Oca Nera Rock

Turn ON Music

Spring Attitude Festival 2023 | Day 01 – 02

Festival in Italia: sì, no, questi sconosciuti.
Dopo le osservazioni generali su un vuoto tutto nostrano causato da molteplici fattori (leggi qui l’articolo, ndr), cosa c’entra lo Spring Attitude Festival?
Tanto, perché agli organizzatori riconosco il merito e il coraggio – in quale ordine decidetelo voi – di provare ad uccidere il drago portando, nella peggior città possibile per queste manifestazioni, la cultura dei grandi festival europei e un cartellone di artisti più che interessante.

Mi emoziona trovarmi alle ore 15.55 di una domenica di settembre lungo via Tuscolana, altezza metro Cinecittà, a farmi scansionare il Qr Code del biglietto valido per la seconda giornata dello Spring Attitude Festival.
Un brivido mi percorre la spina dorsale mentre ricevo un braccialetto color viola sul cui microchip potrò caricare, tramite app dedicata, la cifra stanziata per il budget food and beverage per le successive nove ore.
Imprecazioni variegate fremono in potenza sulla punta della mia lingua al quarto infruttuoso tentativo di scaricare la suddetta, bloccate dal diventare atto da ragazze sorridenti, gentili e con le sopracciglia glitterate piazzate nelle aree di assistenza all’interno del festival. Credeteci o meno, ma il download si sblocca.
Potenza del glitter.

Battute a parte, sono da qualche minuto passate le ore 16 quando entro negli studios di Cinecittà, luogo deputato per accogliere la dodicesima edizione del Festival.
Le vibrazioni – anzi, le vibes, come dicono i giovani – sono delle migliori.
L’app si è scaricata, ma dopo i disguidi del giorno precedente, è possibile caricare il braccialetto soltanto tramite le casse con il personale. La zona è ancora semideserta e ne approfitto: sarà la migliore decisione della settimana.
Il grosso del pubblico è previsto per il liveset dei Moderat, ma i volti che incontro sono diversi da quelli che normalmente si incrociano nei grandi concerti mainstream: facce da festival europeo.
Sarà anche snob o radical chic, ma mi autocompiaccio.
Pochissimi gli smartphone sollevati durante le prime esibizioni, più avanti sarà diverso.

C’è grande attenzione alla pulizia, con diversi secchi per la raccolta differenziata.
In più, l’area concerti è pattugliata da addetti che raccolgono carte e rifiuti di qualsiasi tipo.
L’area deputata ai concerti si trova immediatamente dietro l’entrata della città del cinema; lo spazio retrostante, enorme e suggestivo, utilizzato lo scorso anno, è impiegato per le riprese di un film.
Mancano le scenografie che rimandavano all’antica Roma, ma ce lo facciamo andar bene.

I palchi sono due, uno ha il nome del main sponsor, storica casa di liquori nota per la sambuca.
Sono affiancati, tra essi un megascreen sul quale campeggia il logo del festival alternato a quello degli sponsor e degli enti patrocinatori.

Ventiquattro band previste nei due giorni di concerti: i live set si susseguono con ritmo, nulli i tempi di attesa tra le esibizioni che si alternano sui diversi stage, veloci i trasferimenti del pubblico da un palco all’altro.
Molto bene anche l’acustica e la resa dell’impianto.
La musica esce anche dalle casse del palco non coinvolto nella performance, per consentire un ottimo ascolto anche a chi preferisce non infilarsi nella calca.
Un miglioramento rispetto alla precedente edizione è l’aumento del numero dei punti di ristoro e la quasi totale assenza di fila ai chioschi di street food e al bancone delle bevande.
Presenti anche spazi ludici, uno stand di tatuaggi, un area vip, con biglietto (e ristoro) dedicato.
Ben nutrita anche la schiera di bagni chimici: zero coda anche lì.

Non così, purtroppo, alle casse per la ricarica del credito sui braccialetti.
Il bug della app costringe tutti gli spettatori a ripiegare sui vecchi e cari metodi parzialmente analogici. Poco male per chi è arrivato prima delle 18, un problema per i ritardatari, in coda in alcuni casi per più di un’ora. Altra area di miglioramento; il mancato utilizzo del megascreen tra i due palchi per consentire alle persone lontano dallo stage di poter godere di dettagli e particolari dell’esibizione degli artisti.

