Ringo Deathstarr live Bologna: il futuro è forward-gazer
Quando i Ringo Deathstarr calcarono per la prima volta un palco bolognese, nel 2011, erano poco più che esordienti.
Tornano il 28 marzo di cinque anni dopo, al Freakout Club di Bologna, con tre album all’attivo, numerosi endorsement da parte di nomi che contano e un ruolo in evidenza e in crescita nel panorama dell’alternative rock più rumoroso. Texani di Austin, i Ringo Deathstarr hanno pubblicato nel 2015 il disco “Pure mood” che ne ha confermato e rilanciato le potenzialità, portando al tempo stesso il fardello di pesanti riferimenti da cui smarcarsi.
I modenesi Rev Rev Rev aprono la serata, freschi di pubblicazione del loro album “Des fleurs magiques bourdonnaient”. Apertamente e sfacciatamente shoegaze, con un’aria più timida che triste, i Rev Rev Rev offrono sonorità interessanti col corollario di una voce sospesa da dream pop. La struttura dei loro pezzi: grandi riverberi, affondi gagliardi di chitarra, buona cappa di suoni e vistose accelerate. A tratti rimandano alla new wave e addirittura a qualcosa di più goth, ma la chiusura è da manuale del genere shoegaze.
L’aria a questo punto è già abbastanza pesante, potranno mai i Ringo Deathstarr alzare ulteriormente i volumi nel piccolo (e ben equipaggiato, mi permetto una nota di merito per il Freakout che mi ha lasciato piacevolmente sorpreso) club bolognese? La risposta è sì, perché dopo un attacco moderatamente riverberato e pure un po’ allegrotto, la batteria di Daniel Coborn prende il sopravvento con ‘Chloe‘, spostando verso l’alto la levetta di tutti i suoni. La voce per i primi tre pezzi è quella di Elliott Frazier, finché con ‘Two girls‘ il vertice femminile del triangolo, la bassista Alex Gehring, sfodera una voce che parte da lontano e arriva decisa, accompagnata ad un noise in crescendo.
L’inizio del concerto ruota tutto intorno al passato dei Ringo Deathstarr, ma il vero banco di prova è la resa live dei pezzi di “Pure mood”. Ne esce un mini-set interno di sette brani, che svuota di ossigeno il locale e lo riempie di suoni che su disco, per quanto sia un lavoro più che apprezzabile, non si riescono ad avvertire. Equilibrati sulle due voci di Alex Gehring ed Elliott Frazier, la batteria importante e non troppo invadente a reggere la struttura, un bilanciamento impeccabile e una pienezza encomiabile. ‘Frisbee‘ è potente e un po’ sporca, satura nel volume, le due voci si fanno una sola su ‘Big bopper‘, ultimo pezzo eseguito in favore dei riflettori.
Sentendosi un po’ troppo simile ad Avatar a causa della luce azzurra che lo abbaglia, Daniel Coborn preferisce continuare a sventolare la vistosa chioma brizzolata e a menare la batteria al buio, e così sui Ringo Deathstarr cala la penombra. Quello che non cala affatto è il tiro, ‘Guilt‘ è una sintesi di brutale frastuono shoegaze, ‘Heavy metal suicide‘ ha un giro di basso diritto che offre una potenza inaudita, ‘Acid tongue‘ ha una botta pazzesca nell’inciso e su ‘Never‘ la batteria si fa rovente. Se pensate che abbia usato troppi aggettivi carichi di encomio, la prossima volta andiamo assieme a sentire i Ringo Deathstarr, poi vediamo chi ha ragione e chi è esagerato.
Un passo indietro nella carriera dei Ringo Deathstarr e ‘Tambourine girl‘ alleggerisce l’atmosfera, non prima di aver danneggiato qualche timpano con un inizio volutamente rumoroso accompagnato da un fischio indesiderato e alquanto simpatico. I richiami a un punk rock sempliciotto si alternano al frastuono delle chitarrate schitarrate slide. Il finale fighissimo e a sorpresa è una rivisitazione alquanto assurda e stravolta di ‘Come as you are‘ dei Nirvana, che lascia sorridenti e un po’ scombussolati.
Nonostante le minacce (“Ora suoneremo tutti i pezzi che non abbiamo fatto prima”), l’encore dei Ringo Deathstarr è una sola pallottola ben impiegata, ‘So high‘ dal primo disco “Colour trip”, ancora in bilico tra un leggero indie rock mezzo punk e un pesantissimo intermezzo noise.
Se su queste stesse pagine parlando del disco dei Ringo Deathstarr li ho definiti “portati a elaborare una musica eterea e non così incisiva“, dopo il faccia a faccia bolognese posso benissimo rielaborare quelle parole. Frontali, di impatto, tirati (il contributo della batteria è devastante), poco shoegazer nell’approccio ed estremamente carichi di personalità nei suoni. Hanno imparato bene la lezione dai maestri del genere, quelli che quando suonavano si guardavano le scarpe, ma lo sguardo dei Ringo Deathstarr è ben fisso in avanti.