Unaltrofestival 2024 | King Gizzard And The Lizard Wizard
Profuma d’Australia la giornata inaugurale di Unaltrofestival 2024, la rassegna che anche quest’anno si accasa presso il Circolo Magnolia, il locale strategicamente posizionato nel bel mezzo del polmone verde che circonda l’Idroscalo di Milano, a poche centinaia di metri dall’aeroporto di Linate. L’estate è alle porte, la stagione concertistica sta entrando nel vivo e con il primo caldo anche il locale si è metaforicamente spogliato offrendosi al pubblico nella sua versione ‘open-air’. Da un paio di settimane a questa parte il meteo qui in città è stato dominato da una pioggia semi-autunnale più che da un sole pre-estivo, destando quindi non poche preoccupazioni per la buona riuscita di una serata che, musicalmente parlando, si preannuncia assolutamente interessante e, come si diceva inizialmente, a tema totalmente ‘down under’. Sia gli attesissimi King Gizzard And The Lizard Wizard che la cantautrice Grace Cummings arrivano infatti da Melbourne, la ridente capitale dello stato di Victoria che occupa la propaggine sud-orientale dell’Oceania continentale.
Dopo aver non poco tribolato per trovare parcheggio, riesco finalmente a raggiungere il Magnolia con quello che pensavo si trattasse di un buon anticipo, solo per scoprire di essere in incolpevole ritardo: alla Cummings è stato consentito di salire sul palco in anticipo rispetto all’orario previsto, garantendole così di poter usufruire di maggior tempo per presentare al pubblico milanese il suo ultimo album, “Ramona”, che nel corso della serata verrà presentato quasi per intero. Splendidamente prodotto da Jonathan Wilson nel proprio studio di Topanga Canyon (California), “Ramona” è un disco decisamente più raffinato e meno diretto dei precedenti “Refuge Cove” (2019) e “Storm Queen” (2022).
Pur mantenendosi sempre in bilico tra indie, rock e folk, i nuovi brani della Cummings offrono maggior spessore compositivo e vengono impreziositi dalla particolare cura posta sugli arrangiamenti, che ne complementano alla perfezione la potente vocalità. In tutta franchezza mi aspettavo di assistere questa sera ad un’esibizione semi-acustica per piano e voce, ma sono stato immediatamente smentito quando la nostra Grace si è palesata sul palco del Magnolia circondata da una formazione classicamente rock con chitarra, basso e batteria…e tanta, tanta voglia di spaccare. Cosa che ha puntualmente eseguito, con un set dove quei raffinati arrangiamenti (quasi teatrali) di cui sopra sono andati immediatamente a farsi benedire, per lasciare spazio ad una performance fisica e a tratti viscerale (tanto da finire ogni tanto un po’ sopra le righe), ben sostenuta dai musicisti che la circondano sul palco. Come si diceva, buona parte del concerto è dedicata al nuovo disco, ma c’è anche il tempo per ripescare dal precedente “Storm Queen” una spettacolare rivisitazione di ‘Heaven’, in compagnia di buona parte dei King Gizzard che si uniscono a Grace e compagni per una jam tanto inedita quanto entusiasmante.
Deve esserci un rapporto molto stretto di reciproca stima ed amicizia tra i King Gizzard e la Cummings, che a performance terminata si piazzerà con i suoi compagni sotto il palco per assistere – cantando e ballando – all’intero set degli australiani. Ecco, poi se lo avesse fatto evitando di stare per due ore proprio davanti alla mia postazione in transenna, avrei gradito anche di più. Però è stato facile perdonarle l’euforia, ad un certo punto si è anche avvicinata per scusarsi dell’intrusione. D’altronde, quello che stavano facendo quei sei pazzi sul palco giustificava ampiamente l’entusiasmo sia di Grace, che di tutto pubblico accorso in massa all’Idroscalo – il concerto ha infatti sfiorato il sold-out, in una location che non è propriamente di dimensioni minimali.
