Una Striscia di Terra Feconda, al festival brillano le Nout
Tra le proposte dell’evento all’Auditorium Parco della Musica spicca il trio francese Nout
Una proposta emergente che conquista e incanta
Allora Ra scagliò una maledizione su Nut in modo che non potesse avere figli in qualsiasi giorno dell’anno. Affranta, Nut andò da Thot, il 3 volte grande Dio della conoscenza […] che le voleva bene. […] Thot andò da Khonsu, il Dio della Luna, e lo sfidò a senet. Partita dopo partita, hanno giocato ed ha vinto sempre Thot.*
Il cielo era donna.
Per gli antichi egizi Nut era la dea dal corpo blu cosparso di stelle che lo rappresentava.
Era in origine unita a Geb, la Terra, che invece era uomo, e successivamente da essa separata per ordine di Ra, il dio del sole.
Nut ingoiava il Sole al tramonto, e lo restituiva agli esseri umani al mattino dopo e faceva altrettanto con le stelle in un eterno ciclo di morte e rinascita.
Simbolo di rigenerazione e per questo strettamente legata all’idea della resurrezione è raffigurata sempre nei sarcofagi.
Ispirate dalla dea, tre musiciste francesi, la flautista Delphine Joussein, l’arpista Rafaëlle Rinaudo e la batterista Blanche Lafuente, danno vita a un’espressione in musica che, in questo eterno ciclo di morte e rinascita, si presenta come un possibile punto di contatto tra Sun Ra e i Nirvana.
Così, nel settembre 2021 Nout si presenta al mondo con un Ep che porta lo stesso nome.
A distanza di un anno spiega le ali plana sulle correnti del Mistral per manifestarsi nel suo essere esplosivo e rivoluzionario all’Auditorium Parco della Musica di Roma, nell’ambito della rassegna “Una Striscia di Terra Feconda”, festival franco-italiano di jazz e musiche improvvisate, difficilmente classificabili.
Già, perché se si escludessero gli strumenti, il palco delle Nout potrebbe benissimo essere scambiato per quello di un power trio metal-punk o garage.
Un set di effetti a pedale davanti alle postazioni di flauto e arpa elettrica che farebbe la gioia di centinaia di chitarristi smanettoni e una batteria essenziale e aggressiva, con l’unico indizio rivelatore di una matrice jazz dato dal diametro della cassa.
Dietro al flauto troneggia un Mark Bass, dove entra uno dei due canali stereo dell’arpa, la cui seconda uscita invece termina in un ampli Fender per chitarra.
Durante la performance le musiciste sono vicine l’una all’altra, ciò si riflette nel livello di ascolto e attenzione reciproca e in un suono multiforme, che da rarefatto e seduttivo, prende improvvisamente fuoco in esplosioni liberatorie di improvvisazioni elettriche e noise.
Ma la musica delle tre ragazze francesi può diventare anche un viaggio su un tappeto volante intorno ai pianeti del sistema solare.
Fanno capolino sonorità ed echi dell’Hendrix più lisergico, sperimentatore e psichedelico di “Third Stone from the Sun” o delle cavalcate psichedeliche dei Pink Floyd di “Ummagumma”.
Proprio come la quasi omonima dea egizia divorava Ra, le Nout divorano il sole e ci accompagnano dalle profondità del cielo a quelle del centro della terra, dentro laghi incandescenti di nichelio e ferro.
Le ambientazioni si fanno più oscure, i loro strumenti prima ipnotizzano e accarezzano, e poi sono portati al loro limite, esplorando ogni possibilità sonora.
Si può partire con dolcezza, come una passeggiata in un campo di lavanda della Provenza, con l’arpa che intreccia tessiture che ricordano atmosfere new age di Andreas Vollenweider, per arrivare a momenti di climax energetici, quando il flauto passa dentro echi, riverberi, harmonizer, distorsori e, tra feedback e grida, è un serpente che avvolge nelle sue spire, in un crescendo di cerimonie pagane e feste di streghe nelle notti di luna piena.
Il tutto mentre la batteria, tribale e percussiva, trema e letteralmente esplode, portata al massimo della tensione durante la danza di un rito animistico woodoo.
Ma così come la dea Nut, che al termine della notte faceva risorgere il sole, quando sembra essere arrivato il momento più infuocato e oscuro della notte di Sabbath, nella musica del trio francese tornano sinuosità, ariosità, morbidezza.
E tra divertissement dedicati ad anatre e polpette e aneddoti sulla difficoltà di imbarcare un’arpa elettrica in aereo, arrivati all’ultima pagina della fiaba, le streghe che hanno officiato il rito ci prendono per mano e ci offrono la loro mela più rossa.
E noi possiamo scegliere di diventare vittime del loro incantesimo, senza addormentarci in un sonno eterno, ma magari innamorandoci: che poi, in fondo, è la stessa cosa.