The Darkness, il manuale della rock band
Torino, 28 agosto 2022.
I Primal Scream sono gli headliners della giornata conclusiva del Todays Festival.
È il tour celebrativo dei 30 anni “Screamadelica”, posticipato di un anno a causa della pandemia.
Il programma annunciato è l’esecuzione dell’intero album, i fan della band mandano sold out la serata in poco tempo e non vedono l’ora di ascoltare interamente dal vivo un disco che, vuoi o non vuoi, ha fatto storia.
Bobby Gillespie si presenta sul palco con la giacca che richiama la copertina ed esegue soltanto due pezzi, (‘Movin’Up‘ e ‘Loaded‘) come bis in coda al set L’ultimo inserito a forza.
La delusione è palpabile.
Il concerto è stato anonimo.
Qualcuno, sottovoce, pronuncia la parola “flop”.
Le recensioni sono unanimi e per nulla tenere.
Ciampino (Roma), 13 novembre 2023.
L’Orion è sold out, riempito da milleduecento fan dei The Darkness che avevano da tempo il concerto in agenda.
I biglietti sono andati via rapidamente e non pochi sono rimasti a casa.
Il primo risultato della massiccia affluenza è lo scoprire che la creatività non è solo propria degli artisti: l’impresa di trovare un parcheggio accettabile nel raggio di centocinquanta metri stimola il genio che alberga in noi a manifestarsi.
È il tour del ventennale di “Permission to Land”, loro lavoro di debutto e immediato successo commerciale.
Puntuali come solo i concerti inglesi sanno essere, annunciati dalle note di ‘Arrival‘ degli Abba, una manciata di minuti dopo le ventuno i fratelli Justin e Dan Hawkins, voce e chitarre, Frankie Poullain, basso e Rufus Taylor (figlio di Roger, batterista dei Queen), batteria, fanno la loro comparsa sul palco.
I primi due pezzi sono ‘Black Shuck‘ e ‘Get Your Hands Off My Woman‘, brani che aprono il disco festeggiato stasera.
E tanto per chiarire le aspettative dei fan, Justin Hawkins la mette giù piatta: «stasera suoneremo tutte le canzoni del disco».
Capitolo 3, pagina 21 del “Manuale della Rockband”
Se esistesse davvero un simile libro, non vi sarebbe dubbio che The Darkness lo avrebbero studiato da cima a fondo, a partire da come si presentano sul palco.
Dan Hawkins sceglie il classico: giubbotto di pelle nera, jeans e maglietta dei Thin Lizzy.
Justin e Frankie Poullain, invece, glam che più non si può: giacca e pantaloni gialli il cantante; giacca e pantaloni glitterati fucsia e blu elettrico il bassista.
Dopo pochi pezzi, Justin Hawkins supera a pieni voti l’esame di lancio della giacca tra le grida del pubblico – il trucco funziona sempre, sia che ti chiami Darkness o Imagine Dragons.
Tatuaggi in bella mostra, carino il gigantesco punto interrogativo che campeggia su tutto il suo fianco sinistro.
Non male anche la prova di “interruzione del concerto e far salire un bambino di nome Federico sul palco. Parlare e infine duettare con lui”.
L’ordinario della cattedra, il Professor Springsteen, ne sarebbe fiero.
Coming out: non ho mai amato l’hard rock facile dai toni glam.
Per dirla all’inglese, is not my cup of tea.
E non da oggi provo una certa insofferenza per gli stereotipi legati a un certo modo di intendere il rock.
Lo ammetto, potrebbe essere perché “loro sì e io no”.
E The Darkness sembrano corrispondere appieno a quello delle rockstar: alcol, droghe assortite, moto di grossa cilindrata, limousine, tatuaggi a gruppi di 20, groupies a grandine e «motherfuckers» infilato in due frasi su tre.
Ma tengono il palco divinamente e sanno come si porta avanti un cazzo di concerto rock: microfono passato alle prime file, plettri che volano dal palco ai fan, cd che compiono il percorso inverso, con tanto di Uniposca per l’autografo.
Teatralità a volte eccessiva, a volte troppe chiacchiere con il pubblico, ma mai eccessivamente fastidiosa.
Sì, vabbè, ma le canzoni?
Indubbiamente ben suonate.
L’Atkin Mindhorn – chitarra di liuteria inglese – imbracciata da Justin Hawkins.
La ricetta è di sicuro successo: le pentatoniche funzionano sempre, i suoni sono di sicura presa e diverse melodie sono accattivanti.
Anzi, alcune proprio paracule.
L’energia presente in sala è un vortice che si autoalimenta in un circuito riverberante tra band e pubblico.
Ma sono stato teenager negli anni ’80 e quello che ascolto stasera è una minestra- più che discreta, ma già mangiata fin troppe volte.
I pezzi mi scivolano addosso, non tutti ma quasi.
Una menzione la merita ‘Curse of the Tollund Man‘, che si discosta dalla formula hard rock/glam rock/metal pop.
Un sussulto me lo provoca la cover di ‘Street Spirit (Fade Out)‘ dei Radiohead con cavalcata in stile Iron Maiden sulla strofa (attenzione: ho detto in stile, non come).
Certo, a voler essere proprio stronzi, potrei aggiungere che ascoltando il falsetto di Justin sono felice di non aver con me dei Gran Balloon da degustazione di rossi strutturati, ma…
…ma qui non si viene ad ascoltare il bel canto, o a sedersi dietro uno scranno a fare i professori.
Qui non siamo in un talent.
Qui si viene per sudare e ballare come animali alla monta.
Qui si fa rock and roll.
Se vuoi spaccarti, lasciar andare la vita e dimenticarti i cazzi per una serata, sei nel posto giusto.
Forse (e se non dovessi scrivere qualche riga sul concerto), sarei a saltare sottopalco e affanculo che sono quattro giorni che non ceno con un pasto caldo.
Adesso che siamo arrivati in fondo, rileggendo quanto finora scritto, mi accorgo di aver battuto il record di parolacce inserite in un mio pezzo.
Ma, come detto poco fa, non siamo in un talent.
Quindi, alla fine, per me The Darkness è “sì”.
Un commento su “The Darkness, il manuale della rock band”