Che dire dei King Gizzard? In una dozzina di anni hanno sfornato una quantità di album in studio che non trova riscontri in tutto il panorama musicale odierno – son ben venticinque, con anni record tipo il 2017 ed il 2022 in cui ne hanno rilasciati cinque, e un 2023 in cui ne hanno pubblicati ‘solo’ tre, e mi pare fin quasi strano che a metà 2024 non sia stato ancora pubblicato qualcosa di nuovo.
Imprevedibili, iperattivi, schizofrenici ed anche un po’ logorroici, i King Gizzard sono una di quelle band che se non ci fossero bisognerebbe inventarle. Difficile se non impossibile, per non dire addirittura inutile, cercare di inquadrarli musicalmente, con quel loro spaziare dal garage-surf al death-metal passando per la psichedelia ed il rock progressivo, con quell’atteggiamento scanzonato ed anche un po’ cazzone che ne caratterizza la performance sul palco.
Comunque, sono le 21:30 quando Stu Mackenzie, Ambrose Kenny-Smith e compagni raggiungono lo stage per dare il via ad un concerto la cui scaletta, ci dicono, non è stata compilata dalla band ma dai loro tecnici, che ne hanno scelto i pezzi. Per dirla tutta, parlare di scaletta ad un concerto dei King Gizzard non ha granché senso, perché tra improvvisazioni, variazioni in corsa, parti jammate e segmenti di altri brani inseriti in maniera solo apparentemente casuale laddove non te li aspetteresti, alla fine quel che conta non è tanto cosa stanno suonando, ma come lo stanno suonando. Con una tale varieganza di stili può risultare difficile accontentare tutti, ed infatti lo show alterna ad una prima parte più ‘tranquilla’ in cui predomina l’improvvisazione, con i singoli brani che tendono a perdere la loro identità, fondendosi tra loro come quando, per esempio, ‘Wah Wah’ confluisce direttamente nella jammata psichedelia di ‘The River’, oppure con l’inedita ‘Mirage City’, questa sera presentata in una sorprendente versione elettrica.
Il momento sdolcinato scatta con ‘Honey’, dedicata dalla band ad una esaltatissima Grace Cummings che ne approfitta per proiettarsi di fronte al palco, sbattendosi come la più fervente dei loro fan. Nella seconda parte dello show ritmi ed energia subiscono una rapida impennata trasportandoci verso il lato più corposo ed oscuro della propria produzione – il sottoscritto ha particolarmente apprezzato il giro di boa: desideravo ascoltare qualcosa da “Omnium Gatherum” e sono stato accontentato con la quasi mezz’ora di ‘The Dripping Tap’.
Volevo sentire come rendevano dal vivo i pezzi heavy da “Petrodragonic” e mi hanno praticamente spettinato con un finale tellurico in cui hanno infilato in sequenza ‘Motor Spirit’ e ‘Dragon’, per poi concludere con la cavalcata thrash di ‘Self Imolate’, preceduta dall’intro di batteria di Michael Cavanagh.
Due ore sono volate e si son fatte le 23.30, ora in cui scatta il coprifuoco che non permette alla band di chiudere in bellezza con ‘Am I In Heaven’, prevista in scaletta ma rimasta solo una buona intenzione causa sopraggiunti limiti d’orario. Finito il concerto l’attenzione si sposta verso il banchetto del merchandise, riccamente fornito di magliette e vinili e letteralmente preso d’assalto dai fan, desiderosi di complementare l’esperienza live con un memento tangibile di una formazione tra le più creative attualmente in circolazione, e che speriamo di rivedere presto calcare i nostri palchi. D’altronde, quando vai a vedere i King Gizzard non puoi sapere cosa ti riserverà il concerto, ma puoi star certo che, in ogni caso, sarà un concerto diverso dal precedente. E proprio qui sta la forza di questo straordinario sestetto australiano.