La musica

Peggy Gou

Il cartellone dello Spring Attitude è sempre attento ai nuovi suoni, alla contemporaneità, con un occhio di riguardo per l’elettronica, ma con alcune eccezioni di qualità.
La giornata di sabato unisce pubblici diversi tra loro: gli amanti del rock affollano il parterre per i Verdena, che tornano in tour dopo sette anni (qui per leggere del loro concerto al TOdays di Torino), e i Bud Spencer Blues Explosion, prossimi, si spera, a un nuovo album.
I fan dei suoni più elettronici e della techno, giovanissimi e non solo, per l’house mediterranea degli Acid Arab e per il dj set della coreana Peggy Gou.
Line up di domenica sposata verso il rap e il pop elettronico: il clou è la band berlinese dei Moderat, brilla di luce propria una Meg in grande spolvero, Lucio Corsi dimostra come si possa fare eccelso cantautorato in Italia senza basi, harmonizer, autotune.
Gli Studio Murena si confermano, con le loro contaminazioni, sempre meno promessa e sempre più realtà consolidata e meritevole di attenzione da pubblico e critica.

Passo la giornata di sabato sulle autostrade italiane e salto a piè pari fino a domenica, che si apre con Giin, ventenne cantautrice, che si esibisce alle 16 in punto per i fotografi e qualche temerario sotto il sole di Roma Sud.
Voglia ed energia, ma quindici minuti sono pochi per poterne scrivere in modo esaustivo.
Appena più lungo il set di Anna Carol, pop elettronico tracimante in alcuni momenti nel bacino del dream pop.
È poi il turno dei già citati Studio Murena: sorpresa in Ungheria 2023 (qui il racconto della performance a Budapest), conferma a Roma Sud.
Rap vigoroso, inserimenti di piano elettrico, suoni prog, jazz, metal e funky, intermezzi ritmici latini che diventano cassa dritta.
Potenti e con gusto, meglio di quarantacinque giorni fa, complice l’impianto migliore rispetto a quello del Light Stage allo Sziget Festival 2023.
Del resto, se ti passa “Battiti” su Rai Radio 3 qualcosa vorrà dire.

Ele A

Si ritorna nell’universo delle voci femminili con Ele A e Bluem.
La prima, rapper di Lugano, è accompagnata da dj e basi elettroniche. Carini alcuni ritornelli in cui abbandona la scansione aggressiva delle rime per abbracciare il canto.
La seconda, all’anagrafe Chiara Floris, miscela la tradizione sarda con il pop elettronico: loop, synth, piano, drumming, unghie che graffiano una terra dura e spietata.
Alcuni pezzi con introduzioni lasciate alle voci estratte da interviste di Maria Carta e Michela Murgia.
Più convincente nei brani più elettronici, con un buon lavoro di drumming e dei synth, meno quando cade nel mortifero tranello del pop italiano.
In questo caso aumenta il rischio di cadere nel mondo “sole, cuore, amore”.
In una canzone è accompagnata solo dal piano e mi ricorda Mara Redeghieri di ‘Piano con l’Affetto’, ma una vocina interna mi sussurra «piano anche con i paragoni, ragazzo».

Bluem

La cantautrice sarda è anche ospite nel set dei Fuera, band campana all’incrocio tra rap, psichedelia e suoni mediterranei.
Evoluzione di una tradizione musicale che affonda le radici nel territorio tra i più musicali della penisola: funzionano, mi fanno ballare e per me funzionano.
Li preferisco più psichedelici, quando mi abbandono idealmente a voli e capriole, che nei brani più propriamente rap e hip hop.
Stona il cazzeggio eccessivo e forzato di uno dei due frontman tra un pezzo e il successivo.
Appesantisce e comunica, almeno a me, trascuratezza e un po’ di sciatteria: non serve, e con un diverso atteggiamento la band ne guadagnerebbe in solennità e atmosfera.
Esplosivi e in qualche caso – forse esageratamente – sovversivi («entro a Montecitorio con un RPG»).
Chiudono con un pezzo a 160 bpm e sul palco adiacente anche Lucio Corsi e la sua band, in attesa di esibirsi, dimostrano di gradire.

