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Christone "Kingfish" Ingram

Summertime 2024 | Christone “Kingfish” Ingram

L’ESTATE SI FA ROVENTE CON CHRISTONE “KINGFISH” INGRAM 

Il Blues del XXI secolo parte dal Missisipi e raggiunge Roma

Roma, 11 luglio 2024

Esistono tantissimi tipi di artisti, tantissimi tipi di pubblico e di conseguenza tantissimi tipi di concerto. Oggi proviamo a semplificare le cose, spostandoci dai piani di contenuto a quelli strutturali. Mutato il paradigma di analisi, possiamo individuare, di fatto, due tipi di concerti.

Ogni spettacolo in cui il pubblico sia fisicamente presente nello stesso luogo degli artisti che si esibiscono, si configura come una relazione con due soggetti coinvolti (appunto pubblico e artisti), che si crea e si evolve sulla base di alcuni presupposti sui quali non ci soffermiamo per non allontanarci dal focus.Si possono configurare dinamiche paritarie nel caso in cui gli attori coinvolti si collochino allo stesso livello, o asimmetriche, con i poli della relazione che si pongono su piani diversi, up-down. In questa seconda situazione, uno dei due soggetti, di norma chi si trova sul palco, si situa in una situazione di potere o dominanza nei confronti di chi ha pagato il biglietto.

Ci sono artisti per cui il concerto è uno spettacolo, occasione per dimostrare il loro talento, ricevendo apprezzamento, approvazione e gratificazione. In altri casi, invece, la relazione è paritaria e si costruisce su un piano prevalentemente intellettuale. Altre volte, la relazione paritaria prende forma a livello emotivo. Ci sono artisti per cui ogni concerto è la loro modalità scelta per invitare il pubblico a “giocare” con loro. Vogliono rivelarti la loro essenza identitaria più profonda. Sono bambini che portano il loro giocattolo preferito, e si avvicinano per chiederti “ti va se giochiamo insieme?”. Da questo capisci la cosa più importante; che, a quel punto, tu non guardi e ascolti più il concerto. Tu sei il concerto.

È passata mezz’ora dall’inizio del live, Christone “Kingfish” scende dal palco per portare la sua imponente figura a suonare tra il pubblico che ha mandato sold out la Casa del Jazz di Roma. E noi diventiamo il concerto insieme a lui e alla sua band. Non esistono più posti a sedere numerati, ma soltanto centinaia di corpi sudati, accaldati, accalcati ed appoggiati sul palco, avvolti nel vortice estatico e carnale del blues modellato dall’artista venticinquenne di Clarksdale, nel Mississippi,

Conquisto la prima fila, è a pochi metri da me. Dietro di lui si stagliano come faraglioni due ampli Fender Twin Reverb. Ma la cosa che lascia senza fiato è la sua pedal board: un accordatore cromatico della Boss, un mini-Cry Baby, e un Marshall Shredmaster; fine. Il vincitore del Grammy 2022 nella categoria “Migliore Album di Blues” e di tutti e dieci i “Blues Music Awards”, si porta sul palco due pedali più un accordatore. Non un cazzo di altro. Io facevo cagare portandomi dietro più del triplo di roba.

Kingfish ha il blues, è posseduto dal Nommo, la “Vibrazione” degli spiriti antropomorfi venerati dalle popolazioni dell’Africa occidentale, che attraverso le sue dita diventano musica.

Come ripete il mio amico Sandro, suo grande fan: «se sòna er citofono, a lui je sòna blues».

E allora non è un caso che sia proprio Clarksdale la sua città natale, quella in cui secondo la leggenda Robert Johnson stipulò il patto con il diavolo. Bene, il racconto della serata potrebbe finire qui. Nulla da aggiungere se non ritornare alle parole di Jimmy Page: «La tecnica? Non so, io mi occupo di emozioni». E gettare via in un cestino virtuale tutto quello che ho letto per documentarmi e prepararmi, ciò che fino ad ora mi sono appuntato durante i primi pezzi di stasera, le sensazioni prima del concerto.

