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Rufus Wainwright, un incanto giunto dal Barocco

Rufus Wainwright, una freccia di puro carisma e classe

Concerto-evento all’Auditorium Parco della Musica di Roma

Come fosse una piramide di cristallo, di quelle che si trovavano nei lampadari della nonna, capace di riflettere le mille luci dell’arcobaleno.
Figlio d’arte (suo padre è stato Loudon), Rufus Wainwright è un cantautore a metà tra il menestrello lo-fi e un talento mai pienamente espresso.
Nascosto con quel suo fare così camp, quasi da cabaret dei tempi della Tin Pan Alley, affascinato dall’eccesso, da tutto ciò che è ostentato e visibile.
Non parlo solo dell’outfit che travalica i confini della star pop ma anche del suo modo di stare sul palco, di occhieggiare al pubblico e di interagire con i propri strumenti.

Lo spettacolo è pieno di richiami continui a sé stesso, come quando parlando del suo incontro con Mark Ronson ebbe, per la prima volta, la piena consapevolezza di diventare una star di massa.
Si presenta nella canicola romana, alla Cavea, ricordando i suoi trascorsi nella capitale e inizia il concerto alternando i classici del suo repertorio con nuove canzoni o con estratti dalla sua opera lirica dedicata all’imperatore Adriano.
Poi il concerto scorre e sale anche di coinvolgimento e intensità con gemme come ‘Early Morning Madness‘, ‘Poses‘ e l’ormai classica ‘Cigarettes and Chocolate Milk‘.
Le canzoni del cantautore canadese sono potenti e stordiscono l’animo dell’ascoltatore insinuandosi nel proprio incanto.

Per certi versi, e per quanto impegnativo non mi sento di esagerare, la sua scrittura musicale ricorda quella di Paul McCartney e non possiamo che augurargli che possa sviluppare e accrescere questa sua caratteristica, così come ha fatto il Macca.
Dal suo repertorio ormai classico sfodera anche una versione acappella di ‘Somewhere Over the Rainbow‘ di Judy Garland e una ‘Hallelulja‘ di Leonard Cohen che è in grado di tenere testa alla ormai celebre versione di Jeff Buckley.

Icona e sostenitore del movimento LGBT, è anche un profondo conoscitore della cultura cinematografica italiana e non sono mancati riferimenti alla nostra Sandra Milo e al film felliniano “Giulietta degli spiriti“. Dal punto di vista artistico parliamo di un cantautore moderno ma dall’impostazione molto classica, capace di coniugare la scrittura pop alla Burt Bacharach con l’interpretazione teatrale quasi brechtiana sul palcoscenico.
E questo, nel 2022, rappresenta un unicum soprattutto per chi viene dall’humus culturale d’oltreoceano.
Per tutti l’interpretazione del classico di Cohen che riesce a unire l’aspetto trascendentale, direi quasi religioso, con la parte fisica e sessuale recondita nella scrittura.
In lui si sublima questo contrasto di emozioni e sensazioni: un cantautore davvero quasi sensoriale capace di connettersi col suo pubblico come fosse una star di Broadway prestata al pop contemporaneo.

Photogallery Rufus Wainwright

Roma, 04/07/2022
Roma Summer Festival
© Stefano Panaro / ONR

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