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Pordenone Blues Festival | Alice Cooper

ALICE COOPER, IL MAESTRO SALE IN CATTEDRA

Il Pordenone Blues Festival richiama al proprio cospetto amanti dell’hard rock e del metal

Pordenone, 10 luglio 2024

È il Pordenone Blues Festival ad aggiudicarsi l’esclusiva data unica italiana di Alice Cooper, cantante e performer statunitense. Il suo concerto segue le esibizioni di PlaceboRival Sons e, a completamento della serata, è stato organizzato anche un Nightmare Party. L’evento è dedicato soprattutto a quei coraggiosi che, nonostante le temperature vicine ai 37 gradi, si sono (tra)vestiti con maschere horror.

Ore 21, si riempie il pit sotto palco ma la visione è eccellente da ogni angolazione del Parco San Valentino. Sembra impossibile, eppure si riesce tranquillamente a vedere (e soprattutto sentire bene) il concerto da ogni punto. Qualora esistesse un manuale su come organizzare uno show tecnicamente perfetto, sarebbe composto da una sola pagina. Una sola riga centrale, la sola imp0ortante: fai come farebbe Alice Cooper. In fondo, il vero pericolo della società americana contemporanea da debellare sul nascere è l’intelligenza critica che porta alla consapevolezza, all’ironia e al libero arbitrio. Ed Alice Cooper nella sua pluridecennale carriera non ha fatto altro che spaventare l’America e il mondo intero. Ha sempre proposto una visione critica ed intelligente del tempo in cui viveva, anticipando l’evoluzione della società. Come lui, solo un altro genio musicale – un tale di nome Frank Zappa.

La musica è il primo vettore, il mezzo che ci porta a viaggiare lontano da noi stessi. Lo scopo è (anche) fuggire dall’aridità sociale che stiamo vivendo. Il placebo, invece, riordina le vibrazioni del nostro spirito sincronizzandolo con quello che stiamo ascoltando. La musica ci isola da tutto quello che non risuona con noi. La musica è un luogo sicuro dove cercare conforto e fuga. Alice Cooper toglie questo velo di protezione dalla funzione primaria della musica e ci fa incontrare. Senza retorica, senza giochini da prestigiatore e nella maniera più nuda e sincera possibile. Ci pone davanti le sfaccettature dell’inconscio che teniamo nascoste perché non sono moralmente accettabili.

La giornata, torrida e umida, non si rinfresca neanche con il calare della sera. Un occhio di bue sul foglio di giornale fissa la sua ombra e con l’iniziale ‘Lock me up’ proietta sullo stage (sfondandolo) l’animale famelico rinchiuso dentro di noi. Vestito di un completo in pelle con tanto di tuba nera e bastone, ecco il maestro Alice Cooper. La sua discografia, arricchita dalla recente pubblicazione di “Road” (dal quale verrà suonata solo ‘Welcome to the show’), gli consente di attingere a numerosissimi tasselli. Paure, limiti, sindromi, deviazioni morali ed etiche compongono il fantastico mosaico della storia (sempre diversa) che vuole raccontare al pubblico.

‘No More Mr. Nice Guy’ e ‘I’m Eighteen’ sono i primi cavalli da battaglia che lascia sfogare a briglie sciolte su un pubblico già subito ampiamente in delirio. Non ci si dimentica del caro e semplice rock con ‘Under My Wheels’ per poi calcare la mano con ‘Bed of Nails’ e ‘Billion Dollar Babies’. Arriva poi un colpo che altri hanno in seguito imitato ma mai veramente fatto proprio: durante ‘Snakebite’ fa la sua comparsa il pitone al collo.

Continui cambi d’abito portano a rispolverare un chiodo anni ’80 con la bandiera americana sulla schiena durante ‘Lost in America’, ennesimo pezzo sulla retorica ed il fallimento del modello americano. Così ti accorgi che ti stai esaltando per un omicidio e per la stupidità umana (‘Hey Stupid’), per il mostro innominabile che è dentro di noi (‘Feed my Frankenstein’) e che canti e ti commuovi per i malati di mente (‘The Ballad of Dwight Fry’). In particolare, durante l’esecuzione di ‘Hey Stuid’ si è inscenato l’omicidio di un fotografo. Un atto funzionale alla trama della storia che mi ha fatto ricordare coloro che al funerale di Costanzo fermavano la vedova per farsi dei selfie. 

L’amore è la nostra condanna, il nostro peccato. La passione è il nostro veleno: ci scorre nelle vene e ucciderà il nostro quotidiano ma è ciò che serve per sentirsi vivi. A che punto siamo, secondo voi? Sì, esattamente, proprio a quel punto: quello della magnifica e monumentale ‘Poison’, con la moglie Sheryl vestita come una bambola. Piroetta da una parte all’altra del palco, chiedendo a gran voce la morte del marito per mezzo della ghigliottina. Il fatto si compirà (metaforicamente) al termine di ‘I love the dead’. Dopo l’esecuzione, Alice torna on stage senza giacca ma con la camicia di lino: salendo su uno dei pulpiti perfettamente addobbato con colori americani, ci canta ‘Elected’. 

La conclusiva ‘School’s Out’ è apoteosi pura di questo artista inarrivabile. Con il suo frac, la tuba ed il bastone bianco, Alice comanda la folla adorante mischiando anche nel mezzo un omaggio ai Pink Floyd con la cover di ‘Another Brick in The Wall’ e facendo rotolare sul pubblico enormi palloni. Sono colorati e ripieni di coriandoli: li farà esplodere a colpi di spada prima e di pugnale poi per un tripudio di colore.

La band che lo accompagna live è più che rodata ed in forma smagliante nonostante il caldo. Come è possibile che riescano a suonare senza sbagliare nulla? Come mantengono l’intensità anche negli assoli (credo volutamente più corti del solito) Nita Strauss e Glen Sobel? Non sono molti gli artisti che ti fan passare quasi un’ora e tre quarti con un caldo infernale senza accusare distrazioni. Ad ogni modo, una storia (anche se ben raccontata) non ti fa evadere dalla realtà. Nel suo svolgimento però ti fa riappacificare con il tuo mondo interiore e tutte quelle sfaccettature che il mondo ti fa considerare sbagliate. Signore e signori, questo è semplicemente il grande potere di Alice Cooper.


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© Cesare Veronesi

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