The Damned, i padri fondatori ritornano in scena
Correva a Londra l’anno 1976 quando Brian James (chitarra), Chris Miller (batteria) e Ray Burns (basso), dopo aver militato in diverse formazioni underground, decidono di fondare una nuova band per la quale occorre trovare un cantante, ed un nome adatto.
Il problema del cantante viene presto risolto reclutando David Lett, ex-compagno di Miller e Burns nei seminali Masters Of The Backside e di cui faceva parte anche una certa Chrissie Hynde, destinata poi al successo planetario con i suoi Pretenders.
Manca solo il nome, ed a questo ci pensa, seppur per difetto, la mitica Vivienne Westwood.
Vivienne, che all’epoca gestiva insieme a Malcom McLaren il ‘Let It Rock’ – un piccolo negozio di abbigliamento alternativo sito al 430 di King’s Road a Londra destinato a diventare il centro dell’universo punk britannico – sta cercando anch’essa un nome che si addica a quella band che da lì a poco si sarebbe resa protagonista della grande truffa del rock’n’roll. Nello scegliere insieme a McLaren il monicker ‘Sex Pistols’, scartò quel ‘The Damned’ che fu prontamente adottato dalla neonata formazione.
Fu così che dall’unione di James, Miller (meglio conosciuto come Rat Scabies), Burns (noto ai più come Capitan Sensible) e Lett (il vampiresco Dave Vanian) nascono i The Damned, che il 22 ottobre 1976 danno alla luce il primo singolo della storia mai pubblicato da un gruppo punk inglese.
Per intenderci, ‘Anarchy In The U.K.’ dei Sex Pistols uscirà solo 5 settimane dopo, il 26 novembre 1976.
Con un balzo temporale di quasi 47 anni arriviamo a questa sera che ci vede entrare all’Alcatraz di Milano, una volta tanto consapevoli che quei 30 e rotti euro necessari per il biglietto non ti permettono solo di assistere ad un concerto, ma anche e soprattutto di trovarti faccia a faccia (letteralmente, per chi è nelle primissime file) con chi della storia del rock’n’roll è stato (ed è ancora) protagonista, scrivendone alcuni di capitoli più importanti.
Il locale è strutturato nella sua versione ‘a palco piccolo’. L’affluenza non è abnorme (è pur sempre un sabato sera milanese…) ed è con un sorriso sul volto che muovendo lo sguardo sul pubblico scorgiamo tra la folla gli irriducibili punk-rockers di mezzo secolo fa. Magari con figli al seguito.
Magari pronti a rivivere per un’ora e mezza la follia del pogo, sperando che la mattina successiva non serva togliere dal cassetto la pancera del Dottor Gibaud.
Una fauna eterogenea e multicolore, ansiosa di rivedere sul palco gli eroi di un tempo che fu, e che per meglio prepararsi all’evento necessita di essere riscaldata.
Questo ingrato compito è riservato a Serena (‘Castel’ Castellucci), Giulia (‘Monty’ Montanari) e Deborah (‘Valli’ Casadei), che collettivamente si fan chiamare Smalltown Tigers e che dalla Romagna portano sul palco dell’Alcatraz, ad aprire per delle leggende viventi, il frizzante punk’n’roll di cui è infarcito il loro disco di debutto “Five Things”.
Basso, batteria e chitarra (la triade perfetta del rock’n’roll), tanta attitudine ed un tiro invidiabile sono le armi a disposizione delle Tigri romagnole, che sorprendono un po’ tutti con un set assolutamente azzeccato per l’occasione, corroborato da un sound potente e contagioso nei ritornelli.
Vien quasi voglia di intonare un ‘Gabba Gabba Hey’ tutto per loro.
Davvero brave, mi hanno parecchio incuriosito e meritano un serio approfondimento.
Giusto il tempo di riprenderci dai riff macinati dal trio romagnolo e sorseggiare una birra che le luci si spengono per accogliere sul palco Dave Vanian (67 anni) e Capitan Sensible (69 anni), membri fondatori dei Damned, per l’occasione accompagnati dall’altro membro storico (sebbene solo dal 1980 in poi), il bassista Paul Gray, dal tastierista Mony Oxy Moron (con i Damned dal ’96) e dal neoassunto drummer Will Glanville Taylor.
Le danze vengono aperte da ‘Street Of Dreams’, pezzo iconico da quel “Phantasmagoria” che negli 80s completò la transizione dark/gothic già evidenziata nel “Black Album”.
Capitan Sensible, che in questa incarnazione della band imbraccia la chitarra, è sempre il solito Capitan Sensible: basco rosso, maglietta a rigoni orizzontali rosa e neri, espressione scanzonata – manca solo che canticchi ‘Say Wot’.
Capiresti che è lui anche guardandolo da 2 km di distanza.
Vanian è meno vampiresco del solito, pur indossando un completo nero, occhiali neri, cappello nero e camicia bianca: è un miracolo non scambiarlo per un Blues Brother.
Gray meriterebbe un applauso già solo per la maglia degli MC5 che indossa.
Stendiamo un pietoso velo invece sullo stage-attire dell’inguardabile Oxy Moron, una sorta di incubo fashion.
Come annunciano i cartelloni sparsi all’interno del locale, il 28 aprile la band uscirà con il nuovo album, “Darkadelic”, di cui già conosciamo i due singoli anticipatori ‘The Invisible Man’ e ‘Beware Of The Clown’. Non deve stupire quindi che vengano entrambi inclusi nella scaletta di questa sera.
Quello che stupisce, invece, è che di questo disco ancora inedito vengano presentati complessivamente una decina di brani, e se i due singoli bene o male li riconosciamo, per tutti gli altri è il buio più totale. Non che sia un difetto, per carità: diciamo solo che presentare dal vivo un disco che uscirà tra più di un mese non è esattamente un’abitudine consueta.
Il che non farebbe in ogni caso una grinza, se non fosse che la data odierna era stata ‘venduta’ come dedicata all’intera esecuzione del “Black Album”, mentre in realtà da quel disco ascolteremo solo tre pezzi.
Errore in fase di advertising?
La band ha cambiato idea?
Non penso lo sapremo mai.
Resta il fatto, inconfutabile, che stiamo assistendo ad un gran concerto, infarcito di brani nuovi ma che riesce anche a regalare qualche sana emozione dal passato, come appunto i brani del black-album, le sempiterne ‘Smash It Up’, ‘Neat Neat Neat’ e l’immortale ‘New Rose’ di cui si parlava all’inizio, roba da ridurre in lacrime anche il più inveterato dei punk-rockers, e da scatenare una voglia di pogo anche a dei maturi bancari che il punk non lo vedevano dagli anni ’80.
Ovviamente dopo aver consegnato i figli nelle mani delle mogli posizionate ai lati, occhi ben levati al cielo.
A chiudere alla stragrande, una fantastica cover di ‘White Rabbit’ che manda a casa se non tutti contenti (qualcuno voleva davvero ascoltare tutto il black-album), quanto meno soddisfatti per non avere assistito ad una sorta di ritorno dei morti viventi, perché i Damned questa sera hanno dimostrato in scioltezza di saper ancora tenere alla grande il palco, di essere in grado di produrre ancora musica di rilievo e, soprattutto, senza mai rinnegare il passato.
Anzi.