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The Smile, un riuscito incontro tra sperimentazione e cuore, dissonanza e melodia, su ricerca e pop

Il nuovo side project di Jonny Greenwood, Thom Yorke e Tom Skinner ospite al Roma Summer Fest

Data sold out per The Smile all’Auditorium Parco della Musica

Jonathan Richard Guy Greenwood, altrimenti chiamato Jonny, ma solo da chi lo conosce molto bene, è un introverso.
Se sei introverso sei focalizzato sul tuo mondo interiore.
Se aggiungiamo una naturale timidezza, allora può accadere che in una situazione di lockdown, ti trovi a proprio agio ed energizzato.
E magari che improvvisamente ti ritorni la voglia di continuare un discorso rimasto in sospeso con un vecchio amico che risponde al nome di Thomas Edward Yorke.
Da lì, ci vuol poco, a richiamare anche Nigel Godrich, il vostro produttore di sempre, e prendere in prestito dai Sons of Kemet, band di afro-jazz, un batterista elegante e al contempo esplosivo come Tom Skinner.
Così nascono The Smile e come risultato di session di registrazione effettuate prevalentemente a distanza, prende forma “A Light for Attracting Attention”.
Il passo successivo è scendere a patti con la tua introversione e portarlo in tour.

E per la data di Roma, la Cavea dell’Auditorium risponde benissimo.
La giornata rovente non frena i fans della premiata ditta Greenwood/Yorke e ben presto diventa difficile trovare spazio nel parterre.
Guardandosi intorno non sono pochi gli artisti e i musicisti affermati che è possibile individuare tra il pubblico.
La band non si fa attendere troppo e, dopo le sperimentazioni elettroniche del sassofonista Robert Stillman, alle 21.30 in punto, le prime note del piano in 7/8 di Panavision danno l’avvio alla celebrazione.
Le aspettative sono confermate.

Il concerto è un patchwork equilibrato e riuscito di tessiture e universi sonori.
La struttura dei brani è complessa e al tempo stesso ha impatto immediato e diretto alla bocca dello stomaco.
Accanto a momenti di sperimentazione più marcata, si affiancano respiri lirici e intensi.
Free In The Knowledge‘ è una ballad acustica che potrebbe stare benissimo in “The Bends” e il pubblico non tarda a trovare corrispondenza ed empatia con la band.
I tre sul palco sono ipnotizzatori.
Greenwood e Yorke si alternano al basso e alle chitarre elettriche, con incursioni al piano acustico ed elettrico e ai synth.
Skinner, dietro la sua batteria con il doppio rullante, è una naturale macchina da ritmo e si occupa alla bisogna anche delle sequenze e dell’elettronica.
Tempi dispari, ostinati ritmico melodici che si incastrano con microvariazioni e spostamenti di accenti e che richiamano il minimalismo di Steve Reich, o se preferite anche i King Crimson di “Discipline” e “Beat”.
Su questo tappeto entra la voce di Yorke, cruda, intensa e che riapre la porta principale alle emozioni lacerate e squarciate di “The Bends” e “Ok Computer”.
Il light show è semplice e sobrio, sullo schermo dietro ai musicisti, un codice morse luminoso di punti e linee luminosi paralleli fanno da contorno alla performance.
Nulla più.
The Smile sono un riuscito incontro tra sperimentazione e cuore, dissonanza e melodia, su ricerca e pop.
E a riprova, nel parterre sono sempre di più quelli che riescono senza troppi problemi a ballare sui tempi in cinque e in sette.

Ed è un patchwork di liuteria anche l’elenco di bassi e chitarre utilizzate da Thom Yorke, tra le quali spicca la Stratocaster Ed O’ Brien Signature, i cui feedback sono esaltati in ‘Bodies Laughing’.
Il contrasto con Johnny Greenwod, fedelissimo alla sua Les Paul, con la quale compie ripetutamente la magia di passare in pochi secondi, all’interno di uno stesso pezzo, da fraseggi afro-beat che avrebbero potuto trovarsi benissimo su un palco accanto a Fela Kuti, alle distorsioni piene e corpose di “Ok Computer”, è ulteriore conferma che l’uno non possa fare a meno dell’altro.

La prima parte del concerto, nella quale la band esegue tutti i brani del disco, con l’aggiunta di ‘Bodies Laughing‘ e ‘Colors Fly‘, ormai entrati in pianta stabile nel repertorio dal vivo, si chiude con il singolo di maggiore impatto: ‘You Will Never Work In Television‘.
È una cavalcata in cinque ottavi di tre minuti scarsi, impazzita e martellante, in cui fa la parte del leone il sax di Robert Stillman, e in cui ritornano echi Crimsoniani, ma stavolta del periodo di “Red”.
E chissà se il riferimento al “bunga bunga” presente nel testo, abbinato al il titolo della canzone possa riferirsi a qualcosa in particolare.

A ‘The Same‘, ultimo brano rimasto dell’album, è affidata l’apertura del bis.
È seguito dagli inediti ‘Bending Hectic‘ e ‘Just Eyes and Mouth‘.
Thom si concede alcune battute in italiano, spiegando il motivo della presenza del leggìo.
Si chiude con ‘Pulled Apart By Horses‘, un suo brano del 2009, per un’ora e mezza esatta di live, al termine del quale da bravo introverso, Johhny Greenwood solo un rapido saluto, fugge letteralmente dal palco, lasciando Skinner e Yorke a godersi la meritata ovazione.
E noi del pubblico torniamo a casa, ma il paradiso stasera sicuramente sa dove siamo stati.
Nota a margine: entrare in Cavea continua a essere più complicato che superare i controlli di sicurezza di un aeroporto.
Dopo tutte le polemiche sui contagi, per non dire altro, aver visto centinaia di flaconcini di Amuchina sequestrati dalla sicurezza mi ha regalato il primo sorriso, per non dire altro, della serata.

Giulio Marino

Photogallery The Smile

Roma, 18/07/2022
Roma Summer Festival
© Giulio Paravani / ONR

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