Turnstile: Baltimora chiama, Milano risponde
Dopo l’esibizione dello scorso anno nell’ambito dell’AMA Music Festival, i Turnstile tornano quest’anno in Italia per un’unica (attesissima) data, organizzata da All Things Live presso il Circolo Magnolia di Segrate. È un’afosa serata di giugno, con un cielo che, pur non promettendo nulla di buono, per una grama volta avrà pietà di noi. Che l’attesa fosse parecchio alta per questo concerto lo comprendiamo fin dall’arrivo nei pressi del Magnolia, un locale in cui il grado di affollamento risulta direttamente proporzionale alla distanza tra il box-office e dove trovi parcheggio. Se, come questa sera, per trovare un posto auto devi arrivare praticamente sotto la ruota panoramica del Luna Park, ci son buone probabilità che lo show sia in odore di sold-out.
Con Mario Carina, questa sera privato della gioia di immortalare con la sua macchina fotografica le gesta della formazione di Baltimora, accediamo al locale mentre il gruppo spalla sta iniziando il proprio set. Si tratta dei DITZ, quintetto inglese di Brighton che era già passato qualche mese fa da Milano, quando aprirono per gli IDLES all’Alcatraz. Pur penalizzata dai (pessimi) suoni che hanno caratterizzato l’intera serata, la band ci ha piacevolmente sorpreso con il suo post-punk di derivazione hardcore con qualche neanche troppo celata concessione brit-pop.
La band è guidata da un front-man ambiguamente carismatico come Cal Francis, resosi protagonista di una performance viscerale ed acrobatica, che lo ha visto più volte cercare il contatto diretto con il pubblico fino a spingersi nel più classico dei crowd-surfing ed a scalare il palco del Magnolia. Le chitarre dei DITZ macinano riff su riff sull’ossessivo tappeto ritmico intessuto da Caleb Remnant (basso) e Sam Evans (batteria). Non stupisce che abbiano aperto per gli IDLES, dal momento che, musicalmente parlando, mostrano parecchio in comune con la band di Bristol. A parte la serata odierna da spalla ai Turnstile, i DITZ sono impegnati in diverse date nel nostro paese – se vi capitassero a portata, non fateveli sfuggire.
Durante le operazioni di approntamento del palco, ne approfittiamo per dissetarci e gettare uno sguardo verso l’eterogenea folla che ci circonda. Un vero e proprio melting- pot che vede convivere, gomito a gomito, non meno di tre generazioni di fan accorsi in riva all’Idroscalo per applaudire finalmente dal vivo la grande speranza bianca dell’attuale scena post-hardcore e crossover. Sono e 21.45 quando le luci si spengono e la band irrompe sul palco con ‘T.L.C. (Turnstile Love Connection)’, più che un brano una dichiarazione di intenti. Sono meno di due minuti devastanti, perfetti per aprire un concerto che nel giro di pochi secondi trasforma le prime file in una sorta di frullatore umano dal quale, vista l’età, ci terremo accuratamente alla larga.
Stante il clamoroso successo di critica e di pubblico, era inevitabile che “Glow On” diventasse, di fatto, il cuore di ogni show dei Turnstile. Questa sera non fa differenza, con la scaletta occupata da ben undici estratti da quell’album che ha tracciato un profondo solco tra i promettenti Turnstile dei primi dischi e la brillante realtà odierna in cui si sono trasformati.
Brandan Yates sul palco è un’animale scatenato e tiene in pugno un pubblico adorante che per tutto il concerto canterà insieme a lui, saltando e sudando come se non ci fosse un domani, costringendo i diversamente giovani come chi scrive ad una ritirata tattica nelle retrovie. Una decisione saggia per la salute, ma decisamente deleteria per le orecchie: i suoni (e i volumi) già non esaltanti in partenza, alla nostra postazione arrivano anche peggio, con le chitarre di Pat McCrory e Meg Mills che non graffiano quanto dovrebbero e, in generale, abbastanza confusi e privi di mordente.
Fedeli al principio secondo il quale è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente, nel giro di un’ora e senza una parvenza di encore, tutto finisce con una furiosa ‘Holiday’ che chiude in bellezza la serata, e spedisce a casa felice e stremata la gran parte del pubblico.
Tutto bene, quindi? Beh, proprio tutto anche no. Ferma restando la positiva impressione che i Turnstile hanno lasciato a tutti (noi compresi), lo show non è stato del tutto privo di ombre, a partire dalla gestione dei suoni, a tratti davvero pessima. Non possiamo poi nascondere qualche perplessità in quelle poco comprensibili pause tra un brano e l’altro, a spezzare inspiegabilmente quel flusso di energia che in concerti di questo genere dovrebbe scorrere ininterrotto. Così come poco senso troviamo nell’infilare in un’ora di set un assolo di batteria, soprattutto se poi non intendi concedere alcun bis. Daniel Fang è un gran bel drummer, ma i Turnstile non sono i Dream Theater, e a memoria non ci risulta di aver mai visto un assolo di batteria in un concerto hardcore.
Non avendoli mai visti live prima d’ora è per noi difficile giudicare, e tutto sommato queste piccole distonie potrebbero essere state banalmente il frutto di una serata un po’ così.