Roma non è ancora pronta per gli Special Interest
Il caldo stende la sua prima trapunta su Roma, sono le nove di sera e mentirei se dicessi di non averlo accusato. Il giardino del Monk mi accoglie come meglio non poteva: una festa di compleanno di qualche bambino, acclamato da decine di amichetti. Mi rifugio sulla splendida terrazza in compagnia di Michel Houllebecq e il suo “Serotonina”, il neurotrasmettitore che alza il tono dell’umore e riduce ansia e depressione.
Non avevo mai ascoltato gli Special Interest fino a pochi giorni fa. Arrivo al Monk spinto solo dalla forza propulsiva della curiosità. Voglia di scoprire una band che arriva in Italia solo oggi, ma che è uscita nel 2022 con il loro terzo album, “Endure”, un concentrato di industrial, dance, house, e post- punk, talvolta con le asprezze del noise, in altri momenti strizzando l’occhio a un pop che lascia la porta socchiusa perché possa far capolino lo sguardo vivace del funky. L’etichetta è la londinese Rough Trade, basta e avanza perché decida di andare a buttarci un occhio e un paio di orecchie.
Che il quartetto di New Orleans sia negli USA una band di culto, seguita da una nicchia di innamorati, lo testimonia il fatto che, sebbene non numerose, le persone presenti stasera siano tutte molto giovani e quasi completamente anglofone.
Salgono sul palco in tre, la frontman e vocalist Alli Logout, Maria Elena alla chitarra e Ruth Mascelli all’elettronica, sampling, drum machine e a far le veci del basso di Nathan Cassiani, rimasto a casa. E sono martellate violente e telluriche, scuotono le fondamenta e le colonne di pietra e mattoni del Monk che sentiamo vibrare sotto la suola delle scarpe. Alli Logout si prende la scena con una presenza prorompente. La sua voce non si risparmia, non fa sconti, quasi si impegnasse in una lotta senza quartiere con l’incalzare elettronico della drum machine.
Hanno tolto qualsiasi morbidezza potesse esser presente nei loro lavori in studio. Immagino potesse essere così la fucina del dio Efesto nelle viscere dell’Etna: abissi electro-noise che si aprono in mari di lava e fontane di fuoco jungle. Sono pochi anche i fotografi stasera, mi sposto ai lati del palco, voglio godere delle espressioni delle ragazze e dei ragazzi che ballano nelle prime file. Uno spettacolo nello spettacolo.
Il beat sta a circa 138/140 bpm, elettrico, frenetico, ansiogeno. Ma andando avanti nella serata scende a 120 bpm e, a proposito di serotonina, ne agevola un naturale rilascio, accompagnato dalla giusta quantità di dopamina. Abbandono il corpo che inizia a seguire forme d’onda più prossime all’elettronica dei primi anni Ottanta, chitarre tuffate in trionfi di delay e polifonie. Acclamati, rientrano per un bis più morbido, con un tappeto di accordi in maggiore e atmosfere quasi krautrock.
Resta, tuttavia, in bocca un sapore agrodolce. Il retrogusto dell’eterno ritorno dell’uguale. Quello di Roma città pigra, conservatrice che priva gli Special Interest del pubblico e dei fan che meriterebbero. Città fan di sé stessa, e dell’abbraccio del suo passato, glorioso o meno che sia poco importa, riempie le piazze per gli inflazionati (e inutili) tributi a band e cantautori che furono. Nella sua storia è stata pronta a dominare il mondo, alle orde barbariche, a duemila anni di Vaticano e a una dittatura che più di qualcuno rimpiange. Ma per band come gli Special Interest non lo sarà mai.
Tuttavia, ha una luce che non trovi in nessun’altra città del mondo. E il sole stimola la produzione e il rilascio sinaptico della serotonina. Credo sia questo, e non altri, il motivo chi vi nasce fa fatica a lasciarla e chi la lascia prima o poi vi ritorna; chissà, forse anche gli Special Interest. Porto a casa questa speranza. E per stasera, come diceva il cantautore al quale Roma ha dedicato il suo più recente tributo, “Io ci sto”.