanno fatto sentire su disco.
I Blood Ceremony hanno incantato ancora una volta e a mio modesto parere avrebbero meritato più spazio mentre gli Uncle Acid hanno fatto per bene il loro sporco lavor, con un concerto sicuramente d’impatto, ma forse un po’ piatto e privo di quelle emozioni altalenanti che si auspicherebbe sempre di provare quando una band di quella caratura sale su di un palco.