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Swervedriver live a Brescia: vi fischiano le orecchie?

Un grande concerto prevede mesi e mesi di attesa, ci siamo ormai abituati a questo andazzo. E se invece ci viene annunciato con una sola settimana di anticipo? Per gli Swervedriver a Brescia è andata proprio così, la data del 15 novembre alla Latteria Molloy è uscita con pochissimi giorni di preavviso, all’interno della breve parentesi italiana del loro tour europeo autunnale. A diciassette anni di distanza dalla loro ultima registrazione in studio, sono tornati alla ribalta ad inizio 2015 con un nuovo disco, “I wasn’t born to lose you”, a dare maggior spolvero alla loro reunion avvenuta già da qualche anno.

In situazioni come queste, il confronto tra passato e presente può risultare impietoso, e gran parte del pubblico, visibilmente reduce dagli anni ’90, lo sa e un po’ lo teme. Ma quando gli Swervedriver fanno la loro apparizione, a freddo e senza nessuna apertura, i dubbi iniziano a fugarsi. Mentre su disco i pezzi nuovi hanno un suono piuttosto differente rispetto al passato, pulito e meno rude, nella dimensione live questo divario appare decisamente assottigliato: l’abilità nell’esecuzione, l’utilizzo della strumentazione sul palco, il dosaggio dei volumi fanno si che tra i brani storici e quelli recenti vi sia una sorta di continuum, anche se la loro diversa natura non scompare del tutto.

La melodia delle canzoni degli Swervedriver targate 2015 è più soft, ‘Autodidact‘ apre senza urtare, per ‘Setting sunAdam Franklin usa un timbro vocale che lo fa apparire quasi fuori tono, ‘Lone star‘ mette una chitarra da classici della psichedelia su un impianto rumoroso. I successi rispolverati dal passato hanno più tiro e più fuoco, ci sono le distorsioni alle soglie del fuori tempo di ‘Never lose that feeling‘, la tradizione shoegaze d’Oltremanica condensata in ‘Rave down‘ e la voce ripulita una tantum da effetti per ‘These times‘. Si chiude allo stremo delle forze, ‘Son of Mustang Ford‘ è un pezzone a mano armata e ‘I wonder?‘ ricostruisce con fischi e riverberi un muro di suoni che sembrerebbe appartenere a un’altra epoca.

L’encore degli Swervedriver ha effetto ipnotico: c’è il refrain ossessivo e in crescendo di ‘Everso‘, ci sono gli intermezzi vagamente psych surf di ‘Last train to Satansville‘, e dopo un ultimo cambio di chitarra c’è il gran finale a volumi esageratamente alti con ‘Duel‘, che sfociano in una lunga chiusura strumentale.

Quando si parla di un gruppo dalla forte vena shoegaze, come gli Swervedriver sono, è scientificamente provato che il livello di soddisfazione è proporzionale a quanto fischiano le orecchie all’uscita dal concerto. Ce l’abbiamo fatta anche stavolta a non uscire illesi, sotto questo punto di vista anche per il gruppo di Oxford è sempre il 1991 e come i timpani del pubblico anche gli impianti audio dei locali devono essere messi a dura prova.

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