Temples, l’anarchia è un gioco psichedelico
Segrate (MI), 24 novembre 2019
Appuntamento domenicale al Circolo Magnolia di Segrate per l’arrivo dei britannici Temples.
Parliamo di una di quelle band che hanno avuto un esordio col botto, ma che si trovano poi costrette a convivere con il fardello del primo disco, nella fattispecie “Sun structures”, un elevatissimo metro di paragone con il quale verrà misurata ogni successiva fatica.
Giunti al terzo album, “Hot motion”, sono chiamati a confermare anche dal vivo la potenza e l’elaborazione del loro suono.
L’apertura disimpegnata e leggera è affidata allo psicopop degli spagnoli Anni B Sweet, che mettono insieme pezzi orecchiabili con riverberi dream, accattivanti melodie pop e la cadenza e la parlata spagnola che associamo abitualmente a generi musicali totalmente differenti.
Una buona batteria scandisce ritmi consistenti, alcuni più lenti e cadenzati, altri vivaci e ben riusciti.
Batteria pesante anche per l’attacco dei Temples, a suon di marcetta, un tremolio totale e una sfilza di suoni acuti, che da svelti ed orecchiabili sfumano sul finale nelle vibrazioni peculiari del loro sound.
Il passo affrettato li rende aperti e luminosi, fino a quando lo switch si sposta sulla psichedelia, il basso si prende la scena di ‘A question isn’t answered‘ e dà il via alla seduta di ipnosi, dipanandosi con dei crescendo senza controllo.
La presenza dei Temples è scenica, accattivante e da piacioni, si respira del pop smaccato quando allentano la morsa degli effetti.
‘Colours to life‘ lancia richiami lontani negli anni e nello spazio, modulando i suoni attraverso una sorta di macchina del tempo, ci manca solo che l’immagine si faccia in bianco e nero per completare l’opera.
Giocano su interessanti contrasti, abbinando strofe orecchiabili e facilone a refrain fracassoni, o mitigando le tastiere di ‘The golden throne‘, frizzanti in modo a tratti esagerato, con la voce decadente.
Non dilatano troppo i tempi i Temples, anzi a volte prendono un passo deciso e scandita quasi da rock classico a stelle e strisce, per poi farsi più moderni con echi e riverberi un po’ attutiti, e ripiombare in atmosfere di rumoroso brit pop d’annata.
Meno stilosi e più avvolgenti quando rompono le righe, mischiando le linee e ammassando il suono che comunque arriva diritto e bello grezzo. Di
nuovo impostati e grevi con ‘Atomise‘, chiudono infine il set con l’arpeggio di ‘Shelter song‘, buttando definitivamente alle ortiche tutte le quadrature e provocando un gran dimenare di teste.
All’insegna del gran frastuono senza regole è la riapparizione per l’encore con ‘Mesmerise‘, tripudio di anarco-psichedelia a ritmo sbrigativo che sfocia in una gigantesca divagazione e una chiusura completamente sbattuta e destabilizzante, con gli amplificatori che rendono l’anima al diavolo.
Non si fanno fagocitare dal loro passato, i Temples, ma sanno giocare sulle variazioni senza perdere il piglio deciso di chi ci crede davvero.