Refused live a Madonna dell’Albero (RA): ultima grande eviscerazione hardcore
Scatti di piovosità, trepidazione incontrollabile e sempre crescente, un Bronson strapieno e stracarico: elementi perfetti per il 15 ottobre, una serata attesissima.
Attesa da tutti, veramente da tutti, però forse un po’ meno da me seppur sia alto il livello di curiosità.
Largo alla sincerità?
I Refused li avevo ascoltati superficialmente qualche anno addietro, esattamente con “il loro disco che meritava di più”, e a dirla onestamente non mi fecero tutta questa indelebile impressione: li apprezzai, ma non li compresi a pieno, e questo bastò a non invogliarmi un secondo ascolto.
In occasione della tappa romagnola del tour italiano mi sono ritrovato a sostituire all’ultimo momento il mio caro collega Loris fermato da un lieve malanno stagionale: quale occasione per ricredermi?
Ho deciso quindi di ripartire da zero, conscio pure del fatto che era già da un po’ di tempo che non mi capitava l’occasione di assistere ad un “concerto al buio”.
Ad aprire la serata ci hanno pensato le Smudjas, band femminile milanese con un tiro allucinante ed una forte presenza sofferta.
Oniricità, feedback, ritmi lunatici e cuore punk vengono ottimamente sintetizzati nello show di queste tre ragazze, figlie della scena alternative/noise/pregrunge americana a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 e consumatrici accanite di Hüsker Dü, Sonic Youth e Babes In Toyland.
Potenza incredibile trascinatrice temporale: una delle aperture più sorprendenti che abbia visto ultimamente, e la speranza è di sentir ancora parlare di questa band capace di un coinvolgimento emotivo stellare.
Giusto il tempo di una breve pausa ed il Bronson, un filo teso (sempre di più), riparte.
Eccoli i Refused, gelidamente esplosivi nella sola entrata in scena: e da lì, è iniziata un’ora e un quarto di purissima adrenalina e mazzate di classe.
Partendo da un continuo impatto scenico come pochi, i Refused rappresentano delle vere e proprie scariche di potenza, con il cantante Dennis Lyxzén che lancia e riprende il microfono manco fosse totalmente elasticizzato, con spaccate improvvise e fiere elevazioni sul pubblico.
La scaletta del concerto dei Refused è impietosa e devastante: botte violente con una raffinatezza, tecnica e mentalità che quasi mai sono state mixate così compattamente fra loro.
Dando uno sguardo alla scelta della scaletta, troviamo un’ottima commistione tra “The Shape of Punk to come” del 1998 (l’ultima grande storica eviscerazione dell’hardcore in seguito alla quale si sciolsero a causa della totale spesa delle loro energie creative), e l’album del ritorno “Freedom” del 2015 (sinceramente uno degli album post-reunion più positivi degli ultimi anni).
Unica eccezione la canzone ‘Coup d’état‘, tratta da “Songs to Fan the Flames of Discontent”, il loro secondo lavoro del 1996.
Per il resto, i Refused si sono esibiti davanti ad un gasatissimo pubblico di tutte le età dotato di buone orecchie selvagge e che ha creato immensi laghi di sudore.
Un’ottimizzazione del tempo straordinaria e la soddisfazione sincera sui volti della band svedese: i Refused sono stati una sorpresa più che piacevole ed hanno regalato un live allucinante.
La mattina dopo il concerto mi sono riascoltato “il loro disco che meritava di più”, ovvero “The Shape of Punk to Come”: lo sto sentendo ininterrotamente ancora adesso e chissà per quanto ancora andrò avanti.
“The New Beat, The New Beat, The New Beat, The New Beat”.