TOdays Festival 2022: Tash Sultana, Black Country New Road, Hurray For The Riff Raff, Eli Smart
TOdays Festival | Day 01
26 agosto 2022
Comincia tutto con un addio.
Perseverare diabolicum, non faccio nemmeno in tempo che l’inflessibile addetto alla sicurezza del TOdays Festival, che si apre oggi nella sede dello sPAZIO211, area tra capannoni industriali in via di riqualificazione della periferia nord di Torino, mi ricorda che, in quanto infiammabili, sono costretto a lasciare il miracoloso flaconcino sanificante e l’ancor più miracoloso spray al fior di piretro nello scatolone posto subito dietro al banchetto dei controlli.
Con gli occhi ancora lucidi per la brusca separazione, accedo all’area del Festival e scopro improvvisamente un improvviso abbassamento dell’età media degli spettatori dei concerti rock.
I vecchi come me li riconosci subito: sono quelli che indossano magliette di qualche band, con la t-shirt verde militare degli Idles che la fa da padrone.
Mi chiedo se non stia succedendo qualcosa nel mondo del pubblico dei concerti.
O forse stia succedendo qualcosa solo nella mia carta d’identità, alla voce “data di nascita”.
È una nuova linfa per il mondo delle groupies, che languiva campando di ricordi da troppi anni?
O sono io che mi cullo nell’illusoria e inutile convinzione di essere giovane tra i giovani?
Preferisco non approfondire e godermi la prima giornata del festival, che ritorna a pieno regime, senza distanziamento e con un programma della prima giornata che sembra cucito su misura per incontrare i gusti di questa nuova ondata dei fan del rock.
Pochi minuti e si apre con Eli Smart, cantautore di origine hawaiana, di base in Regno Unito da diversi anni, catapultato sul palco all’ultimo istante in sostituzione dei Geese.
Accompagnato da una band giovanissima, nella quale spicca il suo corista in perfetto stile Honolulu, l’artista propone un brit pop con alcune influenze funky e soul e sonorità delle Hawaii.
Canzoni scanzonate, con un buon tiro e ben suonate.
Si balla e ci si lascia andare.
I ragazzi sul palco si divertono e, complice anche il discreto italiano parlato da Smart, che ha trascorso una buona parte dell’adolescenza in Veneto, si crea un buon feeling con il pubblico.
Insomma, si diverte anche il pubblico, alle pischelle e ai pischelli piace ed è giusto così.
E mi diverto anche io.
Il tempo di tornare dall’area Food and Beverage, ed è il turno di Hurray For The Riff Raff.
È un progetto collettivo di Alynda Segarra, cantautrice portoricana del Bronx, che da tempo ha spostato in Louisiana il centro della sua attività artistica.
Proveniente dalla tradizione folk made in Usa, ha risciacquato i suoi panni nel punk delle maestre del genere.
Nel suo background ritrovo sfumature di Patti Smith e Chrissie Hynde, e la sua proposta si inserisce all’interno di un preciso filone di cantautorato di denuncia e di impegno politico e sociale.
Canta contro l’ossessione americana per le armi, per tutti i diritti delle donne.
E canta di sé stessa, delle sue fragilità, della sua vocazione al martirio, come nel caso in ‘Pointed At The Sun‘, forse il suo brano più doloroso e intenso.
Consapevolezza ed energia sono i cardini della sua arte, sul palco è spontanea e generosa.
Per questo arriva al pubblico che la apprezza e la sostiene.
Successivamente è il turno di una delle band più attese: i Black Country, New Road.
Tre ragazzi e tre ragazze inglesi di Cambridge, band rivelazione del 2021, confermatasi nel 2022, che fino a quattro mesi fa erano in sette. Immediatamente dopo l’uscita del loro secondo album, “Ants from Up There”, Isaac Wood (chitarrista, cantante, frontman e autore di tutti i testi) ha lasciato la band.
La storia purtroppo è la solita: eccesso di pressione e ripercussioni sullo stato di salute mentale dei più sensibili.
