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Thom Yorke, un corpo alieno emettitore di impulsi

Ferrara, 18/07/2019

Come ogni anno, anche l’edizione 2019 di Ferrara Sotto Le Stelle regala grandi soddisfazioni e grandi nomi: Piazza Castello è tutta di Thom Yorke per una delle cinque date italiane con cui l’istrionico musicista inglese si toglie la maschera da leader dei Radiohead e indossa quella di artista sperimentatore e d’avanguardia.
A pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di “Anima”, terzo album solista che segue gli apprezzatissimi capitoli di “The Eraser” e di “Tomorrow’s modern boxes”, il pubblico di Ferrara è pronto a mettere alla prova le evoluzioni sonore, e non solo, della discografia parallela del frontman di uno dei gruppi più influenti e rivoluzionari degli ultimi venticinque anni.
In apertura, il percussionista e compositore italiano Andrea Belfi, qui in veste di solitario batterista.

Thom Yorke si presenta da subito in tutte le sue innumerevoli sfumature: attacco limpido al piano elettrico con ‘Interference‘ a voce piena, imbraccia la chitarra per ‘A brain in a bottle‘ intensificando ed elettrificando, caricando coi bassi che nel gioco di basi risultano fondamentali.
Molla poi tutta la strumentazione e ‘Impossible knots‘, oscura e compressa, lo vede indaffarato col solo microfono, muovendosi in perfetto stile Thom Yorke.

Non c’è alcuno stacco tra un pezzo e l’altro, solo un graduale cambio di tempo quasi impercettibile se non lo si prova a cogliere con un orecchio attento.
L’impatto di Thom Yorke è alieno ed extracorporeo, solo alcune -poche- sferzate di chitarra vera riportano sulla terra, il resto è tutto attorcigliato intorno alle percussioni elettriche ficcanti.
Non c’è separazione tra le linee strumentali, i suoni sono un tutt’uno, un agglomerato, con la voce che viene in qualche modo assorbita.

Lo stesso si può dire degli effetti visivi, curati e guidati da Tarik Barri che merita un posto sul palco e non dietro le quinte come in genere accade a chi segue la parte visual.
Nel progetto e nella testa di Thom Yorke (e del braccio armato di Nigel Godrich, anch’egli sul palco a completare la triade diabolica) la parte visiva non è un qualcosa a sé, ma viene incorporata sulla scena.
Non è una novità o una sorpresa questa predominanza, ma è come sempre un approccio difficilmente inimitabile.

Mano a mano che il concerto prosegue, la figura di Thom Yorke sembra quasi impersonificare un corpo che emette impulsi, sonori come visivi e luminosi, e questi sono ciò che riusciamo a cogliere, non è da escludere che ce ne possano essere altri che sfuggono alla normale sensorialità umana.
La scena assume le sembianze di un magma per gli occhi come per i timpani, che si tratti di brani nuovi di zecca o recuperati da dischi precedenti o ancora estratti dal repertorio degli Atoms for Peace, che in fondo sono un’estensione del suo vulcanico estro.

Con un abbondante encore, che inizia al pianoforte con un lento e decomprimente defaticamento ma che riprende quota fino alla fine, si raggiungono le due ore di concerto, una sballottante retrospettiva sul come poter fare musica senza ancorarsi ai soli canonici strumenti musicali ma aggiungendo elementi elettrici, digitali, sonori, visivi, onde e frequenze di vario genere.
Thom Yorke appare come un musicista di frontiera tra il presente e il futuro, e ci vorrà del tempo per poter giudicare se anche questa scommessa è stata azzeccata.

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