Steve Vai, Milano si inchina davanti al Maestro
L’amore che nutre Steve Vai per il paese in cui affondano le sue radici non è un segreto.
Non suona quindi particolarmente strano che, dopo la cinquina di concerti estivi tenuti dal leggendario chitarrista nel nostro paese lo scorso mese di luglio, sia voluto ritornare dalle nostre parti con il suo “Inviolate Tour” per toccare finalmente anche Milano, stranamente rimasta esclusa dalla tornata precedente.
Milano ama Steve Vai, e non manca di farglielo notare accogliendolo con un Teatro Dal Verme praticamente sold-out in ogni ordine di posti.
L’occasione è ghiotta anche per il sottoscritto: dal vivo in passato ho avuto modo di vederlo in azione al fianco di David Lee Roth, in seno ai Whitesnake di “Slip Of The Tonge” e in uno dei tanti show a marchio G3, ma se parliamo del Vai solista, per me questa sera trattasi di prima volta.
La magia prende forma sul palco alle 20:45, quando Vai e la sua backing-band entrano in scena ed attaccano ‘Avalancha’, facendoci notare la prima novità rispetto alle date estive: accanto alla fenomenale sezione ritmica formata dai fedelissimi Philip Bynoe (basso) e Jeremy Colson (batteria), brilla per la sua assenza il chitarrista Dave Weiner, rimpiazzato per l’occasione da Dante Frisiello, promosso sul campo da tecnico delle chitarre a titolare in formazione.
Annotiamo molto rapidamente la questione, per tornare immediatamente a fissare l’attenzione sul divino Steve, che vediamo nel centro del palco impegnato a far correre le proprie dita – letteralmente per chilometri – sul manico della chitarra, su cui spicca la retroilluminazione blu elettrico dei segnatasti.
Lo spettacolo nello spettacolo è osservare la mimica di Vai, che accompagna il suo virtuosismo con un campionario di mosse ed espressioni del viso che pare dicano «sono tutt’uno con lo strumento».
Diciamo ‘pare’ ma in realtà è proprio così: la chitarra in mano a quell’uomo non è solo un pezzo di legno, è un’estensione del suo corpo.
La scaletta del concerto si discosta davvero di poco da quella presentata nelle date estive.
Quindi larga presenza dei brani provenienti da “Inviolate” (il suo ultimo lavoro in studio, che si è fatto attendere per ben sei anni), con doverose menzioni per ‘Greenish Blues’, che il buon Steve annuncia con «questo è un pezzo blues, ma un blues fatto come lo intendo io», e per la mostruosa ‘Zeus In Chain’.
Per il resto, si va a ritroso nel tempo ed è bello ascoltare la classicissima ‘Tender Surrender’ o la splendida ‘Bad Horsie’, un pezzo che nasce sostanzialmente dal riff che lo stesso Vai suona nel film “Crossroads” (non so se lo ricordate, parliamo del 1986), nel celebre duello chitarristico con Ralph Macchio.
Non mancano i momenti di gloria anche per i comprimari, ai quali nel corso dello show viene riservato, a turno, uno slot per i rispettivi assoli.
Personalmente nei avrei fatto volentieri a meno in cambio di un paio di pezzi in più, ma se (correttamente) Vai ritiene opportuno valorizzare chi lo circonda sul palco, chi siamo noi per obiettare?
Nel frattempo sul palco si materializza una misteriosa struttura, strategicamente celata alla nostra vista da un telo.
Immaginare cosa ci sia sotto non è particolarmente difficile ed in ogni caso, la curiosità dura giusto il brevissimo tempo necessario a rimuovere la copertura, rivelando in tutto il suo splendore la famosa Hydra, la chitarra a tre manici che Ibanez ha creato ispirandosi al mostro dalle plurime teste che abbiamo imparato a conoscere dalla mitologia greca.
Un concentrato di tecnologia che riunisce in un unico, memorabile strumento una 12 corde (con la tastiera per metà standard, per metà fretless), una sette corde, un basso (anche in questo caso, customizzato: le prime due corde hanno la tastiera standard, le altre due ancora fretless), un’arpa a 13 corde ed una sezione MIDI: un mostro non solo di nome, ma anche di fatto.
Uno strumento mostruoso per un chitarrista mostruoso, che suonando un mostruoso pezzo come ‘Teeth Of The Hydra’ farà cadere la mascella a buona parte dei presenti al Dal Verme.
Mostruoso lo abbiamo già detto?
Il main-set si chiude con due pezzi da “Passion & Warfare”, la celebre ‘Liberty’ con il pubblico chiamato da Vai a cantarne il tema principale, e una bellissima versione di ‘For The Love Of God’, impreziosita dalla voce da tenore di Danni G., uno dei suoi tecnici del suono che, a quanto pare, nel suo tempo libero si dedica al canto lirico.
Nel doveroso encore viene rispolverato l’album “Fire Garden”, nello specifico con la ‘Suite IV – Taurus Bulba’ su cui Vai si concede una lunga passeggiata tra il pubblico che affolla la platea del teatro, dispensando sorrisi, prestandosi a selfie e via discorrendo, il tutto naturalmente senza mai smettere di suonare.
In definitiva, due ore e un quarto di un concerto memorabile con un Vai in splendida forma sia fisica che strumentale ed una scaletta precedibile, ma generosa.
In tutta franchezza speravo venisse proposto qualche pezzo relativo al progetto “Vai/Gash”, l’album (bellissimo) uscito poche settimane fa che raccoglie brani più classicamente rock risalenti ai primi anni ’90, ma come si suole dire, non si può avere tutto dalla vita.