Lucio Corsi

Sarà il nome di battesimo particolarmente indicato per un cantautore o sarà solo il suo talento, Lucio Corsi si conferma erede della tradizione cantautorale italiana, in particolare quella che più orienta i suoni verso il rock.
Racconta di ispirarsi a Ivan Graziani e Flavio Giurato.
Lo ascolto e lo immagino come ipotetico risultato di un incontro tra il rocker teramano di Pigro e Federico Fiumani che passeggiano sottobraccio al Renato Zero di “Zerolandia” ed “Ero Zero”.
Look androgino, maschera da Clown Bianco – leggasi viso dipinto di bianco e rossetto rosso -, giubbotto fiabesco a ricordare una farfalla dal corpo nero e le ali gialle.
La band è collaudata, per sua ammissione sono tutti amici fin dai tempi del liceo: tre chitarre potenti, basso, batteria, piano e tastiere.
In alcuni momenti, vedi ‘Bocca della Verità‘ o ‘Danza Classica‘ le ispirazioni traggono linfa anche dal mondo del Bowie di “Ziggy Stardust”.

Lucio Corsi è artista a tutto tondo, non si discute. In ‘Amico Vola Via‘ il raccogliere le foglie secche diventa un atto d’amore per proteggere le fragilità umane, in un mondo in cui troppi pensano di fornire corazze ai più sensibili, anziché costruirgli ali per volare. ‘Danza Classica‘ ha un attacco malinconico, suoni anni ’70 che piacciono alla Gen Z. Ha una fanbase nutrita e giovane, che lo apprezza e che canta insieme a lui.
Se hai idee, qualità e sei portatore di autenticità i suoni sono senza tempo e i testi colpiscono al cuore.
Eccellente anche l’intermezzo acustico, con una menzione particolare per ‘Francis Delacroix‘, singolo uscito pochi mesi fa e dedicato a uno degli astri nascenti italiani della fotografia di moda e musicale.

Il rientro della band coincide con altre bombe di rock and roll quali sono ‘Il Lupo‘ e ‘Magia Nera‘.
Poi spazio per la cover di ‘20th Century Boy‘ dei T-Rex (Marc Bolan, ecco chi), per poi ritornare ad atmosfere più classiche con ‘Cosa Faremo da Grandi?‘.
E chissà che non decidiamo di dedicarci a fare il giro della morte in altalena fino a perderci nello spazio, come un certo Major Tom; o come ‘Altalena Boy‘, il protagonista del pezzo con cui chiude il suo set.
Una leggenda che Lucio Corsi spera si avveri.
Credo che per lui sia già così.

Tutti Fenomeni

Secondo una delle leggi fondamentali della percezione, il nostro cervello percepisce e valuta gli stimoli in relazione tra loro e non in senso assoluto. E allora la mia percezione e valutazione di Tutti Fenomeni risente dell’esibizione della quale ho appena scritto.
Il progetto indie rap di Giorgio Quarzo Guarascio ha energia, fa saltare e ballare un bel po’ di persone, ha visual divertenti (frame di Angela Lansbury, Quentin Tarantino ed eserciti di paesi retti da dittature che marciano), ha citazioni spiazzanti di grandi classici della musica italiana.
Ma sono ancora con la testa nel mondo di Lucio Corsi e tutto si ferma nell’anticamera della mia anima. Ne approfitto per ristorarmi.

Così come alla lunga trovo prolisso il dj set di Christian Loffler, opinione sulla quale non tutti concordano.
Antipasto dei Moderat, dj set elettronico con bassi martellanti e interventi, riusciti, di voce femminile.
Costruisce bene delle piramidi di suono, con progressive microvariazioni che entrano troppo lentamente e appesantiscono un po’.
Ma la verità è che sto scalpitando sotto al palco dove tra non molto suoneranno i Moderat.

Come gli Studio Murena, li ritrovo a distanza di un mese e dal tendone del Freedome di Budapest agli studi di Cinecittà.
Aprono con morbidezza, melodia.
La voce di Sacha Ring canta ‘Ghostmother‘, con il secondo pezzo si prendono pubblico e scena: ‘A New Error‘ è ormai diventato un classico, saccheggiata anche dal mondo della pubblicità.
I visual anatomici in 3d di arti superiori ricostruiti al computer accompagnano altre centinaia di braccia tridimensionali, queste reali, che si alzano impugnando gli smartphone, ahimè.

