Pussy Riot, lo spettacolo punk che scuote Bologna
Bologna, 15 febbraio 2019
Data storica per l’Estragon Club di via Stalingrado, poiché per la prima è teatro di uno degli show più controversi a livello mondiale: quello del collettivo punk russo delle Pussy Riot.
Mai prima d’ora, infatti, avevano varcato le soglie dei nostri confini, a causa principalmente della loro politica apertamente anti-Putin che rende illegali i loro spostamenti al di fuori della loro madrepatria.
La serata è aperta dalle Mumble Rumble, gruppo power rock prettamente femminile che varca palchi sin dagli anni ’90.
Di origine bolognese, presentano sia brani appartenenti all’ultimo disco uscito nel 2018 sia pezzi più datati, tutti caratterizzati da temi sociali come i diritti delle donne o della comunità LGBT, cantati in italiano, inglese e tedesco.
Completamente diversa è la band che le segue: sono i Popkillers, un trio inglese dalle sonorità elettro house che richiamano molto band come i The Prodigy o i Digitalism.
Con maschere fluorescenti a coprire i volti e visual psichedelici i Popkillers si esibiscono in una serie di brani movimentati e coinvolgenti, rendendo impossibile lo star fermi.
Finalmente arriva il gran momento.
Il palco è quasi completamente spoglio a parte una batteria, quattro aste di microfoni e un tavolo con alcuni oggetti scenici.
Sale un uomo, che s’identifica come manager della band, e ci spiega in cosa consiste lo show che sta per iniziare: il soggetto è il libro “Riot Days”, scritto da Marija Alyokhina, conosciuta anche con il nome di Masha, una delle fondatrici del collettivo.
Definito come il loro ‘Punk Manifesto’, questo libro racconta la nascita del progetto Pussy Riot, dell’esasperante situazione politica russa e della loro voglia di manifestare e opporsi, anche se questo comporta durissime conseguenze.
Il manager si congeda e lascia il palco a Masha, voce portante dello show, accompagnata da una ragazza che si alterna tra batteria e synth elettronici, un trombettista e un’altra figura maschile.
Sullo sfondo vengono proiettate una serie d’immagini e video che, a mo’ di documentario, rappresentano tutta la storia che il quartetto sul palco ci racconta, con i fondamentali sottotitoli in italiano dato che il tutto si svolge prettamente in lingua russa, alternati da alcuni slogan in inglese.
Dalle prime manifestazioni in strada contro il governo, al bisogno crescente di fare qualcosa di più radicale, fino ad arrivare a quel famoso 21 febbraio 2012, dove con la loro preghiera punk “Vergine Maria liberaci da Putin”, eseguita nella chiesa di Cristo Salvatore a Mosca, hanno finalmente abbattuto ogni censura imposta dal governo e hanno raggiunto una visibilità a livello mondiale.
E poi ancora i tentativi di fuga, l’arresto, i due anni di prigionia in situazioni a dir poco precarie della Siberia fino all’improvviso scarceramento.
Musicalmente abbastanza spoglio, ma di enorme impatto visivo, i quattro personaggi si muovono in maniera molto teatrale sul palco, mimando tratti del loro racconto che Masha fa in prima persona.
Sicuramente i momenti di più alto pathos sono stati raggiunti sia all’inizio dello spettacolo quando, raccontando dei loschi accordi tra la chiesa ortodossa e il governo, definendolo un vero e proprio matrimonio, i quattro sul palco cominciano ad ansimare rumorosamente, mimando un atto sessuale.
Altro momento intenso è stato durante il racconto della prigionia, dove nel raccontare il gelo delle carceri sul palco vengono lanciate con violenza sul pubblico intere bottiglie d’acqua.
Nel finale invece, sul palco arriva una donna con un passamontagna rosa, simbolo del collettivo per eccellenza, che viene spinta e strattonata, tanto da strapparle la maglia e rimanere a torso nudo, come per evidenziare tutti i soprusi ai quali vengono continuamente sottoposti a causa delle pressioni governative.
Lo show termina con un lungo applauso, dal pubblico viene lanciata una bandiera della pace, che Masha mostra con emozione.
Impossibile rimanere non colpiti dalla forza con cui Masha racconta tutte le violenze subite, ma mai con autocommiserazione, bensì sottolineando come queste l’abbiano aiutata a reagire con forza a non abbandonare il suo impegno per i diritti umani e di come la musica sia il tramite migliore per raggiungere questo scopo.
La frase con cui si congeda è un invito alla ribellione e alla perseveranza: «Freedom does not exist unless you fight for it every day».
La libertà non esiste se tu non combatti per essa ogni giorno.