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Spring Attitude Festival 2024 | Day 01

TANTE CONFERME ECCELLENTI, MA NON SOLO, NELLA PRIMA GIORNATA DEL FESTIVAL ROMANO

Grande successo e ottima risposta di pubblico nonostante freddo e pioggia: la musica batte il maltempo

Roma, 13 settembre 2024

Cos’hanno in comune Mark Arm e i Mudhoney con lo Spring Attitude Festival è presto detto. La frase per invitare il pubblico dei concerti ad abbattere il muro di smartphone frapposti tra i suoi occhi e quelli degli artisti e godersi l’esperienza.

“Put Your Phone Away” appare a caratteri cubitali sul videowall del palco temporaneamente non occupato dalla performance degli artisti. Potrebbe diventare un hashtag, forse lo è già. L’invito è accolto dalla maggioranza delle ragazze e dei ragazzi che affollano lo spazio aperto interno agli studios di Cinecittà, per la tredicesima edizione della manifestazione musicale, la terza all’interno della struttura di via Tuscolana.

E questo nonostante oggi di spring ci sia solo l’attitude. Il festival di inizio autunno, che invita all’inizio dell’autunno ad approcciare la vita come un’eterna primavera, comincia con un tempo meteorologico simil invernale. Secchiate di pioggia gelata flagellano le prime due ore di concerto. Chi può trova riparo sotto qualche albero, altri sotto spicchi di tendone dei chioschi che vendono birre e bevande. Qualche improvvido maledice il non avere sullo smartphone le app del meteo e trema di freddo. Altri ancora, i più previdenti e attrezzati, o anche i più temerari, sfidano le riottosità del meteo e si godono i concerti sotto i palchi.

Hanno ottime ragioni per farlo. Perché si godono la bella apertura di RBSN, ovvero Alessandro Rebesani. Non accusa l’emozione di esibirsi nella sua città, abbandonata diversi anni fa per ampliare i suoi orizzonti musicali. Entrato in contatto con la scena jazz ed elettronica di Londra e di Leeds, ci regala una raffinata e intensa mescolanza di pop, elettronica, jazz e lascia aperto uno spiraglio di funky. Voce piena, belle melodie e grande padronanza della chitarra.

RBSN-Band
RBSN

Il suono è caldo, l’ottimo uso della leva del vibrato ne accentua l’espressività. La tecnica c’è, si sente ma non si ostenta. La musica italiana di respiro internazionale (è sotto contratto con l’etichetta newyorkese Ropeadope) esiste, ma devi andartela a cercare. Coraggioso, nel suo set inserisce solo brani inediti del suo disco di prossima uscita. In chiusura ospita l’amico e collega Marco Castello, con il quale esegue ‘Muro’, singolo uscito nel marzo di quest’anno per il collettivo romano Odd Clique.

L’internazionalità è un marchio di fabbrica del festival. E i Film School sono la band che non ti aspetteresti mai ad un festival italiano rivolto a un target prevalentemente di giovanissimi. Californiani, si formano nel 1998; sette dischi all’attivo, aprono il tour europeo di “Field” ultimo disco datato 2023. Una band shoegaze a Cinecittà fa dimenticare l’acqua gelida che continua a cadere. Muri di suono costruiti con distorsioni ammorbidite da flanger, chorus e passati in riverberi e delay che li rendono infiniti e ne ampliano a dismisura gli orizzonti. Il suono è un tappeto volante sul quale salire e dal quale lasciarsi trasportare.

Film School

Le note sono gocce di fuoco liquido, mentre le voci di Greg Bertens, alla chitarra, e di Loreley Plotczyk, al basso, fluttuano, danzano, si lasciano, si ritrovano, mescolandosi in un’atmosfera onirica e fiabesca. Raccolgono il testimone da band come i Lush e chiudendo gli occhi si potrebbe immaginare di essere tornati indietro  al periodo d’oro della 4AD

Sebbene si torni in Italia, si continua con una realtà della musica internazionale. Marta del Grandi torna a Roma a distanza di nove mesi, dopo un’intensa attività di concerti italiani ed europei. Della sua esibizione al Monk avevamo già raccontato qui. Che quell’apparizione abbia contribuito a creare una affezionata “fanbase” capitolina ne è conferma la presenza di diverse persone che ebbero modo di apprezzarne qualità ed energia

