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Marlene Kuntz

Rock In Roma 2024 | Marlene Kuntz

TRENT’ANNI DI “CATARTICA”: I MARLENE KUNTZ LIVE AL ROCK IN ROMA

La band di Cuneo torna all’Ippodromo delle Capannelle

Roma, 24 luglio 2024

Jeff Buckley, Grace; Nirvana, Mtv unplugged in NY; Pearl Jam, Vitalogy; Beck, Mellow Gold; Oasis, Definitely Maybe; Nine Inch Nails, The Downword Spiral; Blur, Parklife; Massive Attack, Protection; Soundgarden, Superunknown; Beastie Boys, III Communication. Il 1994 fu l’anno in cui l’alternative rock terminò la sua campagna di conquista delle vette delle classifiche mondiali. L’anno in cui colui che ne fu, suo malgrado, il simbolo assurse a mito.

E in Italia, nel 1994, sull’onda di questa rivoluzione, la furia iconoclasta, anarchica, rabbiosa, rumoristica, incendiaria del rock uscì definitivamente fuori dagli scantinati. Furono i Marlene Kuntz, da Cuneo, a portare a compimento il processo iniziato pochi anni prima dagli Afterhours, che tuttavia, fino a quel momento, avevano utilizzato la lingua inglese per i loro testi.

“Catartica”, il loro album di debutto, prodotto da Gianni Maroccolo e uscito per il Consorzio Produttori Indipendenti, divenne una pietra miliare del rock alternativo italiano. E oggi, nel 2024, la band piemontese decide di festeggiarne il trentennale con un tour celebrativo che stasera tocca l’Ippodromo delle Capannelle di Roma e nel prossimo autunno li porterà anche nelle principali capitali europee.

Arrivo in anticipo e sono messo al corrente della presenza di due opening. Il primo poco dopo le 20. Sono gli Animaux Formidables, agli onori delle cronache per la loro partecipazione all’edizione 2023 di x Factor. Un duo, chitarra e percussioni. Identità ancora da rivelare, sul palco indossano maschere nere con orecchie da gatto, sul genere latex/bondage.

Un progetto simil White Stripes, chitarra con fuzz senza limiti di potenza, pitch shifter ad aumentarne lo spessore, voce saturata; percussionista in body fucsia, rullante, cassa, crash e pad elettronici per altri suoni percussivi. Complice l’orario, hanno la sfortuna di esibirsi davanti a poche decine di persone, alcune delle quali ancora alle prese con panini e birre. Qualche suono è interessante, ce la mettono tutta, ma forse ancora un po’ acerbi. Vedremo nel prossimo futuro la direzione che intraprenderanno

A seguire gli Spiritual Front, band decana della scena romana. Suonano mentre ai lati del palco scorrono le immagini del film “Una Vita Violenta”, di Paolo Heusch e Brunello Rondi, tratto dall’omonimo romanzo di Pier Paolo Pasolini. Sul palco, accanto al fondatore e frontman Simone Salvatori, suonano Francesco Conte alla chitarra elettrica, Daniele Raggi al basso e Andrea Freda alla batteria.

Si prendono la scena con disinvoltura ed energia, per un set di dodici pezzi e un’ora piena di concerto. “This Machine Kills Fatalists”, un adesivo piazzato sulla chitarra di Salvatori parafrasa una celebre citazione di Woody Goothrie, folk singer americano. Il folk è il protagonista del loro set, caratterizzato da una riuscita e coinvolgente commistione con il cantautorato gotico, il post-punk e il pop. In alcuni momenti mi sembra di afferrare riferimenti sonori al Marc Almond di Motherfist, in altri entrano i ricordi dei New Model Army di Thunder and Consolation. In un altro ancora entra la “erre” pronunciata alla scozzese di Morrissey

Se escludiamo un paio di pezzi che melodicamente convincono un po’ meno, le canzoni suonate mi tirano dentro anima e corpo. Forse sarà ancora l’effetto del concerto dei “The Black Hearth Procession”, ma il mio lobo temporale fa passar tutto attraverso un filtro oscuro, anche i pezzi dal respiro più aperto.
Su tutti, la loro ‘Jesus Died in Las Vegas’, cantata anche dalla loro consistente fanbase presente stasera a Capannelle. Immancabile l’omaggio ai supremi ispiratori di Salvatori, ormai quasi un classico la loro versione di “There Is A Light That Never Goes Out’ degli Smiths.

Intanto l’arena antistante al palco “piccolo” della struttura si va riempiendo. Saremo poco più di un migliaio di persone. Molti, più di quanto mi aspettassi, i giovanissimi che nel 1994 erano ancora ben lungi dall’affacciarsi sul pianeta. Attendo durante il secondo cambio palco, mentre gli ampli Mesa Boogie dietro la postazione della chitarra mi predispongono l’umore giusto. Altrettanto lo fanno i Morphine di ‘Buena’ e i Cocteau Twins di ‘Cherry Colored Funk’ che ingannano l’attesa nelle casse dell’impianto,

Alle 22.15 tocca ai Marlene Kuntz. Entrano le architravi della band, Cristiano Godano e Riccardo Tesio voce e chitarre; accanto a loro Luca Saporiti al basso, Davide Arneodo, polistrumentista, alle tastiere, violino e percussioni, e l’ultimo arrivo in ordine cronologico, Sergio Carnevale alla batteria, che sostituisce il fondatore Luca Bergia, scomparso lo scorso anno, ma in pausa dalla band già dal 2021.

