The Struts, young dudes carrying the news
Ad alleviare il rientro dalle vacanze estive in una Milano bollente ed ancora semi-deserta ci pensano gli Struts, che grazie alla data programmata da mesi al Magnolia forniscono un’ottima scusa per dare un minimo di senso a questo venerdì sera di fine agosto.
Considerato il grado di semi-spopolamento che la città sta facendo registrare in questi giorni, rimango piacevolmente sorpreso nel constatare come quei pochi che sono rimasti in città abbiano deciso di radunarsi proprio nel locale adiacente all’aeroporto di Linate.
Non sarà sold-out, ma credo che, a conti fatti, Luke Stiller e compagni possano ritenersi parecchio soddisfatti dall’affluenza di un pubblico che più eterogeneo non potrebbe essere, e che con discreto anticipo ha già formato un discreto capannello sotto il palco su cui a breve si esibiranno.
D’altronde il rock’n’roll degli Struts è talmente trasversale che tale eterogeneità non dovrebbe costituire affatto una sorpresa.
Il Magnolia poi è un locale che si presta alla perfezione per queste manifestazioni di piccola/media grandezza: immerso nel verde, birra a prezzi decenti, si può anche mangiare e, per i più pigri, la possibilità di rilassarsi tranquillamente posando le gambe sotto ai tavoloni presenti nell’area adiacente al palco.
Alle 21:00 si spengono le luci, Adam (Slack, chitarra), Jed (Elliot, basso) e Gethin (Davies, batteria) attaccano le prime note di ‘Dirty Sext Money‘, spianando la strada per l’ingresso in scena della vera star di questa band: Luke Spiller è un front-man fenomenale, di quelli di cui pare si sia oramai perso lo stampo. Nelle sue movenze ci puoi trovare una cinquantina d’anni di storia del rock’n’roll inglese, da Mark Bolan a Freddy Mercury passando per Rod Stewart e Brian Connolly degli Sweet. Per chi ha nostalgia del glam di matrice albionica, praticamente un sogno ad occhi aperti. O un viaggio a ritroso nel tempo.
Gran trascinatore di pubblico, specie di quello femminile, Spiller è una di quegli animali da palcoscenico a cui non serve un curriculum, basta il pedigree. Nonostante le zanzare ed il caldo (son passate le 21:00 e siamo ancora alla trentina di gradi Celsius), il ragazzo si sbatte come un’aquila, evidentemente attizzato dal responso, calorosissimo, del suo pubblico, che canta e balla con lui come se non ci fosse un domani.
Non è circondato da fenomeni, Luke Spiller: i suoi compagni svolgono brillantemente il loro compito, ma è chiaro che se stiamo cercando i nuovi Brian May o Keith Moon, non possiamo certo trovarli tra loro. Però sono precisi ed efficaci, e forniscono una solida base su cui far scatenare il loro prodigioso front-man. Avrei evitato come la peste il solo di chitarra (cui prodest?), forse l’unica cosa davvero inutile di questo concerto.
Se vogliamo trovare un parallelismo, ecco gli Struts mi ricordano molto da vicino i Darkness: stesso back-ground, stesso approccio tipicamente british. Laddove i Darkness virano su territori più smaccatamente hard-rock, gli Struts virano (a volte anche un po’ troppo) sul pop.
Parere ovviamente strettamente personale, perché se guardiamo le carriere delle due band in questione, i numeri danno inconfutabilmente ragione agli Struts, che con quel poco di pop con cui alleggeriscono il proprio sound probabilmente ci campano.
Tornando al concerto, in circa due ore gli Struts pescano a piene mani da tutta la loro discografia, soffermandosi in particolare sull’album d’esordio “Everybody Wants” e sul successivo “Young And Dangerous”, dai quali proviene più di metà set-list, con particolare menzione per ‘Primadonna Like Me‘ (praticamente un manifesto), ‘Mary Go Round‘ e ‘In Love With A Camera‘.
Stranamente relegato in secondo piano il pur bello “Strange Days”, da cui però han fatto ‘Wild Child‘, probabilmente il loro pezzo che preferisco, mentre assolutamente apprezzabili sia il singolone uscito a luglio ‘Too Good At Raising Hell‘ e soprattutto la nuovissima ‘Pretty Vicious‘, entrambe destinate a finire sul loro nuovo album, che come dichiarato dallo stesso Spiller dovremmo trovarci tra le mani il 3 di novembre.
Dopo aver concluso il main-set con un’abbastanza scontata ‘Put Your Money On Me‘, Spiller torna da solo sul palco, si posiziona dietro alla tastiera e stende più o meno tutti con i primi due minuti di ‘Bohemian Rhapsody‘, tanto scontato quanto doveroso omaggio alla propria stella polare.
Il resto della band si unisce a lui per una bellissima ‘Fire (pt.1)‘ per poi chiudere il concerto con l’immancabile ‘Could Have Been Me‘.
Parrebbe tutto finito, ma il pubblico tarda a defluire mentre nel frattempo il palco viene sistemato per la serata disco prevista in coda al concerto, quando dietro alla transenna fa la propria comparsa proprio l’efebico front-man, che una buona quarantina di minuti si concede al bagno di foto dispensando sorrisi, autografi ed abbracci praticamente a tutti i partecipanti.
Difficile definire gli Struts come il futuro del rock’n’roll, se mai si tratta di un ottimo ritorno al passato con quella sottile vena pop che ne consente la facile digestione anche ad un pubblico meno avvezzo al fascino del rock.
Dal vivo però sono efficaci come pochi e per quel che ho potuto ascoltare del nuovo album, credo proprio che se dovessero tornare dalle nostre parti (come hanno promesso) potranno ancora una volta contarmi tra i presenti.
D’altronde, chi ha bisogno della TV quando hai i T-Rex?