Ma sarebbe un peccato, perché Christone è anche un musicista elegante, eclettico. Vanta una pulizia di suono, di tocco, una capacità di giocare con le dinamiche, i pieni ed i vuoti che ti lasciano stupefatto, ancor più se pensi alla sua giovanissima età. Crea sospensioni e silenzi, ti lascia in bilico per poi aprire l’overdrive e partire con svisate che ti sdraiano. Il paragone con Sua Maestà B.B. King che qualcuno ha scomodato, non è campato in aria. E ha una gran voce, anche se la sua abilità con la chitarra faccia passare in secondo piano le sue eccellenti capacità canore.

Christone "Kingfish" Ingram
Christone “Kingfish” Ingram

Apre con ‘Midnight Heat’ che segue una ritmica funky, e sulla quale concede spazio e gloria a DeShawn Alexander, il suo tastierista che passa con fluidità da mondi hammondiani, a sonorità elettroniche, fino ad arrivare a quelle alle più tradizionali pianistiche, con cui sorprenderà nell’apertura del bis con una versione rivisitata di ‘Eleanor Rigby’. A lui è affidato in alcuni momenti il ruolo di frontman. È lui a dividersi l’interazione con il pubblico, chiamando i battimani, arringando la folla, o imbracciando il Korg Rk-100S, il synth a tracolla, lanciandosi in duetti con Christone e condividendo con esso la scena.

Complementari e fondamentali sono le due macchine da ritmo, inarrestabili per le due ore di concerto. Paul Rogers al basso, un Fender Precision a 5 corde, e Chris Black alla batteria. I due che mostrano cosa siano capaci di fare in ‘Another Life Goes By’, in un incastro di ritmo e groove che incontra i Police di ‘The Bed’s Too Big Without You’ e il Marley di ‘I Shot The Sheriff’. L’assolo di chitarra improvviso e incendiario di ‘Empty Promises’ risveglia la coppia che accanto a me scambia romantiche effusioni, non sapendo cosa stia cantando Christone, o forse non sapendo cosa sia il blues. Negli intermezzi più jazz si gode nel sentire il suono della sua mano sinistra sulle corde.

È impossibile star fermi sul groove di ‘Nothing Gonna Lie’, il cui bridge presenta atmosfere e colori del Prince di “Parade”. Sonorità anni Ottanta che si rafforzano anche con lo slap del basso e i suoni del Korg. Poi, mentre penso che il pubblico italiano non imparerà mai a battere correttamente le mani ai concerti, il ragazzo del Mississippi si lancia tra il pubblico. Da lì, la bolgia.

‘Mississippi Night’ ti fa sentire in bocca la melma delle paludi del Delta. Puzza di sudore, campi coltivati e pneumatici accatastati ai lati delle strade del sud. Lo shuffle di ‘Outside of This Town’ sostiene un riff è quasi un ricordo di ‘Personal Jesus’ di Mr Gahan e compagni. C’è spazio anche per una citazione del tema di “The Blues Brothers”. Quando attacca ‘662’, che oltre a essere il cap della sua città, è incidentalmente anche la title track del suo ultimo disco vincitore del Grammy, nostri corpi sono fusi in un unico organismo con mille braccia, ma un unico cuore.

Come anticipato, il bis è aperto dal solo di DeShawn Alexander, al termine del quale rientra la band. Ci salutano con ‘Long Distance Woman’, altro estratto da “662”, dove c’è spazio per citazioni hendrixiane. Ma la serata non sembra mai finire. La chitarra abbandonata in terra in un larsen dal sustain infinito, la band che va avanti ad libitum in una impro psichedelica e Christone Kingfish diventa centinaia di strette di mani e decine di plettri lanciati al pubblico.

Quando sembra ormai tutto al tramonto, tornano sul palco Paul Rogers e DeShawn Alexander. Lo fanno per salutare uno per uno le persone presenti al concerto. Strette di mano, chiacchiere, sorrisi, foto.

«Thank you for your presence here tonight» sono le parole che continuano a ripeterci. Hanno il cuore in mano e te ne fanno dono, proprio come i bambini dopo aver giocato insieme.

Questo è il blues. Questa è la musica. Bambini che giocano fino allo sfinimento. Null’altro.

 

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