Artista cosmopolita e viaggiatrice, di formazione jazz, aperta a incontri con l’elettronica, il pop, le sonorità orientali, la sperimentazione. È immediata e disarmante nella sua naturalezza e semplicità. Sul palco con grazia e rispetto assoluto verso chi la sta ascoltando. Il pensiero è per chi sta sfidando una situazione climatica che mostra tutta la sua inclemenza “il tempo migliorerà e lo farà soprattutto grazie a voi”. Sul palco è accompagnata dalla sua chitarra, dal fidato Gabriele Segantini alla batteria e all’elettronica e da Vito Gatto al violino.

Marta Del Grandi

Non perde mai il contatto oculare con gli spettatori. Sembra stia suonando proprio per te e sembra conoscerti da una vita, magnetica, catalizza attenzione con gesti misurati ed armoniosi. Sussurra, ipnotizza, danza, una presenza blu in un universo rosa. Passa da universi più cantautorali in ‘Marble Season’, a momenti elettronici, sperimentali, a volte inquietanti e carichi di tensione come in ‘Mata Hari’. Quando non decide di invitarti a una passeggiata in una selva delle meraviglie come nella canzone che dà il titolo al suo ultimo disco, che si sviluppa in verticale con le sovrapposizioni della loop station. E d’incanto la piogga viene a cessare.

Comincia a riempirsi l’area concerti e cominciano a saltare e ballare i presenti. Lo fanno con Marco Castello, siracusano docg e di formazione artistica jazz. Polistrumentista, è sul palco con una formazione che non ha nulla da invidiare alle migliori band jazz, funky e soul. In essa troneggia una sezione fiati costituita da sax baritono, tenore e alto. Black, soul e Sicilia, e quando serve anche una bella botta di elettronica e disco, che fa ballare, divertire, ma anche scaldare tutti quanti.

Marco Castello

Nelle timbriche vocali, nel modo di cantare e concepire struttura ed arrangiamenti dei pezzi, si trova una parte di anni settanta italiani; ed è certamente un plus. Parti strumentali di altissimo livello. Dimostra di essere un gran chitarrista ritmico quando decide, sul momento, di lanciarsi e lanciare la band in una tirata e trascinante cover della battistiana ‘Dio Mio, No’. A chiudere, per le orecchie più attente ci sono anche riferimenti e citazioni beatlesiane negli arpeggi chitarristici. Menzione doverosa, la crêpe alla crema di nocciole più famosa del mondo e il mare siciliano sul videowall.

Cala l’oscurità e arriva Daniela Pes. Come Marta Del Grandi un’estate trascorsa in giro tra Italia ed Europa. E come per l’artista milanese, di lei avevamo raccontato mesi fa, a proposito della sua esibizione all’ultimo Marte Live. La formazione è la stessa di allora: trio di elettronica e percussioni. È ieratica, solenne, religiosa, intensa e sensuale. Canta in una lingua fatta di suoni presi dal gallurese, dall’italiano e da glossolalie e onomatopee da lei create. Sonorità che avvolgono, cullano e invitano all’abbandono. Fino a quando non si è scossi da polifonie vocali su incedere percussivi tribali e ritmici, con figurazioni dispari (in 7/8, se ho ben contato) che possono evocare un’associazione con Le Mystère des Voix Bulgares (mi accorgo, in sede di scrittura, di aver azzardato lo stesso accostamento già nove mesi fa n.d.r.).

Daniela Pes

Con ‘Arca’ la musica si fa preghiera. Che sia al Sole, alla Madre Terra, a qualsiasi divinità che possa evocare una mistica celeste. Il tempo di purificarsi che entra una cassa dritta, ossessiva, a indurre una trance collettiva e trasformare il candore niveo e apollineo in sfrenato rito dionisiaco, oscuro e orgiastico, in un sabba di liberazione di istinti animali, in un attivazione dei chakra più terreni. Non resta che lasciar andare il corpo, respirare e godersi fino in fondo le vibrazioni sonore e le trasformazioni alchemiche che inducono nei nostri costituenti cellulari. Più convincente stasera rispetto alla, comunque, interessante performance dello scorso inverno. Non c’è altro da aggiungere. Queste righe credo possano bastare per mettervi la giusta curiosità di andare a un suo concerto.

