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Preoccupations

Preoccupations live a Torino: com’è ascoltarli a orecchie nude

Per i locali è tempo di augurare buone vacanze e arrivederci a settembre. Il ricamo “Preoccupations” sulla locandina azzurro-beige dell’evento annuncia la chiusura della stagione live all’Astoria, Torino.

I concerti all’Astoria hanno un loro fascino perché trovi nomi internazionali in un ambiente piccolino. La sensazione è molto “indie”: vedere il concerto di un artista che probabilmente farà parlare di sé, vederlo prima di tutti, in un club in cui non è raro incontrare gente delle provenienze più varie.

5 giugno, entro nel “basement” sotterraneo mentre c’è in sottofondo quella famosa dei Joy Division, probabilmente tra gli ascolti che hanno più appassionato la band che suonerà tra poco. Sono canadesi di Calgary, hanno inciso due album, il primo a nome Viet Cong, il secondo a nome Preoccupations.

Prima di tutto spezzerei una lancia sul nome. Preoccupations è un nome meraviglioso. Checché se ne dica qui (“banale e poco convincente”) a me piace da matti. È il tipico nome da “brainstorming per il nome della nostra band” che viene purtroppo sottovalutato e escluso. È un nome nudo e crudo che fa molto concorso di gruppi emergenti. Ma è sano, per tutti, che parla di tutti. Ammetto di essermi incuriosito nei confronti dei Preoccupations proprio per questo. Sai quanti gruppi post-punk abbiamo sentito nella nostra vita. Ma uno che si chiama così…

Giustamente si inizia con ‘Anxiety’. I quattro canadesi si concentrano sul puro casino, nonostante inventino ritmiche talvolta anomale. Gli urlacci del cantante Matt Flegel sono qualcosa che dona spigolosità a canzoni che sull’album sono più “cantate”.

Il live e l’album sono due cose molto diverse. Dal vivo sono più asciutti, violenti. Su disco viene fuori più un loro lato dark new wave che convincerebbe Federico Fiumani ad avere il loro cd nella sua collezione.

Sempre divertente vedere tanti cellulari che riprendono il concerto. Dopo il post-punk, lo chiameremo iPunk.

Matt Flegel, a furia di grattare come un dannato sulle corde del basso, rompe una corda e si ferisce un dito. Giustamente continua, cambiando la corda del suo strumento macchiato di sangue. Immagino il sangue gocciolare sul palco (hai presente quando avverti le gocce del tuo sangue cadere per terra, che è il momento in cui inizi ad avere le preoccupations). Il batterista Mike Wallace usa la sua bottiglietta d’acqua per disinfettare la bua, e gli dà un bacino sulla guancia per consolarlo. Questa parentesi teneramente punk si chiude subito e i quattro ricominciano a cartellare come pazzi.

Ma non può soffrire solo l’artista. Deve soffrire anche il pubblico. Nella finale ‘Death’ con un quarto d’ora di puro noise i Preoccupations ci fanno sanguinare i timpani. Vedo attorno a me navigati lupi da concerti punk tapparsi le orecchie per la sofferenza, o peggio, uscire anzitempo.

Presente quello con le cuffie nelle orecchie che non ci sente bene e allora senza accorgersene parla a volume altissimo? ALL’USCITA PARLO COSI’!!

E poi, arrivato a casa, mi addormento cullato dal rumore bianco che ti ronza sempre nelle orecchie dopo un concerto robusto, pieno, catartico, fisico, bello.

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