Sonic Storm Festival live a Milano: una tempesta di emozioni
Nella serata nebbiosa di sabato 11 novembre si è consumato il primo appuntamento del Sonic Storm Festival, evento concepito per proporre live il metal in tutte le sue varianti.
Come dei petali, le derivazioni del metal vanno a comporre il fiore di una passione che supera i tecnicismi, la hit preconfezionata, la pochezza qualitativa discografica e radiofonica proposta in Italia.
È un fiore che ha bisogno di poter sbocciare per ribadire che, oltre ai grandi gruppi passati, esistono ancora band animate dal fuoco sacro della passione, espressa con una potenza devastante soprattutto dal vivo.
Una passione ed una volontà che hanno avuto modo di coniugarsi nel piccolo ed interessante tempio della musica live, il Legend Club di Milano, locale il cui cartellone riesce a proporre numerosi gruppi che spaziano su tutta la tavolozza di colori della musica italiana metal e non solo.
Con questo spirito, sono gli Holy Shire ad iniziare la serata tessendo con una trama dall’ambientazione fantasy la loro performance.
Un validissimo gruppo, assolutamente non banale nonostante il gran numero di contendenti nel genere.
Attraverso le complementari voci femminili di AEON aka Erika Ferraris (brutalmente energica) e di Simona Pala (più lirica e melodica), gli Holy Shire trasportano il pubblico nel loro universo.
Una performance apprezzabile che ha raggiunto picchi interessanti anche grazie alla bella prestazione della flautista Chiara Brusa, che ha doppiato in alcuni passaggi le melodie delle chitarre di Faccini, incrementando noevolmente le qualità oggettive della band.
Un set di dieci pezzi che accostano il pubblico al mondo degli Holy Shire attraverso brani tratti dal loro album d’esordio (2014) e della recente produzione.
Dopo i cavalli di battaglia come ‘Game of Thrones‘ e ‘Winter is coming‘ (tratti dalla saga di “Game Of Thrones”) si vola alto con ‘Skirim‘, ‘Greenslaves‘ e ‘Overload of Fire‘, verso una bella sorpresa: la proposta di un inedito.
‘Dance Macabre‘ è prodotto e cantato per l’occasione da Masha degli Exilia, il che dimostra ancora una volta quanto sia necessario scommetere su band che altrimenti avrebbero poche possibilità di esprimersi.
Chiudono l’esibizione la bella ‘Beyond‘ e il gran finale ‘Misgard‘.
Davvero una bella prova per la band milanese.
Si ritorna dal Valhalla con un veloce cambio set e si attende curiosi l’esibizione dei Pain Is.
La band austrica, praticamente sconosciuta in Italia, arriva al Legend Club dopo aver calcato i più grandi palchi di festival europei come il Wacken.
Forti del loro ultimo singolo ‘Don’t let us down‘, i Pain Is hanno tutta l’intenzione di conquistare il pubblico presente – e a dirla tutta, la band non compie assolutamente fatica nell’intento.
Si parte decisi e Jerome e compagni mietono vittime tra i presenti con una prestazione eccellente, sfornando un set intenso e potente.
La core band è forte di suoni cattivi, ritmiche possenti e una presenza scenica importante e senza compromessi.
Vestiti da concierge di un locale sado, abbinano l’eleganza di completi classici all’idea neanche tanto sommersa che ci si sta infilando in qualcosa di losco.
Come se la rigida serietà rappresentata da Jerome Jaw e Steve T debba sfociare nei desideri nascosti e violenti del chitarrista Tom Steam e nella bellezza assolutamente intrigante e gotica della bassista MaC.
I Pain Is sfoderano quasi in toto il loro album d’esordio del 2012, “God Particle”, che dopo il cambio di formazione nel 2015 (con Tom Steam alla chitarra), vale alla band la partecipazione al Wacken Battle.
Pezzi come ‘Today‘, ‘End of the game‘ e ‘Left all Behind‘ rendono la potenza d’impatto di questa band che esprime così al meglio il proprio potenziale.
Headliner della serata i milanesi Exilia, una delle alternative metal band più conosciute fuori dai confini italiani.
Sempre più paladina del detto “Nemo propheta in patria sua”, gli Exilia godono di un successo granitico costruito grazie alla propria credibilità e che ha dato vita ad uno zoccolo duro di fans sparsi in tutta Europa.
Forte di sei album alle spalle e intensi tour accanto a nomi quali Rammstein, Guano Apes e Soulfly, la band vanta numerosi successi grazie ai propri singoli, dei quali uno addirittura scelto per commercializzare i prodotti di una nota casa di abbigliamento sportivo.
Capitanati sempre dalla poderosa ed intensa timbrica vocale della singer Masha Mysmane, gli Exilia riescono a esplorare con la sensibilità e la profondità dei testi l’intimità dell’animo, riuscendo nel contempo a infondere una coscienza negli ascoltatori su cui riversare il proprio sentimento sociale.
Un set intenso di undici pezzi che rappresentano la visione e il messaggio della band, volta a smuovere l’apatico e bucolico panorama musicale nazionale.
La opener ‘The Hunter‘ fa capire che gli Exilia sono una band che non accetta compromessi, con la strofa «Catch me motherfucker» che rappresenta il leitmotiv del gruppo.
‘Satellite‘, dall’album “Decode” del 2012, con i suoi suoni potenti e cupi uniti alle liriche colpisce come un maglio e la tematica riguarda la guerra e la sua insensantezza.
Dallo stesso album si riprende anche il messaggio di speranza di ‘Fully alive‘ con cui sembra chiudersi il cerchio.
Il basso delicatamente dosato sui suoni distorti e l’attenzione melodica di Simone Matteo Tiraboschi fanno scuotere il pubblico su quel ‘One minute‘ tratto dall’ultimo lavoro del 2015, l’ottimo “Purity” da cui viene tratta anche la seguente ‘Closer‘.
Un tris di canzoni prese del secondo album (“Unleashed”, 2004) esalta la capacità emotiva dei testi della band: ‘Day in Hell‘, ‘Underdog‘ e ‘Coincidence‘ mantengono alta la partecipazione del pubblico che affolla il locale.
‘She’s not me‘ è un colpo al petto grazie alla parte melodica ipnotica e alla carica vocale. ‘Kill Me‘ aggiunge ulteriore coscienza al tema delle vittime di soprusi, qui affrontato con un feedback crudo e violento.
La chiusura del live arriva con ‘Stop Playing God‘, altro brano dal forte messaggio sociale.
Quella degli Exilia è una performance garanzia di energia, dedizione e purezza.
La batteria di Mark Campailla è un muro sonoro imponente e la chitarra di Wolf è sempre attenta a tessere riff intriganti.
Il Sonic Storm Festival si rivela come un bellissimo evento che rappresenta quello che il nome stesso del festival vuole essere: una tempesta sonora che cerca di smuovere gli ascoltatori medi.
Per questo, il compito del Sonic Storm Festival è di proporre artisti validi che non temono di bagnarsi sotto la pioggia di energia che scaturisce dalle loro stesse composizioni.