SuperAurora Festival 2024 | Day 02 | Masego
SUPERAURORA FESTIVAL, ULTIMA GIORNATA DI MUSICA A CASTELFUSANO
Anche per questa giornata i grandi nomi dell’indie italiano con ospiti internazionali d’eccezione
Castel Fusano (RM), 28 luglio 2024
Le prime note sul mainstage al SuperAurora Festival dovrebbero risuonare alle 16.30. Sono le 16 quando accedo nell’area del Festival e realizzo che non sarà così. È in pieno svolgimento il soundcheck di Mecna, cui seguirà quello di Big Mama. I cancelli del festival sono ancora chiusi e si apriranno a verifiche tecniche ultimate. Si inizierà alle 18.35, con la cancellazione dei due artisti che avrebbero dovuto aprire.
A dare il via alle danze al secondo giorno di SuperAurora Festival è AdiOasis, all’anagrafe Adeline Michèle Petricien. Parigina di nascita, caraibica di origini, newyorkese di formazione artistica. Cantante e bassista, cresciuta a dosi di Prince, Parliament, Funkadelic, Earth Wind & Fire, Curtis Mayfield, Aretha Franklin.
Suona in quartetto: basso, batteria, chitarra e piano elettrico. Il suo set starebbe molto bene a Umbria Jazz. La band ha un tiro incredibile, lei è un’eccellente bassista e vocalist, ottima scrittura, presenza sul palco, sorriso aperto e spontaneo, eccellente capacità empatica. Poliglotta, madrelingua francese, canta in inglese, capisce l’italiano e ne mastica qualche parola. Si prende il pubblico in pochi secondi e il pubblico conquista lei. Le prime parole appena scesa dal palco sono apprezzamenti entusiastici sulle ragazze e i ragazzi italiani.
Oltre a questo, c’è da dire una cosa sola: è artista a tutto tondo, ci fa ballare con il suo Fender Precision. La sua musica è carica di energia, la sua voce da soprano riempie e coinvolge il pubblico anche in riusciti botta e risposta. Concede spazi di libertà ai suoi musicisti che dimostrano gusto e tecnica. Le tastiere insaporite da effetti di delay e pitch nei soli, la batteria che si libra in una parentesi solista, la chitarra con una ritmica inarrestabile.
Il funky fa la parte del leone, ma nella sua ricetta si trovano diversi ingredienti. C’è drum & bass, ci sono suoni di tastiera aromatizzati al prog e c’è anche, forte, una spruzzata di disco anni ’70 a sentimento. Il concerto è un crescendo, è una macchina da groove. In un paio di canzoni posa il basso e libera il suo corpo. Sono morbidi quando serve, felpati quando serve, treni di ritmo, sudore ed elettricità quando serve. E se proprio vogliamo far saltare in alto le persone, arriva la cassa dritta.
Boomer alert: i quattro stanno mostrando ai pischelli cos’è il funky, cos’è la black music e che significa suonare. Altro che basi, autotune, sequenze e drum machine. AdiOasis avrebbe meritato ben altra collocazione nel programma odierno. Considerazione a margine, fino a questo momento, nelle due giornate, tra i chitarristi ha giganteggiato la Stratocaster. Questo aiuta il mio buonumore.
Che invece riceve una mazzata tra capo e collo quando a salire sul palco è Giuse The Lizia. All’anagrafe Giuseppe Puleo, 22 anni da Bagheria. Suona in trio: lui, basso, batteria e sequenze. Secondo boomer alert in sette righe, lo guardo e immagino un sottotitolo per la sua esibizione: volevo essere Calcutta, ma non posso, devo accontentarmi di essere Daniele Groff, ma arrivo trent’anni dopo. E comunque le canzoni di Daniele Groff erano più belle.
I testi sono sul genere «chiedo aiuto al tipo che mi vende l’erba ma l’ultima volta mi ha venduto merda». Melodie e arrangiamenti sono banali, canzoni scontate, presenza sul palco inesistente. «Non sono bravo a dire le cose»: ce ne siamo accorti. Inserirlo dopo AdiOasis è una crudeltà. «Ho scritto questo pezzo dopo che il Napoli ha vinto lo scudetto»: a Ostia una frase del genere potrebbe non essere presa bene e prova a metterci una pezza, «Però simpatizzo Roma…». Può bastare così.
Farebbe tenerezza se non si dovesse pagare per vederlo. La colpa non è sua, ma di chi lo mette su un palco o lo porta in finale in categoria giovani a Sanremo nel 2022 (capito Ama?), facendo credere alle orecchie meno educate e con un background di ascolti limitato che sia musica di qualità. La cosa migliore del set è Peter Tosh nel cambio palco, prima di BigMama.
Diventata ormai un simbolo, un personaggio pubblico a 360°, la rapper campana è fresca vincitrice del premio Lunezia, con il brano ‘Veleno’. Metto da parte le aspettative che ho su BigMama. Mai vista dal vivo e sono curioso di vedere cosa accadrà qui al SuperAurora. Ha carisma e parla alla sua generazione. Mi giro verso la transenna della prima fila, in prevalenza vedo ragazze giovanissime. Non rientro nel suo pubblico, sicuramente non considera importante che io ne faccia parte ma è giusto così.
