Rival Sons, let there be light
Questa ultima domenica del morente mese di ottobre ci lascia in eredità un’ora di riposo supplementare, un meteo grigio ed umidiccio ma soprattutto un imperdibile appuntamento, quello con i Rival Sons che hanno scelto Milano e l’Alcatraz quale sede dell’unica tappa italiana del loro tour europeo.
Un tour dalle dimensioni corpose, che li vede promuovere “Darkfighter” e “Lightbringer”, i due album rilasciati a pochissimi mesi l’uno dall’altro, con cui la band di Long Beach, California ha finalmente interrotto un digiuno discografico che perdurava dal lontano gennaio 2019, quando fu pubblicato il precedente “Feral Roots”.
Sono da poco passate le 19:30 quando raggiungo il locale di Via Valtellina, per l’occasione allestito nella sua versione ‘a palco piccolo’ e quindi già discretamente affollato.
Ho giusto il tempo di sorseggiare una birretta prima che gli L.A. Edwards, special-guest della serata, salgano sul palco portando on stage il loro personale brand di Americana da cui traspare un malcelato, infinito amore per i Tom Petty, i Jackson Browne ed i James Taylor di questo mondo.
Pur arrivando dalla California, quel ‘L.A.’ nel monicker non indica Los Angeles, ma più prosaicamente le iniziali del loro leader e frontman Luke Andrew Edwards, che ha sostanzialmente trasformato il suo progetto solista in una band vera e propria, reclutando, tra gli altri, anche i suoi fratelli Jerry (batteria) e Jay (chitarra).
All’attivo un Ep e tre album, tra cui il recentemente pubblicato “Out Of The Heart Of Darkness” che fornisce gran parte dei pezzi presentati questa sera sul palco dell’Alcatraz.
Intendiamoci, niente di particolarmente rivoluzionario o stravolgente, i pezzi però dal vivo rendono molto bene, e guadagnano non poco rispetto alle relative versioni su disco, fornendo così un’ottima scusa per ingannare il tempo in attesa dei protagonisti della serata.
Si diceva dei Rival Sons e dei due album rilasciati nel giro di qualche mese, una scelta peculiare dal momento che, pur nella loro diversità, i due dischi formano una sorta di continuum, non a caso il secondogenito “Lightbringer”, rilasciato non più tardi di un paio di settimane fa, si apre con i 9 minuti di ‘Darkfighter’, un brano che porta lo stesso titolo dell’album uscito lo scorso mese di giugno e che funge da ideale trait-d’union tra le due raccolte.
Comunque, peculiare o meno, quello che importa è che i due dischi in questione ci consegnano una band in pieno fervore creativo, e che sembra aver finalmente raggiunto la piena maturità compositiva – il materiale che esce dai solchi di quei due dischi è di qualità superiore, una qualità che trascende il recinto del ‘retro-rock’ in cui si tende a rinchiudere un po’ tutte le band che propongono una versione moderna di quello che una volta si chiamava semplicemente classic-rock, e che tante soddisfazioni sta regalando ai fan del genere.
Più strutturati, più potenti, più variegati, meno scontati, se di scontatezza si può parlare.
Spunta anche quel tocco di psichedelia che aggiunge spezia ad una pietanza già di per sé saporita.
Ecco, i nuovi Rival Sons sembrano aver capitalizzato egregiamente quanto di buono fatto in passato ed aver trovato la strada che può permettergli di fare quel salto di qualità che, almeno per il sottoscritto, ancora non era stato spiccato.
Assolutamente legittima quindi la curiosità di vederli, o meglio ri-vederli dal vivo.
Perché, diciamolo, i Rival Sons non è che sia propriamente una rarità vederli in veste live: in passato hanno avuto modo di girare il mondo aprendo per alcuni dei nomi più importanti del rock, dai Black Sabbath a Slash passando per gli Alice In Chains, sottoponendosi involontariamente ad una sorta di sovraesposizione che non è sempre e solo positiva.
Ricordo che all’annuncio dell’ennesimo support-slot a qualcuno di più famoso, qualche volta mi è scappato un’inevitabile «Ancora?».
Non è il caso di oggi: la curiosità di sentire come rendono dal vivo questi pezzi che già in studio rendono alla grande è stata questa sera ampiamente soddisfatta, con esito assolutamente positivo.
La set-list, infatti, è stata riempita per metà con ben otto brani tratti da “Darkfighter/Lightbringer”, tra cui spiccano l’inziale ‘Mirrors’, i due singoli ‘Bird In Hand’ e ‘Nobody Wants To Die’ piuttosto che brani più peculiari come ‘Rapture’ e ‘Horses Breath’.
Da “Lightbringer” abbiamo potuto godere di quel brano monster che è ‘Darkfighter’ ma anche quel gioellino che è ‘Mosaic’.
Il tutto annegato con richiami alla discografia passata, con l’eccezione di “Hollow Bones”, totalmente trascurato.
Bene quindi risentire le classiche ‘Electric Man’ piuttosto che ‘Pressure Of Time’, per un concerto intenso e piacevolmente in cui è stata una gioia per gli occhi (e per le orecchie) vedere Jay Buchanan, perennemente scalzo sul palco, ed i baffetti a manubrio di Scott Holidays far rivivere a modo loro e per un paio di ore i fasti delle grandi coppie del rock.
E se una coppia in particolare dovessimo prendere ad esempio, ecco a me verrebbero da citare Paul Rodgers e Mick Ralphs, perché, in fondo in fondo, gli attuali Rival Sons sono un po’ i Bad Company del nuovo millennio.