Dopo l’annullamento di tutti i concerti primaverili, la band si ripresenta sul palco del TOdays Festival con un set rivoluzionato.
Nessun frontman riconosciuto, ma un collettivo che si passa vicendevolmente il testimone.
A cantare sono a turno Tyler Hyde, bassista, Lewis Evans, sassofonista e flautista, May Kershaw, pianista.
Nella loro esibizione torinese non è presente nessun brano inserito nei loro precedenti lavori.
I loro brani hanno una struttura narrativa complessa e articolata.
L’ultima avanguardia del post rock d’oltremanica.
Stravolgono la forma canzone, facendosi beffe delle sue regole e passano in pochi secondi da atmosfere folk con orchestrazione e arrangiamento da camera, a esplosioni rumoristiche sperimentali e ricercate, non disdegnando un pizzico di teatralità sulla scena.
La voce da crooner timido di Lewis Evans, canta canzoni apparentemente innocue, sostenute però da rullate tribali di batteria e basso martellante e incalzante.
Il loro abbigliamento è così naïf da far pensare che possa anche essere tutto studiato, ma probabilmente così non è e ne guadagnano in naturalezza.
La loro scalata alle classifiche inglesi ha conferito loro una buona fan base, che ringraziano da par loro applaudendo di rimando al pubblico.
Alle 22.40 è il momento di Tash Sultana.
Sale sulla scena come una bambina monella alla quale i grandi hanno restituito i suoi giochi preferiti.
Intorno a lei un arcobaleno LGBT di tubi luminosi al neon, e da due serpenti, richiamo al suo secondo album “Terra Firma”, legame con la sua Australia e archetipo di mutazione e cambiamento.
Forse la talentuosissima polistrumentista di Melbourne è impegnata nello scrollarsi di dosso l’etichetta di fenomeno buskers, restando al contempo sé stessa e mantenendo l’energia, la spontaneità, la passione, l’immediatezza genuina di chi, come lei ha la missione di costruire un mondo fatto di suoni per sé e per chi vuole appartenervi.
Usa i suoni come se fossero mattoncini della Lego con cui costruire infiniti universi.
Apre con ‘Big Smoke‘ e ‘Mystik‘, primi due pezzi del suo album d’esordio “Flow State”.
Salta impazzita tra loopstation e pedali di ogni tipo, delay, compressori, riverberi, drum pad, percussioni, cambi volanti di chitarre e bassi, sassofoni, tastiere e synth.
Padrona del palco, si prende tutto lo spazio, salendo su due pedane rialzate poste ai lati.
Il light show è d’effetto, sullo schermo in fondo al palco un’animazione grafica delle piramidi di Giza che diventano vulcani in eruzione, lascia spazio ai serpenti e a simboli taoisti
Il suono prende tra le sue mani mille diverse forme, mentre continua a regalare meraviglie e stupire ora con il sax tenore, ora con flauto e tromba, ora riprendendo la sua adorata Stratocaster celeste.
Usa magistralmente e creativamente gli effetti a pedali, sui quali giganteggiano i suoi amati loop e fuzz, modula la sua voce capricciosa e graffiante e sperimenta con i reverse delay a chiusura dei pezzi.
Passa dai groove reggae sui quali si perde in improvvisazioni che trascinano a ballare l’intera platea, a momenti pop più raffinati e ricercati della seconda parte quando, accompagnata dalla sua band, esegue i brani del suo secondo album, “Terra Firma”, in cui fonde insieme funky, rap, rock, jazz, reggae e soul.
Nell’ultima parte torna da sola.
Esegue una versione intensa e commovente di ‘Notion‘ e l’immancabile quanto attesa ‘Jungle‘.
È impossibile restare fermi davanti all’esplosione del suo talento e della sua energia, il suo solo finale con l’inconfondibile fuzz e un sapiente e creativo uso della whammy bar ci ricorda di essere teneri e indulgenti con una bambina più fragile di quanto sembri, e di raccogliere l’invito di giocare con i suoi suoni e con lei.
È la sola cosa che ci chiede Tash Sultana.
In fondo è la sola cosa che ci chiedono gli artisti.