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Peter Gabriel, un genio senza tempo con lo sguardo rivolto al futuro

La prima data annunciata è stata quella all’Arena di Verona, seguita solo in un secondo momento da un appuntamento al Forum a Milano.
Come si dice in questi casi?
Buona la prima, a maggior ragione se si tratta di una delle più belle e rilevanti location storiche nelle quali è possibile ascoltare musica dal vivo.

Questa è la terza volta di Peter Gabriel in Arena: ci era già stato nel 1987 e nel 2020, in occasione di due tour legati ad altrettanti album di spicco della sua carriera (“So” e “New Blood”).
Stavolta, però, non si tratta solo di andare a vedere “un concerto di”: è il turno di “i/o”, ovvero il suo decimo album in studio.
Anzi, a dirla tutta è il primo album di brani originali in oltre 21 anni, dai tempi di “Up” (2002).
Un album che in realtà non è ancora uscito nella sua interezza e i cui singoli li stiamo scoprendo man mano che cambia il calendario lunare (una canzone ogni notte di luna piena).

Così, in una notte di luna nuova, Peter Gabriel approda a Verona dove tocca l’anima di oltre 20.000 spettatori in un’Arena piena oltre ogni immaginazione possibile.
I fans provenienti da tutto il mondo, pur di assistere al concerto-evento hanno atteso e sfidato pazientemente il maltempo a suon di k-way ed ombrelli.
La pioggia è il vero problema di questo periodo, protagonista di tragedie che stanno colpendo soprattutto il territorio romagnolo.
L’atmosfera della serata in Arena vede il pubblico desideroso di evasione ma, al contempo, ben consapevole di ciò che sta accadendo a poche centinaia di chilometri di distanza.
Sarà questo, a mio avviso, a far mantenere al pubblico una certa compostezza.

Il tour di “i/o” è partito ufficialmente da Cracovia il 18 maggio e quella in Arena è di fatto la seconda data live.
Lo spettacolo portato in scena è diviso in due parti, delle quali la prima (più pacata e riflessiva) vede in setlist la presenza dei nuovi brani fino ad ora editi.
In un italiano claudicante (superato solo dal pessimo traduttore grafico simultaneo proiettato sui maxi schermi) Peter Gabriel ci apre le porte del proprio mondo.
Lo fa con gentilezza ed un’innata eleganza, con una manciata di minuti di ritardo sulla tabella di marcia.
E lo fa con qualche riflessione sulla natura e l’ecosostenibilità ma, soprattutto, puntando su un concetto chiave: la centralità del nostro ruolo nel mondo.
Ruolo inteso come esistenza, facente parte a sua volta di un ingranaggio più grande, in grado di cambiare l’andamento dell’universo.
Come?
Attraverso il proprio comportamento e delle scelte, etiche e consapevoli.
Della serie, if you want you can do it.
Il tema toccato è più che attuale nonché una delle battaglie-simbolo delle nuove generazioni – e sarà il leit motiv della serata.

Peter Gabriel

Si inizia in punta di piedi, con una ‘Washing Of The Water‘ in acustico, quasi sussurrata.
Nonostante il religioso silenzio durante l’esecuzione, la carica emotiva che ne scaturisce è decisamente dirompente e sarà l’impronta di tutta la prima parte del concerto.
Si prosegue con ‘Growing Up‘ (2003) prima di arrivare ai nuovi brani, ascoltati con attenzione e la curiosità di capirne il potenziale live.
Peter lo sa, il pubblico vorrebbe ascoltare le hit più conosciute e cantate.
Nella carriera di ogni artista, però, arriva il momento in cui ci si vuole scostare dal passato per guardare avanti.
I brani di “i/o” riflettono il Peter Gabriel di oggi, una persona inevitabilmente diversa da quella che ormai diversi anni fa intraprese il proprio percorso solista lasciando i Genesis.
E con questa consapevolezza, la scaletta del concerto è ai suoi occhi un ottimo compromesso in grado di accontentare tutti – i fans storici da un lato, la sua necessità di comunicare attraverso i nuovi brani dall’altro.

Nel mezzo delle novità (‘Panopticom‘, ‘Four Kinds of Horses‘, ‘i/o‘) c’è tempo ancora per qualche riflessione.
Stavolta il tema è l’intelligenza artificiale e quelli che dovrebbero essere obiettivi primari da raggiungere attraverso la sua applicazione (supporto sanitario e scolastico accessibili a tutti). 
Il core della serata è decisamente chiaro: la sensibilizzazione è quanto di più importante per Peter Gabriel.

Il primo set va a concludersi con ‘Sledgehammer‘, primo tra i grandi classici ad essere presente in scaletta.
Con la tregua del meteo e dopo una breve pausa, il ritorno sul palco per il secondo set è meno riflessivo e più incisivo.
Con ‘Road to Joy‘ c’è chi si alza dalle ultime file e avanza ballando verso il sottopalco e chi invece, dalle gradinate, alza le braccia al cielo.
Don’t Give Up‘ arriva a riportare un po’ di pacatezza e viene eseguita in modo estremamente delicato.
Peter Gabriel ne ripropone una versione toccante nella quale le parti di Kate Bush sono affidate all’eccellente (e più volte osannata) Ayanna Witter-Johnson (violoncello, tastiere).
Fra tutti, due momenti sono dedicati all’amore e all’importanza della famiglia: ‘And Still ‘ è dedicata alla madre («amava la nostra musica»), ‘What Lies Ahead‘ è per il padre («mio padre era un inventore, questa canzone è dedicata a tutti gli inventori»).
La serata prosegue, si incontrano altre grandi hit (‘Red Rain‘, ‘Big Time‘, ‘Solsbury Hill‘) per poi fermarsi di nuovo.
Il gran finale è affidato a ‘In Your Eyes‘ e all’immancabile ‘Biko‘, con la proiezione sul palco del volto di Stephen Biko

«Per quelli che prendono posizione anche quando rischia di costargli la vita»
‘Biko’, Peter Gabriel

I visual sono rappresentazioni astratte che traducono in immagini i brani stessi, a completamento di un cerchio che nell’insieme risulta essere davvero tondo in modo perfetto.
La perfezione di Peter Gabriel dal vivo la si deve anche grazie al supporto della band che lo accompagna: Tony Levin (basso), David Rhodes (chitarra) e Manu Katché (batteria) sono ormai la sua famiglia on stage.
A loro si aggiungono Don-E (tastiere), Richard Evans (flauto, chitarra) e Marina Moore (violino).
Una menzione particolare alla già citata e straordinaria Ayanna Witter-Johnson e a Josh Shpak (tromba), che ha vissuto l’intero concerto con un entusiasmo decisamente incontenibile e contagioso.

Quello all’Arena di Verona è stato uno spettacolo dall’intento alto, volto a smuovere le coscienze con garbo ed educazione.
Probabilmente la formula di non avere un intero album da offrire al pubblico ma di presentare in sede live i singoli non è una scelta che ripaga in termini di immediatezza.
Ciò che comunque al momento sappiamo di “i/o” è che è l’ennesimo istrionico viaggio sonoro di un genio senza tempo il cui sguardo è costantemente rivolto al futuro.
È così dal 1967 e sarà così ancora per molto tempo.

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