Roger Waters, il coraggio di essere fuori portata
«Se siete una di quelle persone che amano i Pink Floyd ma non sopportano le posizioni politiche di Roger, fareste bene ad andarvene subito affanculo al bar»
Con queste poche e ben dirette parole, proiettate a caratteri cubitali sulle pareti dell’enorme sarcofago cruciforme che copre il palco del Forum di Assago, prende il via l’attesissima mini-residency di Roger Waters nel capoluogo lombardo.
Parole assolutamente in linea con il personaggio, che ad esse fa seguire immediatamente i fatti, inaugurando la sezione italiana del suo tour “This Is Not A Drill” con una ‘Comfortably Numb‘ in versione 2022 (quella presente su “The Lockdown Session”, per intenderci): semiacustica, abbassata di tono e, in un atto degno della peggior cancel culture, privata degli assoli di chitarra, sostituiti nell’epico finale dai vocalizzi di Shanay Johnson.
Tutto bellissimo, ma in tutta franchezza l’effetto è grosso modo quello di una carbonara senza guanciale.
Per i floydiani più accaniti, praticamente uno stupro.
Della serie, io sono io e voi non siete un cazzo: se vi sta bene è così, se no è così lo stesso.
Grande Roger, ti adoriamo quando fai uscire allo scoperto (ultimamente, praticamente sempre) quel gran cagacazzo che ti porti dentro.
Il colpo d’occhio che offre un Forum gremito in ogni ordine di posto è impressionante, ed altrettanto lo è la risposta del pubblico alle prime note che arrivano dallo stage.
E se è impressionante per noi, immagino come possa esserlo per il vecchio Roger, che per tutta risposta alza subito l’asticella infilando in rapida successione ‘Happiest Days Of My LiFe‘ e ‘Another Brick In The Wall (Pt.2 e Pt.3)‘.
L’enorme croce si solleva da terra per rimanere sospesa a mezz’aria, a fungere da schermo per l’inesauribile dotazione audiovisiva che è parte integrante di questo show, scoprendo un palco posizionato nel bel mezzo del palazzetto, che lascia liberi Roger e i suoi musicisti di muoversi a 360 gradi, posizionandosi in modo che tutti (o quasi) abbiano la possibilità di vederli un po’ più da vicino, e di godersi uno spettacolo che sarebbe riduttivo definire come semplice concerto, perché non di semplice concerto si tratta.
È un’esperienza totalmente immersiva, fatta di stimoli visivi ed emotivi con cui il buon Roger, dall’alto dei suoi 79 anni di cui 57 spesi tra i Floyd e la propria carriera solista, ci trascina nel suo mondo, nella sua mente e nelle sue convinzioni, poco importa che siano condivisibili o meno, mai come in questo caso l’importante è poterle esprimere.
Ed è fondamentalmente proprio questo è il concept che anima ‘The Bar‘, l’unico inedito della serata e che probabilmente troveremo sul suo prossimo album.
Concepito durante il lockdown covidiano, si tratta di un brano musicalmente riconducibile alle atmosfere di ‘Is This The Life We Really Want?‘ ma che personalmente ho trovato bellissimo e toccante.
Nell’introdurlo, Roger racconta che il bar «è un posto immaginario nella mia testa, ma anche un luogo reale, un posto dove andare a bere qualcosa, incontrare vecchi amici, e anche conoscere persone nuove. I bar sono in tutto il mondo e sono quei luoghi dove puoi sentirti benvenuto, dove puoi esprimere opinioni senza timori ne favori, dove scambiare il proprio amore con il prossimo. In fin dei conti, anche questo luogo, dove siamo questa sera, non è altro che un’estensione di quel bar».
Si diceva della scaletta, che rispetto al tour precedente vede aumentare la quota-parte di repertorio solista, con nota di merito assoluto per una straordinaria ‘The Bravery Of Being Out Of Range‘, da quel capolavoro che è stato “Amused To Death”, o da quel gioellino che è ‘That Powers That Be‘ da “Radio K.A.O.S.”.
La parte del leone la fa comunque il repertorio floydiano, ancora una volta incentrato su quel pool di album che vanno da “Dark Side Of The Moon” a “Final Cut” – in pratica, tutto quello che – pur uscendo a nome Pink Floyd – Waters considera farina del proprio sacco.
E se l’ossatura dello show ricalca molto da vicino quella del tour precedente, è nella scelta dei brani che troviamo le principali differenze.
Per esempio, da “Animals” non troviamo più ‘Pigs‘ ma ‘Sheep‘, con tanto di pecora svolazzante per tutto il Forum.
Da “Wish You Were Here” invece di ‘Welcome To The Machine‘ troviamo ‘Have a Cigar‘ ma soprattutto una memorabile versione di ‘Shine On You Crazy Diamond‘ di cui viene proposta anche la Part VI che, se la memoria non mi inganna, dal vivo non veniva suonata fin da tempi dei Floyd.
Memorabile poi l’uno-due che dà il via al secondo set: ‘So ya thought ya might like to go to the show‘ intona Roger, dal soffitto scendono i drappi con i martelli incrociati e se da quel momento in poi non vi è venuto mezzo metro di pelle d’oca, vuol dire che avete veramente un bidone di spazzatura al posto del cuore.
Ad ‘In The Flesh‘ segue ‘Run Like Hell‘, fino ad arrivare alla parte conclusiva del concerto, con la riesumazione dell’apocalittica ‘Two Suns In The Sunset‘ da “The Final Cut”, tornata tristemente d’attualità in virtù di quanto sta accadendo in Ucraina, con il doomsday clock arrivato oramai a scandire i novanta secondi a mezzanotte.
Si chiude con una reprise della già citata, inedita, ‘The Bar‘, mentre sulle note di ‘Outside The Wall‘ Roger ed i suoi compagni iniziano la sfilata conclusiva attorno al palco, per salutare e raccogliere l’entusiasmo del pubblico del Forum.
Una sfilata che prosegue nel tunnel che porta ai camerini, con la telecamera al seguito che proietta sugli schermi gli ultimi scampoli musicali di una serata ancora una volta memorabile, lasciandoci come ultimo ricordo l’immagine di un Waters che saluta il pubblico, felice e visibilmente commosso.
Che altro dire?
Tecnicamente parlando, il grande vecchio ha ancora una volta approntato uno spettacolo di rara bellezza in tutte le sue componenti, dalla scelta dei brani in scaletta al comparto audiovisivo senza tralasciare la grande prova dei musicisti sul palco, partendo dalle coriste fino ad arrivare alle performance dei chitarristi, Dave Kilminster (cosa vuoi dire ad uno che va in tour con Steven Wilson e Roger Waters) e Jonathan Wilson, quest’ultimo chiamato a prestare la propria voce a due classiconi come ‘Money‘ e ‘Us And Them‘.
Roger questa sera si è dimostrato parecchio loquace, ma contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, non ha toccato direttamente tematiche socio-politiche: di quelle ha lasciato parlare le eloquenti immagini che scorrevano sugli schermi, toccando (neanche troppo piano) praticamente tutti i punti di maggior rilievo dall’ideologia watersiana, sulla quale sarebbe anche lecito aprire un ampio dibattito (soprattutto per alcune evidenti e presumo provocatorie omissioni).
Ma di certo, non è questa la sede ideale in cui farlo.
D’altronde, come ha più volte puntualizzato durante lo show, il concetto non è l’essere d’accordo o meno sulle opinioni, ma di aver la possibilità di esprimerle.
E alla luce delle recenti cancellazioni dei suoi concerti in Germania, come possiamo dargli torto?