Uno dei clou della serata è Cosmo. Producer, dj e cantautore di Ivrea. Un successo sempre più crescente, testimoniato anche ormai dalle parecchie migliaia di persone (si parla di una cifra intorno alle 10.000) che sono giunte qui in periferia sudest di Roma ad ammirarlo. Sta terminando il tour estivo del suo ultimo disco “Sulle Ali Del Cavallo Bianco”. Lo vidi anni fa nel 2017 a Piazza Farnese, a Roma, in occasione della Festa della Musica, sono curioso di scoprire la sua versione cantautorale e pop. Sul palco con elettronica, batteria acustica e, in alcuni pezzi, chitarra.

Sarò impopolare, ma un po’ mi delude. La partenza reggaeton di ‘Gira che ti Gira’ è un pugno nello stomaco. Elettronico è sicuramente meno coatto e pesante del latino, ma è un pescare a strascico e vincere facile. Un po’ meglio va con ‘La Musica Illegale’, almeno per i suoni. Bei bassi, gusto e originalità.  Ma il problema sono le canzoni. Pop leggero e insipido vestito con l’abito dell’elettronica. Non è il mio mondo sonoro, capisco anche il successo, ci può stare. Ma lo trovo piuttosto banale, melodie e testi. Eccessivi, lui e la cantante che lo accompagna, negli outfit. Certe cose meglio lasciarle ad altri che sanno come indossarle e possono permettersele. Troppo frenetico nel modo di stare sul palco

Cosmo

Viceversa, le produzioni, i beat, i suoni funzionano, trascinano, coinvolgono. Diventa un vero e proprio treno, sa come si costruiscono i pezzi, sa curare i dettagli che fanno la differenza. Il problema è l’accostamento con le canzoni pop e ne viene fuori un ibrido senza senso.

Peccato, perché l’energia la ha e la sa scatenare. Invita anche lui a far sparire tutti i telefoni cellulari, ostacolo all’empatia e alla circolazione di emozioni tra pubblico e artista, per creare quella che definisce una “psicomagia”. O quando non si nasconde dietro un dito e, in ‘Tristan Zarra’, canzone mai come ora attuale, si espone politicamente e direttamente contro il clima repressivo del paese. O come quando sul palco compare improvvisamente una bandiera della Palestina. L’energia è alta, le canzoni si lasciano dimenticare. Però non sono io il suo target di riferimento e se il pubblico è esaltato, beh alla fine il gioco è anche questo.

Infine si arriva a notte inoltrata con la sequenza di dj set italiani e internazionali. Lo scozzese Barry Can’t Swim, musicista elettronico, producer e dj da Edimburgo. “When Will We Land” è il suo primo album uscito nel 2023. Inserito dalla stampa specializzata nella lista dei migliori lavori usciti in Regno Unito. A seguire MACE, spostato di orario a tarda serata, fino ad arrivare a The Blaze e Jersey. Ma siamo ormai ben oltre le tre di notte, il tempo è dei giovanissimi e quelli come me ripiegano a più miti consigli. Domani c’è una seconda giornata che inizia alle 16 e la gestione delle energie dopo una certa età diventa strategica.

Postilla di chiusura: organizzazione perfetta, almeno fin quando sono rimasto nell’area concerti. Parecchi food trucks, pochissima fila per il food & beverage, veloci le ricariche cashless, app funzionante, numero più che abbondante di bagni, vie di fuga presenti, semplici le procedure di accreditamento. Come lo scorso anno, vincente l’idea dei due palchi affiancati. Niente tempi morti, ritmi intensi, nessun ritardo sulla tabella di marcia, non cala l’energia, e soprattutto non ci si perde il pubblico. Atmosfera rilassata, good vibes. Insomma, allo Spring Attitude si sta molto bene.
Ma allora si può fare anche in Italia.

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