Moderat

Sgombriamo il campo dai dubbi: un concerto dei Moderat prima si ascolta e forse dopo, ma non sempre, si balla.
In ‘Eating Hooks‘ sono immerso in un acquario amniotico di suoni, popolato da ammalianti sirene o terribili mostri tentacolari. Sono trasportato dalla corrente, in simbiosi emotiva ed energetica con i tre musicisti grazie a un cordone ombelicale di frequenze basse in simbiosi emotiva ed energetica con i tre musicisti.
Sacha, Sebastian Szary e Gernot Bronsert – grandissimi paraculi – sanno giocare come vogliono con le emozioni del pubblico.

In ‘Rusty Nails‘ la voce suadente di Ring filtrata e passata al setaccio dei delay ci ricorda che «hell is above».
È evidente l’accuratissima ricerca sui suoni e la maestria della band berlinese, in grado di cambiare registro in pochi secondi ma con la massima fluidità e naturalezza, senza mai essere brusca.
È quello che accade in ‘NEON RATS‘ (in maiuscolo nelle track list), titolo forse volutamente assonante con la ‘Neon Lights‘ dei   Kraftwerk; un crescendo che si risolve in corpi che si agitano annullando le coscienze e l’ego individuale.
In uno dei templi della cinematografia mondiale, dopo la metafora ungherese della Zion delle sorelle Wachowski, è Richard Fletcher con il suo ‘Fantastic Voyage‘ – in Italia tradotto come “viaggio allucinante” – a suggerirmi stanotte le visioni e le sensazioni scatenate dalla musica e a lasciarmi scivolare dentro me stesso. 
Dal corpo umano passo a sprofondare ed esplorare il cuore pulsante della terra, volando radenti su laghi infuocati di Nichelio e Ferro, in cui galleggiano giganteschi iceberg di silicio, magnesio e alluminio.

Animal Trails‘ è la celebrazione di un rito pagano di adorazione e invocazione al Dio del Sole, echi dai Pink Floyd di ‘Set The Controls for the Heart of the Sun‘, crescendo tribali e parossistici; un effetto Larsen percussivo, trance indotta che apre il chakhra della corona agli Spiriti Superiori. E meno male che pensavo di riuscire a portare avanti un ascolto più analitico, distaccato e presente a me stesso, rispetto a un mese fa.

FAST LAND‘ (maiuscolo anche questa) si regge su una base groove quasi trip hop che da forma a gigantesche eclissi e buchi neri, mentre ‘Les Grandes Marches‘ è una scala infinita di note a salire verso l’empireo, i cieli delle stelle fisse.
Per contrappasso scorrono visioni apocalittiche di piramidi di roccia sgretolarsi e franare inghiottite dal sottosuolo.
Il primo bis è ‘Milk‘, il brano che mi ha fatto innamorare di loro, sintesi di Giorgio Moroder e Kraftwerk.
Salutano Roma con ‘Bad Kingdom‘, brano cantato, electropop, quasi new wave.
La voce di Sacha Ring in falsetto è lascito melodico della band.
E mi incolla addosso la voglia di tornare a Berlino, ai party della domenica pomeriggio del Club der Visionaere, alla Kulturbrauerei, al Watergate con la sua spettacolare parete di vetro sulla Sprea, dove fecero entrare me, vestito come uno scappato di casa e rimbalzavano quelli infighettati con la camicia alla moda.
Lo sapevo che avrei finito con l’attaccarvi un pistolotto su Berlino.

No, invece non ho finito, c’è Meg.
Bravissima e sorprendente, un’ora di grande musica, accompagnata da un dj alle macchine, ai piatti e all’elettronica.
Comunicativa, spontanea, emozionante: tiene il palco alla grande, parimenti canta e, mentre gioca con un pedalino sul banco dei piatti (un delay o una loop station) trascina un pubblico che per buona parte non era nato ai tempi dei 99 Posse.
Per lei il tempo sembra essersi fermato, per me anche.
Ma quando canta ‘Quello Che‘ e ‘Sfumature‘ mi accorgo che si ferma col cazzo e gli occhi mi si inumidiscono.
La metropolitana, invece, sì.
La stazione della linea A dista meno di dieci metri dagli studios di Cinecittà, ovviamente è chiusa: non mi resta che un semaforo bruciato davanti a una macchina dei vigili urbani.
Temo non si fermi nemmeno l’ufficio contravvenzioni del Comune di Roma.
Vi farò sapere.

Adesso torno a casa.
Voi però tornate il prossimo anno allo Spring Attitude, che la app funzionerà alla grande.
Fatelo anche con la metro chiusa.

Roma, 23-24/09/2023

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© Giulio Paravani

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