Roma Summer Fest 2024 | Take That
Roma, 08 luglio 2024
Non solo un concerto, quello dei Take That, ma persino una visione sociale.
Sono passati oltre trent’anni dagli esordi della band di Manchester. Lo ha ricordato anche il frontman Gary Barlow parlando al pubblico della Manchester di inizio anni Novanta. Quella del club Hacienda, di Tony Wilson, degli Happy Mondays e dei New Order, e gli Smith; dell’influenza della dance elettronica di Chicago. Anni divertenti ma soprattutto giovanili.
I Take That li hanno ricordati in un concerto davvero ben costruito: ‘Everything Changes’, ‘Pray’, ‘Back For Good’, ‘Relight My Fire’ e ‘Never Forget’. Ma la storia del gruppo, o meglio, del trio del quintetto che fu, non è rimasta ferma. Gli abbandoni di Jason Orange e di Robbie Williams, spesso ricordati durante la serata, sono passati senza colpi mortali su una band che appare cementata anche a livello umano. E questo ha aiutato senza dubbio ad andare avanti lì dove molte band pop si fermano.
Gli album degli anni Duemila hanno portato nuovi successi, come ‘Patience’ o ‘The Flood’, e anche uno stile pop più raffinato. Gary, Howard e Mark hanno una forte empatia col proprio pubblico che li ha aiutati anche a tenere una presenza teatrale sul palco. Che a volte risulta persino troppo invadente rispetto alla musica, però si tratta di brevi momenti che poco incidono su una scaletta ben rodata e in grado di mandare i fan in visibilio.
Si tratta di molte Thatters degli anni Novanta che si sono ritrovate a questo concerto – evento come se un po’ il tempo fosse rimasto lì, in quegli anni. Senza dubbio non c’è più la leggerezza dell’adolescenza ma proprio in questo aspetto sociologico e culturale si coglie qualcosa di nuovo e interessante: cosa ci attrae ancora del passato adolescenziale? Si tratta solo di malinconia? O forse c’è dell’altro, come io penso?
Esiste qualcosa che riguarda direttamente l’aspetto musicale: e cioè che forse, quelle canzoni pop che sembravano così leggere, magari negli anni in cui dall’altra parte dell’Oceano esplodeva il grunge, forse erano più profonde di quanto ce ne fossimo accorti. E anche il nostro io giovanile che nella maturità un po’ sembra smarrirsi, ha l’occasione di ritrovarsi per qualche ora.
Delle popstar come delle guide emotive, i Take That (o quello che ne rimane del nucleo originale) come un Virgilio glitterato che accompagna noi stanchi poeti dell’adolescenza tra le pieghe dei ricordi e delle emozioni di quelli che furono anni semplici a fronte delle complessità odierne. E quindi, al di là dei meriti musicali, è il contesto complessivo che va considerato: il palco, chi lo tiene, il pubblico e la festa nel suo tutto. Tentare di categorizzare con brand o etichette anche degradanti, manifestazioni musicali, i suoi protagonisti è irriguardoso anche per la nostra storia.
E allora non rimane che goderci delle piccole gemme Pop, lo spettacolo e la magia di una band che è nata dai semi di una fertile Nord Inghilterra e che è stata in grado di lasciare qualcosa di suo e originale come una impronta che il tempo e l’invidia non è riuscita a cancellare. Perché alla fine il tempo rende sempre giustizia al talento, anche laddove si è fatto di tutto per denigrarlo. E quindi ben tornati a i Take That e alle loro Thatters.