The Kills live a Milano: la Loggia del Leopardo
Era da parecchio che non ci si vedeva in giro, ragazzi. C’è voluto un nuovo disco – il quinto, “Ash & Ice”- per riportare The Kills su un palco italiano.
E nella notte più lunga dell’anno, quella di un 29 ottobre caratterizzato dal ritorno all’ora solare, il Fabrique di Milano accoglie i belli e bravi VV e Hotel, al secolo Alison Mosshart e Jamie Hince.
Già dal warm-up si intuisce che aria tiri da quelle parti: tocca a Georgia, uno dei nomi più promettenti made in Domino Records, stessa etichetta del duo headliner della serata, aprire la serata.
E questa poco più che adolescente polistrumentista non si lascia desiderare: si piazza al centro dello stage con una batteria dal piatto altissimo e inizia a menare fendenti a destra e a manca, con il solo accompagnamento di tastiere e campionature. Un suono acido e aggressivo, una traccia vocale hip-hop per il primo brano, per mettersi poi a cantare sul serio obbligando l’intera platea a levarsi il cappello.
Gli applausi non sono di circostanza, Georgia passa con disinvoltura dall’aggressione per mezzo della voce e delle percussioni a pezzi meno brutali. La peculiarità del suono electroclash/punk/post/altro è notevole, ed è uno di quei nomi da appuntarsi per potersi bullare tra qualche anno con gli amici, “io lo avevo capito che questa avrebbe fatto il botto”.
L’entrata in scena dei The Kills è decisamente glamour: Jamie Hince ammiccante e piacione strizza l’occhio e fa moine alle intere prime tre file, Alison Mosshart con una camicia leopardata facilmente prevedibile, pantaloni neri in pelle, più ammenicoli vari e uno charme davvero esagerato, ma anche i due musicisti di supporto, due ragazzini più impostati che utili, tutto quanto è all’insegna della figaggine.
Si deve anche suonare, però. E tocca fare casino, perché non si campa mica di sola eleganza. E così, da ‘Heart of a dog‘ in poi, Alison Mosshart canta, suona e agita la chioma bionda, aggrappandosi al microfono e saltando sulle spie di palco, mentre Jamie Hince non si accontenta del ruolo di spalla e tiene in piedi la struttura musicale, sbattendo forte e in modo altamente scenografico sulla chitarra.
I volumi sono alti, i due giovanotti sullo sfondo fanno poco con batterie, bassi e tastiere, salvo beccarsi una cazziata a metà concerto per un passaggio a vuoto su ‘Tape song‘ che mette in crisi VV, ma l’essenza dei The Kills è proprio questa: un duo secco, di grandissimo impatto visivo e che sa tirare su il casino in tutte le sue sfumature.
Ciascuna fase della loro carriera ha una fisionomia propria: i pezzi del nuovo disco hanno quel giro che ti acchiappa, con la traccia vocale pulita e femminile. I due dischi di mezzo sono distorti e rumorosi, col tasso di acidità che sale a mille e sfocia in un’escandescenza lisergica. I pezzi di “No wow” hanno le chitarre diritte, sono meno artefatti e portano i The Kills al livello di noi comuni mortali, facendoli scendere da quel piedistallo de ” I Bellissimi di Rete 4″ su cui si trovano meritevolmente.
Non è un caso che si chiuda con l’accoppiata ‘Love is a deserter‘, con quello stop&go da visibilio, e ‘No wow‘, la sintesi della chimica musicale che si instaura tra le due metà del gruppo.
Fare rock abbinando tessuti leopardati, chitarre e la mossa del robot (perché ad un certo punto Hotel lo ha fatto sul serio), senza essere patinati e suonando senza risparmiarsi: in questa lunga notte milanese di fine ottobre, The Kills ci dicono “Yes, we can”.