The Libertines, tenetevi il bello e lasciateci divertire
Pete Doherty, Carl Barât e soci a Milano per una data unica
Il ritorno dei The Libertines per festeggiare live “Up The Bracket”, disco d’esordio della band inglese
Quando gli anni passano, l’età avanza e l’essere diventati degli adulti ci imbriglia tra mille insignificanti impegni, dobbiamo ringraziare anniversari, compleanni e ricorrenze varie che ci aiutano a rinsaldare i legami dandoci occasione per ritrovarci con gli amici di una vita.
È grazie al tour che celebra i vent’anni dall’uscita di “Up The Bracket”, primo album dei The Libertines e disco iconico del filone britannico-newyorkese nel decennio 2000-2009 che l’Alcatraz di Milano diventa luogo di rimpatriata tra Pete Doherty, Carl Barât e soci, sul palco, insieme a noi, transfughi di quella scena indie-ma-anche-un-po’-mainstream rock, che negli anni d’oro abbiamo riempito locali, cantine, sgabuzzini, autogrill e che oggi decidiamo scientemente, con maturità di adulti, di ammassarci in platea e scrollarci di dosso l’ossessione, figlia dei nostri tempi, del distanziamento e dello stare ciascuno al proprio posto.
Prima di arrivare al dunque, immaginando già le probabili obiezioni che frullano nella testa del lettore di passaggio, ho preparato un breve prontuario di risposta a queste FAQ un po’ noiose.
“Quando un gruppo celebra un disco vecchio è perché non riesce più a inventare nulla di nuovo”
Sempre meglio di doversi sorbire album inediti e ripetitivi, inutili, che riesci ad ascoltare mezza volta e non di più.
Sono segnati da eccessi, dipendenza e stravizi, hanno esagerato e si vede.
Vogliamo quindi boicottare tutti i gruppi che hanno fatto uso di alcol e droghe?
Ci rimane Gigione e non saprei chi altro.
Non saranno più capaci di suonare e cantare, che poi già prima non è che fossero sto granché.
Se vuoi goderti la tecnica musicale vai a vedere i Dream Theater, se cerchi il belcanto comprati i biglietti per il concerto de Il Volo.
In questo momento non mi interessa niente di tutto ciò e meglio dei The Libertines non c’è nulla.
Pete Doherty ha problemi di peso
Non mi sembra che a Pavarotti si rompessero le balle per la sua forma fisica.
La doppia apertura di Dead Freights e Ramona Flowers prova a confondere le idee e sparigliare le carte, ma non basta qualche spruzzata oscura di elettropop agée o di dark wave, con qualche punta morbida di chitarra, a farci perdere di vista l’obiettivo unico comune: il revival degli anni vissuti tra sogni e spensieratezza nell’euforia della musica dei The Libertines, che a sua volta era un revival di suoni geniali di qualche decennio prima.
La celebrazione di “Up The Bracket” prevede l’esecuzione della tracklist del disco come scaletta, si parte da ‘Vertigo‘ e si arriva a ‘I get along‘.
Non serve sciorinare la scaletta, come non serve nemmeno specificare che i The Libertines non suonano identici al disco, anzi: mai stati così lontani dall’essere precisi.
Si percepisce la potente ansia da prestazione nel voler far bene ma ci sono due colonne sul palco che si fanno il mazzo per tenere in piedi la struttura.
Uno è chiaramente Carl Barât, che ci mette il nervo e la grinta, entra a gamba tesa e accelera quando serve la scossa.
L’altro è Gary Powell, che ci ricorda che fare il batterista dei The Libertines è uno dei lavori più usuranti al mondo perché il tempo spesso appare come un concetto soggettivo e relativo ed è a lui che tocca modulare le variazioni più o meno consapevoli dei compagni.
È sul finale di questo primo atto che si inizia a presagire quel che succederà più tardi, con la tensione dei The Libertines che finalmente si scioglie e le briglie del pubblico che fanno lo stesso.
Dal momento del rientro in poi, si sprigiona una gioviale e ruvida atmosfera politicamente scorretta, si salta con più convizione e la folla si riempie di italiani che fanno il cosplay dei tipici inglesi sbronzi ai concerti.
Non c’è più modo di fermarsi, il pubblico canta e balla e si abbraccia e si spinge, il legame affettivo che gli ex-ragazzi sul palco non si sforzano minimamente di nascondere scende sugli ex-ragazzi al di qua della transenna e si replica, tra amici e sconosciuti, tra parabole di bicchieri e prestiti furtivi di accendini.
Fin troppo facile, per dare l’idea di cos’è stato questo concerto dei The Libertines, scomodare la retorica della festa.
Ma è una definizione banale quanto calzante ora che il ragionevole scetticismo del pre-concerto ha lasciato il posto ai sorrisi e alla stanchezza compiaciuta di chi non riesce più a star fermo sulle proprie gambe.
Lasciamo volentieri agli altri il belcanto, i fisici asciutti di bella presenza e la noiosa lucidità dei suoni patinati.
A noi interessa il divertimento e l’emozione che questi ragazzotti, un po’ attempati e imprecisi, sono riusciti a regalare – come in cuor nostro speravamo e sapevamo.