Parte subito con i motori a mille. Compaiono due Chupa Chups giganteschi in mano ad Alessia e Anita, le ballerine che la accompagnano. I lecca-lecca extra large completano la coreografia dell’omonima canzone, che gioca con l’assonanza sonora dei bicchierini di superalcolici consumati tutti d’un fiato. Alla console c’è Jimmy, dj e Producer, che avrà uno spazio dedicato in un intermezzo in cui si divertirà con i campionamenti di Patti Labelle e della sua ‘Hey Sister, Soul Sister’.
Nelle sue canzoni BigMama racconta sé stessa e la sua storia. Raccoglie e accoglie rabbia, insicurezze, traumi di una generazione, e attribuisce loro dignità, indicando una possibile strada per farle diventare strumento di realizzazione e riscatto. In ‘Ragazzina’ racconta delle insicurezze e di come della paura di sentirsi sbagliata e di come si è ripresa tutto con gli interessi in ‘Bloody Mary’ mentre due nastri rossi avvolgono lei e le ballerine, rimando alle vittime di femminicidio.
Ha un perché. Sul palco funziona. Sprigiona energia, rappa bene, è diretta, immediata e carica di sensualità. Afferma, anzi te lo sbatte in faccia, il diritto alla sessualità. Esteso anche, e soprattutto, alle persone che hanno una fisicità non in linea con i criteri estetici imperanti, imposti fino a oggi dalla cultura di riferimento.
Però il dubbio che proprio BigMama possa, inconsapevolmente diventare strumento del sistema che fino a oggi ha penalizzato, emarginato, bullizzato chi non si conformava a quei criteri. La foglia di fico di chi è pronto ad additarla come esempio per rispondere alle accuse di discriminazione in base all’estetica, che a questo punto potranno continuare ad avvenire indisturbate. Che sia una risposta di facciata del sistema stesso per lavarsi la coscienza. Insomma, il politicamente corretto all’opera. E che sia un prodotto scoperto e creato per occupare un settore di mercato e fidelizzarlo utilizzando meccanismi proiettivi diversi da quelli utilizzati fino a ieri.
«Vengo straight outta condom, yeah, yeah
Straight outta condom
Non sono straight, ma che bona la figa
Dicono, “Straight outta condom”
Godi solo a metà se non lecchi le dita
Sesso pazzo sul letto del Napoli
Ascolti BigMama, da oggi sei gay
C’ho le manette, ma non sono la police
Tutt”e position, sono 666»
In alcuni casi appare un po’ ridondante («e pure stasera ci siamo scopate il palco!»). Potrebbe lasciar parlare il suo eloquente ed efficace non verbale, arriverebbe molto più in profondità. Le parole possono nascondere o inquinare. Va benissimo copulare con palco, non serve ribadirlo a voce. Suona caricato, poco spontaneo e può dare l’idea di costruito, anche se non lo fosse. Il saluto è la sua frase simbolo dopo essersi voltata: «Scusatemi per le spalle, ringraziatemi per il culo». Ma dopo aver cantato ‘Cento Occhi’ questa frase è in leggera contraddizione. Appena meno, funzionerebbe ancora di più.
Ore 22; tocca a Mecna, rapper pugliese di origine, poi spostatosi a Roma, ora a Milano. È il momento con più pubblico della giornata, anche se l’affluenza a occhio è inferiore a quella di ieri. Autoreferenziale, come da regola nel rap, è la scritta a caratteri cubitali con il suo nome dietro di lui. Accompagnato da un’intera band, il set regge bene. Passa da momenti più indie/pop come ‘Demoni’ o ‘Ciò Che Splende’, a canzoni più malinconiche nel caso di ‘Fuori Dalla Città’ a intermezzi a decisa impronta funky e black come ‘Si Baciano Tutti’ e ‘7.34’.
Il soul si affaccia anche in ‘L’Odio’ , connotato da una chitarra presente e molto penetrante, mentre in Così Forte’ una cassa in quattro trascina il pubblico a cantare il chorus finale ripetuto più volte. La chiusura è più intima con ‘Malinconia’; Si siede, luci arancioni sul palco, un piano con delle belle linee, una chitarra e una buona chiusura con l’entrata della batteria. E soprattutto con ‘:(‘ (Smile Triste), uno dei pezzi più validi… ma con l’autotune che lo appesantisce un po’.
I musicisti sono bravi, le canzoni si susseguono una dietro l’altra. Nonostante un tempo a disposizione sul palco inferiore al solito, riesce a farci star dentro tutti i pezzi della sua normale setlist. Per questo motivo, tuttavia, ho la sensazione di assistere a qualcosa di meccanico, Come se stessi ascoltando la sequenza di un juke box, o una playlist automatica. I pezzi sono perfetti, manca la ruvidità del live, l’improvvisazione, l’imprevisto, il fuori dall’ordinario. Il vero bug dei live dei nostri giorni, far suonare i pezzi esattamente come sul disco. E che la sola preoccupazione dell’artista sia quella di gratificare il proprio ego prendendosi gli applausi.
Forse saranno caldo e stanchezza a farmi pensare così. Forse sarà il calo di zuccheri. Diciotto ore in piedi tra backstage e sottopalco in due giorni, a 40 gradi, idratato solo se necessario, ma soprattutto digiuno. O forse una giornata, a mio avviso, non all’altezza di quella di ieri. IAMDDB e Masego li vedrò un’altra volta. Mi diranno che faranno un gran set, soprattutto il secondo. Non mancherò. Come dicono quelli “veri e bravi”: dal SuperAurora Festival per ora è tutto. Ci rivediamo l’anno prossimo (forse).