È a quest’ultimo che è dedicato tutto il tour, “Senza Luca non sarebbe esistito Catartica e non saremmo mai esistiti noi” ricorderà Cristiano Godano nel bel mezzo del concerto. La protagonista, l’emozione regina intorno alla quale ruota tutto il concerto è la rabbia. “Catartica” non è solo il nome del disco, ma una dichiarazione d’intenti che disvela il senso del fare musica secondo i Marlene Kuntz e che crea un ponte oltre il tempo, che collega il disco del 1993, con “Il Suono Della Rabbia”, ultima fatica letteraria del cantante della band, nelle librerie da giugno 2024.

Palco semplice, grande sfondo rosso carminio sul videowall, sul quale risalta la camicia bianca indossata dal frontman. E a proposito di rabbia: il live la trasuda fin da ‘Trasudamerica’. Saranno in tutto diciassette i brani eseguiti. Undici estratti da “Catartica”, tre da “Il Vile” e tre da “Ho Ucciso Paranoia”. Ci si fermerà al terzo disco e non si andrà più avanti del 1999.

Le regole del gioco sono chiare: muri di chitarre, distorsioni, suono grintoso, noise, sporco, carico di feedback che segnano la continuità tra un pezzo e il successivo. ‘Canzone di Domani’, ‘Gioia (che mi do)’, ‘Fuoco su Di Te’ continuano nella scia del brano di apertura. Poker di canzoni direttamente estratto dall’album celebrato, durante il quale tirano fuori nel suono la cattiveria di cui sono capaci.

Se qualcuno nutriva dubbi sulla resa del concerto e sulla tenuta del disco a distanza di trent’anni, ora può rilassarsi e godere. ‘L’Agguato’ è la prima interruzione nella sequenza dei brani da “Catartica”. Inizia con andamento felpato, poi senza preavviso un’esplosione noise con i larsen delle chitarre oltre i limiti canonicamente consentiti. “Il sole scaglia la sua gloria e se la ghigna” urla Godano nel microfono.

Ha un naturale carisma, non ha bisogno di eccedere per catturare attenzione e coinvolgere magneticamente il pubblico. Durante ‘Lamento Dello Sbronzo’, i suoi gesti sono misurati, lenti; scolpiscono l’aria, la tagliano di netto, accompagnando e sottolineando l’andamento ritmico della chitarra di Tesio. Si rallegra, e in fondo compiace, della presenza dei giovanissimi aggrappati alla transenna del sottopalco, prima che la ritmica della chitarra introduca ‘Mala Mela’ con il suo ritornello parossistico e ossessivo

“Scopriti essere umano in quanto tale, persona banale non speciale, a cui Dio concede gesti assai banali”

‘1° 2° 3°’ è la deflagrazione. È sequenza di martellate in pieno cervello. La batteria e le percussioni incedono senza pietà sulla strofa, insieme alla chitarra. Una scarica elettrica ad alta tensione investe muscoli e nervi, impossibile non seguirne l’andamento impazzito come una pallina di un vecchio flipper. È un suono che non ha riguardi per nessuno, pensa solo a picchiar duro. È isteria che si fa musica, per usare le parole di Godano. Si accendono i megaschermi ai lati e ci regalano particolari del suo volto trasfigurato, ma la chiusura è d’atmosfera, tra arpeggi delay e riverberi.

E dall’isteria si passa alla tenerezza. ‘Infinità’ è l’amore, beninteso declinato dai Marlene Kuntz. Così come ‘Ineluttabile’ è attesa, passività, stasi, noia, apatia sepolta da montagne di distorsione e da una batteria che continua a picchiar duro; come da titolo, ineluttabile.  “Nessuna possibilità di condividere sfiducia. Costretti all’immobilità, noi carne esanime e sfinita”

‘Lieve’ è il brano che forse più di ogni altro ha determinato il loro destino. Inizialmente scartata dalla band, poi su insistenza di Maroccolo inserita in “Catartica”, una sua cover finì pochi mesi dopo dentro il Live Unplugged dei CSI. È forse il momento in cui la band riprende fiato per un finale che di tempo per respirare ne lascia poco.

‘Festa Mesta’ è un muro di chitarre, suono, rumore a spaccare tutto. La conferma che l’età e il rock and roll giacciono su assi indipendenti e che quest’ultimo non lo puoi comprare e neanche indossarlo come un abito di pregiata fattura cucito su misura. O lo sei, oppure no. E se lo sei, lo rimani per il resto della tua vita.

‘Sonica’ è l’enciclopedia del noise italiano. Intro rumoristica e improvvisativa sui piatti, riff monocorde della chitarra, un unico accordo. Il pubblico che urla il testo, su immagini di un loro live del tempo che fu. Chiudo gli occhi ed entro nel flusso, un diluvio di note e di suono che prende forma da te, dentro te e del quale diventi il Dio. È tempo di lasciarsi andare, è tempo di ‘Nuotando Nell’Aria’, è tempo degli occhi che si inumidiscono

Poi i bis: ‘Come Stavamo Ieri’, riporta in alto il livello energetico tra intro di batteria e la chitarra che vibra e risuona sotto i pugni ricevuti sul corp;, ‘Ape Regina’ è lava di vulcano che esplode a contatto con il mare. e ‘M.K.’ è tiratissima, con botta e risposta tra Godano e Luca Saporiti al basso, un degno finale di un live che ha pienamente soddisfatto le aspettative.

L’Abc del concerto rock. Un suono pieno, potente, carico di forza rivoluzionaria, rabbiosa, rimasta per trent’anni, latente ma nemmeno troppo. Una band che non risente del tempo passato. Le canzoni reggono, i suoni al vetriolo reggono, l’impatto ritmico regge, la cattiveria regge.
Lascio l’area del concerto, nel contrasto delle voci di Simon and Garfunkel, mi chiedo se in Italia davvero siamo costretti a guardare indietro di 30 anni per recuperare un suono così. Ho paura di sapere già la risposta.

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