TOdays Festival 2017, day 2: la serata nostalgica
26 agosto 2017, Spazio211, Torino. Tra le serate del TOdays Festival, decido che quella con Richard Ashcroft è “la nostalgica”. Certo si tratta di un ragazzo che non ha mai smesso di fare dischi e concerti, e che ha sempre avuto una sua vita artistica. Ma in tutta la sua carriera c’è stato un momento decisivo di straordinaria popolarità: il disco “Urban Hymns” con i Verve. E la nostalgia è tutta per quegli inni urbani, sinfonie dolciamare, che sono stati la colonna sonora del tramonto degli anni 90 e del brit pop.
L’importanza del numero 20
Dunque anche questo concerto va ad inserirsi nell’inesauribile filone dei “20 anni dall’uscita di…”, che negli ultimi tempi sta imperversando. Gli anni dieci del terzo millennio, forse, verranno ricordati musicalmente come quelli delle celebrazioni dei “20 anni dall’uscita di…”.
Perché proprio il numero 20 funziona così bene? Su questo si potrebbero fare le ipotesi più disparate. 10 anni è troppo presto. 25 è una cifra un po’ forzata. 30 inizia ad essere troppo lontano. 50 anni è bello rotondo ma c’è il rischio che la celebrazione la faccia qualcun altro, causa indisponibilità in vita dell’artista.
Invece 20 anni è perfetto, l’artista è ancora relativamente giovane, si concede volentieri un rabbocco di hype per rimandare l’inevitabile declino, e anche il suo pubblico è ancora giovane abbastanza da venirlo a vedere in concerto.
I concerti della seconda serata di TOdays
Partiamo dall’inizio. A causa del pacco di Wrongonyou, i concerti iniziano più tardi e c’è tempo di oziare con birretta e passare in rassegna le magliette che alcuni del pubblico indossano. Un fan indie non indossa la maglietta dell’artista che va a vedere, ma di “qualcuno simile a…” o della stessa scena musicale. Dunque immaginiamo che quello che indossa Sigur Ros sia venuto per Perfume Genius. Quello che indossa Pop X sia venuto per Giorgio Poi. Quelli che indossano Blur, Stone Roses, Rolling Stones siano venuti per Richard Ashcroft. E quello che indossa Richard Ashcroft, beh, probabilmente è del suo staff. Un’altro addirittura è completamente avvolto da una Union Jack ed è il vincitore assoluto.
Ogni anno ci sono quei 4/5 nomi italiani che suonano a qualunque festival indie di qualunque angolo d’Italia. È normale dunque incappare in uno di quelli di quest’anno: Giorgio Poi. L’attacco della sua canzone famosa ‘Tubature‘ mi sembra quello di ‘Ricordati di me‘ di Venditti. Per il resto, solite storie un po’ da letto sfatto, frigo vuoto, noia di città.
Stasera Perfume Genius è forse un “electro pride” che fa da contraltare al “machismo rock” dei divi dell’onda brit (di cui dopo avremo autorevole rappresentante). In più, reagisce con una certa verve (è il caso di dirlo) ad alcune frasi omofobe di qualcuno nel pubblico.
Accompagnamenti misurati, e una performance che trova nella fisicità l’espressione più intensa, fino all’esplosione finale dell’altisonante ‘Queen’. Che poi Freddie Mercury è sicuramente tra i suoi miti, e ne ha preso le movenze più sensuali.
Richard Ashcroft è ancora dimagrito
Richard Ashcroft sale sul palco spaventosamente magro (livello “fame nel mondo”), praticamente uno spillo la cui capocchia è rasata e questo lo fa apparire ancora più magro. Indossa occhialoni scuri che “suonerà” poi sopra la chitarra tipo slide guitar. Inizia con il recente singolo ‘Out of my body’. Il profilo Facebook di TOdays ci aveva già spoilerato la scaletta, e i nostalgici sanno che verrà il loro momento.
La seconda canzone è ‘Sonnet’, traccia numero 2 di “Urban Hymns” dei Verve. Se dovessi fare una compilation delle più belle tracce numero 2, beh, ‘Sonnet’ sarebbe sicuramente dentro (alla numero 2). E così via: il concerto unisce i pezzi più recenti a quelli di “Urban Hymns”. Ovviamente anche ‘Song for the lovers’, prima canzone da solista che seguiva di poco gli inni urbani del 1997.
L’ex leader dei Verve ha un modo tutto suo di proporre le sue canzoni, che già sono lunghe, e poi non si capisce mai bene quando finiscono. C’è sempre una coda strumentale di svariati minuti in cui Richard ripete frasi del testo, scalda il pubblico, fa battere le mani, improvvisa concetti, prende la chitarra, la toglie, e dubito che i musicisti che lo accompagnano sappiano bene cosa ha in mente. Ma il bello è che il pubblico lo segue con un coinvolgimento e una tenacia sorprendente.
Lo vedi da come si muove: Richard Ashcroft è un rapper mancato. È un pugile dei pesi mosca/paglia/superleggeri. È un ragazzo che ti abbraccia forte, anche se è pelle e ossa.
Dopo ‘Lucky man’, pausa siga per la band, e Richard Ashcroft torna sul palco da solo con la chitarra acustica a cantare ‘Check the meaning’ e ‘The drugs don’t work’. La canzone finale è ovviamente ‘Bittersweet symphony’: un giorno mi sono chiesto quante volte di preciso l’ho ascoltata nella mia vita e il risultato è questo.
Fotografare la nostalgia
Nella mia esperienza di concerti visti (più o meno 20 anni, pure io: devo pensare a un tour celebrativo?), questo costituisce il record incontrastato di riprese col cellulare dal pubblico, letteralmente un muro di display luminosi soprattutto durante un paio di pezzi dei Verve. Avvistato anche uno che riprende con un tablet, ma a sua discolpa devo dire che lo usa con parsimonia. Sono un hater convinto di quelli che riprendono col cellulare (quindi ero un hater praticamente di tutti) ma persino io mi sono concesso una piccola instafoto.
Per fortuna abbiamo una gallery di foto belle a cura di Francesco Dabbicco, di cui in questa pagina c’è una selezione. Per leggere com’è andata la serata “imperdibile” abbiamo il live report di PJ Harvey e Mac Demarco. Ora invece ci sarà la serata che definisco “americana” con gli Shins e i Band of Horses. E dalla “nostalgia” è tutto, linea allo studio.