TOdays Festival 2017, day 1: la serata imperdibile
E venne il giorno in cui il torinese in vacanza tornò in città, e scoprì che i biglietti per il concerto di PJ Harvey a TOdays Festival erano sold out. Prima fu il disappunto, poi seguì un generico sondaggio fra gli amici per vedere se qualche biglietto avanzava (“ma sì, sicuramente trovo chi ne ha uno in più”). Dopo tante risposte negative, il torinese tornato dalla vacanza iniziò a preoccuparsi: lo scenario che sperava (una rivendita di massa tipo lo strano caso dei biglietti dei Radiohead) era completamente illusorio. Ultimi giorni: una ricerca tanto affannosa quanto infruttuosa sull’evento Facebook di TOdays. E poi, il 25 Agosto 2017, l’extrema ratio: presentarsi davanti a Spazio211, sede del festival, e chiedere a tutti i passanti se hanno biglietti che avanzano. Sarà riuscito il torinese tornato dalla vacanza ad acciuffare il ticket per PJ Harvey?
Qualcuno forse sì, grazie a un’extrema botta di culo. Molti no. Probabilmente qualcuno ha fatto la follia comprandolo ai bagarini (prezzo del biglietto abbordabile, 25 euro, ma i bagarini lo rivendevano a tre volte). Tutto ciò la dice lunga sul fatto che la prima giornata del TOdays Festival è una specie di evento nell’evento che smells like imperdibile.
Pomeriggio discografico: What’s Next?
Il TOdays non è solo concerti, è anche una serie di eventi “off” (ToLab) a ingresso gratuito che gravitano intorno alla periferia nord di Torino. Per quanto possibile cerco di andare a qualcuno di questi.
In “What’s Next” (Galleria d’arte Gagliardi e Domke) si parla di nuove fruizioni della musica, insieme a rappresentanti di businness e giornalismo: Youtube, Rumore, Sony Music, organizza Rockol. A colpire l’ingenuo che è in me è il discorso del discografico di Sony, che spiega come è cambiato il mercato dall’epoca dei dischi. Una volta il meccanismo era dall’alto (casa discografica) al basso (pubblico). Ora al centro è il consumatore, che ha accesso a tutta la musica che vuole, che decide cosa gli piace e cosa no, e il mercato si orienta di conseguenza. Un discorso che ha il pregio di scrollarmi di dosso un po’ di romanticismo old style del tipo “la musica che vale vincerà!” ma allo stesso tempo mi atterrisce, perché vuol dire che i gusti del consumatore (oggi più che mai) sono sovrani.
I gusti musicali della maggioranza degli italiani mi fanno rivalutare le posizioni dell’Isis. Inoltre, da migrante digitale, devo anche adeguarmi alle leggi smart dei nativi digitali. Vado verso l’area concerti covando questi pensieri fondamentalisti, intanto lo steward all’ingresso di Spazio211 mi controlla per bene.
I giovani: Birthh e Giovanni Truppi
Ma pensiamo alla musica suonata: iniziano i concerti. È la cantante indie Birthh a inaugurare il festival.
Poi c’è il napoletano Giovanni Truppi, da solo con il suo piano, e i tanti personaggi delle sue canzoni. Abbiamo Giovanni (se stesso), Francesco (il Papa), Superman (supereroe), Nessuno (“Il mio ragazzo si chiama Nessuno – Nessuno è il mio ragazzo”) e molti altri. Rivelazione.
PJ Harvey e il suo supergruppo
Poco dopo il tramonto entra PJ Harvey. Eccola, minuta ed enorme allo stesso tempo, sovrana di una folta band totalmente maschile che la attornia e la accompagna con strumenti, percussioni e cori quasi gospel. In mezzo a tutto questo testosterone, Polly Jean è leggiadra fatina in nero.
Per suonare le canzoni del suo ultimo album “The hope six demolition project” PJ ogni tanto suona il sassofono. Ai fiati c’è anche il buon Enrico Gabrielli, che con il chitarrista Alessandro Stefana compone la parte italiana della band. Poi c’è la sezione “Nick Cave” con Mick Harvey e James Johnston. Ovviamente John Parish, e molti altri, insomma c’è tutta una line-up a sé in questa parte di line-up.
Mi spiace dirlo ai torinesi rimasti senza biglietto ma trattasi di concerto memorabile. Lo speravamo più lungo, ma sembra che le tempistiche dello spettacolo del suo tour siano abbastanza fisse.
E poi c’è Mac Demarco
Quando in primavera era stato annunciato il nome di Mac Demarco, tutti intorno a me sono usciti professandosi fan accaniti da sempre. E forse era vero. Confesso la mia ignoranza: non sapevo proprio chi fosse questo giovane canadese con questo nome buffo e zoppicante. Come me lo immaginavo uno che si chiama Mac Demarco? Beh, come in effetti è: un tipo strambo, simpatico, che si fuma cento sigarette e ne regala qualcuna al pubblico, che fa un po’ lo scemo ma sotto sotto è molto bravo a suonare e comporre, che gioca a fare il crooner un po’ scassone, con qualche movenza un po’ alla Jack Black quando fa il cantante in “Alta fedeltà”.
La personalità forte prevale sulle canzoni, almeno dal vivo, ma certamente ha una sua maniera unica, sognante e (incredibile) elegante nello scrivere musica pop. Il nodo di una performance di un tipo come lui è: “cosa diavolo farà o dirà o si inventerà tra un pezzo e l’altro?”
La notte è giovane ma io sono vecchio, e la mia serata si conclude qui. I più smaniosi dei dj-set proseguiranno all’ex Fabbrica Incet. Della trilogia di serate questa è stata “l’imperdibile”, ma ora già mi aspetta “la nostalgica” con Richard Ashcroft, e infine “l’americana” con gli Shins e i Band of Horses.
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