Savana Funk: la musica come scambio d’amore
L’energia dei Savana Funk, tra funky, afro e blues
La band bolognese scalda con sonorità infuocate l’anticipo d’inverno romano
Roma, 24 novembre 2024
Dopo l’intervista del novembre 2022, all’indomani dell’uscita di “Ghibli”, avevamo lasciato i Savana Funk alla loro esibizione nell’edizione 2023 dello Sziget Festival di Budapest. Da allora, per Aldo Betto, Blake Franchetto e Youssef Ait Bouazza i progetti di contaminazione con mondi sonori diversi, si sono susseguiti con cadenza regolare.
Hanno dato vita al progetto Savana Sound System, concerti nei club affiancati da producer e dj come Rocca, Zingabeat, Loopus in Fabula e Gaudi, insieme al quale hanno realizzato l’EP “Raha”, uscito per Record Kicks. Un altro pezzo, ‘Samsara’, è uscito nel settembre scorso. Ha avuto seguito la collaborazione con Willie Peyote, concretizzatasi nel singolo ‘Wa Zina’, dedicato alla lotta delle donne iraniane. Presenti anche sul piccolo schermo, grazie alla partecipazione a Propaganda Live, affiancando la Propaganda Orchestra per un’intera puntata. Infine, live, solo live, ininterrottamente live; dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia. Dai quaranta gradi dell’estate, al freddo becco di una sera d’anticipato inverno novembrino, con una Roma modello cella frigorifera e un’AS Roma che sprofonda.
Ma non pensiamoci troppo e godiamoci l’opening di Sandri, progetto di rock cantautorale del cesenate Michele Alessandri. Tre chitarroni, un basso e una batteria; a un primo impatto visivo ricorda inequivocabilmente un Capossela con un muro di chitarre a picchiar duro. Forse in alcuni momenti un po’ troppo sparato. Gusto personale mi fa preferire i pezzi appena più morbidi, con più marcate influenze blues, come quello di chiusura del set.
Poi i Savana Funk. Fin dalle prime battute de ‘Il Ghepardo’ salta agli occhi un’evidenza incontrovertibile: la band bolognese sta portando avanti alla grande il processo di sdoganamento della musica strumentale presso il pubblico femminile di età inferiore ai 30 anni. È un’affermazione giocosa ma fino a un certo punto. Aldo, Blake e Youssef dimostrano che, quando la musica ha onestà, cuore, energia e qualità, esce fuori dagli steccati di genere e si conquista il suo spazio presso pubblici diversi. Accade anche in un paese storicamente legato alla musica cantata. Risultato finale: la costruzione di una fanbase che non fa mai mancar loro il suo caloroso sostegno.
Savana FunkQuesta sera il suono dei Savana Funk è più aggressivo e imponente rispetto a come me lo ricordassi. L’attacco gilmouriano della Stratocaster di Aldo Betto è la naturale risoluzione della tensione che la band crea nell’introduzione de ‘Il Ghepardo’. L’intro melodica vocale di Youssef che viaggia sulle ali del vento del deserto, le svisate sul basso di Blake, la frase di chitarra di Aldo sono il trigger per la prima scarica adrenergica della serata. Non sarà l’ultima. Il Big Muff, novità del setup di Blake Franchetto, fa capolino nelle saturazioni del basso sulla coda del pezzo e si affaccerà in altri momenti dell’esibizione.
‘Timbuktu Calling’ è una tenda nel deserto, una cerimonia del tè in pieno Sahara, che diventa una danza notturna intorno a un fuoco. Entri nel flusso della musica e partecipi di un linguaggio universale, antecedente alla comparsa della parola, a rievocare le radici comuni della nostra specie. Il fuoco acceso da questo brano divampa con ‘Zahra’, anticipata da una lancinante improvvisazione blues di Aldo Betto. I tre musicisti formano un’unica entità, si completano vicendevolmente, sperimentano lasciandosi spazi per improvvisazioni individuali dove l’anima di ciascuno è isomorfa alla musica che essa stessa crea. Detta semplice: si divertono un botto.
Momenti più trascinanti e dionisiaci si alternano con spazi più intimi e introspettivi. ‘Ghibli’ è un viaggio in compagnia della propria solitudine che incontra l’anima del deserto. L’ipnotica ‘Samsara’ ha incedere iterativo, si muove sul filo di un accordo e un tema ricorsivo con microvariazioni. In ‘Lipari’ ritrovi la ricerca e il gusto della melodia e di una tradizione mediterranea vecchia di secoli, che passa per Morricone e arriva fino ai giorni nostri.
Aprono il libro dei ricordi per ripescare ‘Calais Blues’, un brano in cui sono evidenti i substrati musicali dei tre. L’eleganza del jazz è l’ingrediente principale del solo di Blake Franchetto dell’intro, si passa al funky trascinante del cuore del pezzo che sostiene linee melodiche vocali afro, per poi terminare in un’improvvisazione finale che sconfina quasi nel free jazz.
‘Labas’ è una parola araba che dovrebbe essere l’equivalente del nostro “tutto bene”. Stasera è il titolo di un brano inedito, con una parte vocale che impreziosisce un groove black e un cambio di tonalità sul quale si inserisce il solo finale di chitarra. Non c’è tempo per pensare, Youssef Ait Bouazza si scatena in un solo di batteria e mentre lavora sulle poliritmie, Blake lo omaggia sdraiandosi sul palco. È il lancio di ‘Tindouf’; il rock incontra il Maghreb e il pubblico continua a ballare, come sta facendo ininterrottamente da quasi un’ora e mezza.
‘Old School Joint’ è come da tradizione dedicata “all’ideatore del nuovo codice della strada”. Una corsa funky a rotta di collo senza freni né respiro, con una chitarra hendrixiana e interventi elettronici che regalano frazioni di secondo di space rock. Così come l’ormai classica ‘Fuga da Gorèe’, di norma inserita come opening, ma che stasera accompagna verso la chiusura.
Si chiude come sempre, con il pubblico che canta a gran voce la melodia del pezzo con cui la band si accomiata dal pubblico. I tre musicisti emiliani concepiscono la musica come un ponte sul quale far incontrare storie, vissuti, racconti, emozioni e amore, come invoca Aldo a gran voce nel momento delle loro presentazioni al pubblico. In fondo, è per condividere amore che ascolto musica fin da quando ho memoria. Ci ho messo novecentonove parole, ma ne sarebbero bastate quattro per raccontarlo: uno scambio d’amore, un live dei Savana Funk