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Paolo Benvegnù

Paolo Benvegnù live a Roma: l’estasi di un canto

La cornice del Monk di Roma è stata a dir poco perfetta per il live di Paolo Benvegnù del 13 aprile di questo 2017.
È infatti in luoghi dalle atmosfere così intime che meglio si può diffondere, in ogni particella aerea, la musicalità di una poesia come quella sprigionata dalle note dei brani di questo artista.
Benvegnù è tornato da poco con il suo “H3+”, un disco che si pone alla fine di un ciclo e che ne apre direttamente uno nuovo: nella trilogia iniziata con “Hermann” e proseguita con “Earth Hotel” (leggi qui la recensione), questo è il terzo tempo di un viaggio all’interno dell’anima.
Ed è tra i sorrisi di un pubblico fedele e caloroso che questo affascinante uomo dalla folta chioma color platino sale sul palco, affiancato da una band talentuosa e fornita.

Per ben cominciare ha scelto un inno alla vita e all’estasi, quella di un canto, legato a ‘Victor Neuer’.
Si intreccia al sapore di un tempo echeggiante, che sembra senza fine, la tensione di una ricerca, quella di ‘Nello spazio profondo‘, che si pone come un’ulteriore dimensione di magico approfondimento sensoriale, ove «le parole sono pietre ambiziose, vizio di forma innaturale | grondano miele nel vuoto, assurdo, siderale».
Ora è il momento di un pezzo risalente al 2004, tratto da “Piccoli Fragilissimi Film”, che ci attira a sé con rabbia e sgomento. ‘Suggestionabili’ parla infatti di rivolta e Paolo Benvegnù la suona con ardore, cantandola con tutto l’amore connesso all’ostinazione e al desiderio di urlare le proprie verità, quando il sentimento è tale da potersi auto definire «l’ultima cosa che mi rimane».
“H3+” si conferma come un disco potente e vibrante, e questo si materializza in modo molto forte quando in scaletta è il momento di ‘Goodbye Planet Earth’, una dedica ad uno dei pilastri della musica contemporanea, David Bowie.
Quel sound che liberamente si ispira ad ‘Ashes to Ashes’, un pezzo di storia e per molti anche di cuore, si libera nell’aria con grazia e toni psichedelici.
Una tastiera dolce segna l’inizio di ‘Olovisione in parte terza’, che è un pezzo caramellato, romantico e corposo, oltre che d’eccellente fattura sia dal punto di vista del testo che del sound. Ma d’altronde, come potrebbe essere altrimenti?
Per sottolineare questo concetto Paolo Benvegnù e band fanno un altro regalo al proprio pubblico con un brano del 2014, ‘Una nuova innocenza’, che si lascia toccare e ci avvolge come un velluto, donando calore e spingendo verso il desiderio, ricordandoci che «rifioriranno rose ed incoscienza / trovandoti senza cercarti mai».
L’autoriflessione è regola mentre si apre ‘Se questo sono io’, un raro fiore di montagna. L’identità è un flusso, una sostanza liquida, una bellissima fragranza che le persone possono scambiarsi in un estatico e generoso atto di accoglienza.
‘Quattrocentoquattromila’ è una canzone spaziale, ritmata e razionalmente battagliera, che narrando un viaggio extraterrestre descrive “musica della sfera celeste, vertigini e tempeste”; tratta anch’essa da “H3+”, ‘Boxes’ ha un sapore orientale, su cui la voce piena, pulita, virile di Benvegnù si adagia ancora una volta in modo sensuale e coinvolgente, cantando di visioni e di azioni, da compiere o da contemplare.
Momento commozione per la grazia crudele di ‘Avanzate, ascoltate‘, profetico ed ispirato; ‘Slow Parsec Slow’ mette al centro un nuovo mondo, entro cui tornare in sé mentre si è avvolti da un fascio di luce e ci si lascia poi coinvolgere dallo straordinario ondeggiare de ‘Il mare è bellissimo’.

Il bis segna il ritorno sul palco del Monk di un Paolo Benvegnù sorridente, che quasi in assolo fa dono della sua ‘Andromeda Maria’ con la sua leggenda epica e meravigliosa; ‘Io e il mio amore‘ fu invece un brano contenuto nella compilation ”Il Paese è Reale” degli Afterhours, e che poche volte è stata suonata dal vivo – ed è per questo che la sua aura è ancora più consistente e luminosa.

Ma sono i ‘Cerchi nell’acqua a far sentire i presenti ancor più parte di un qualcosa di bello e di irripetibile, a diffondere sorrisi contagiosi e sguardi contemplanti la bravura di una formazione rock di talento puro. Un talento che permette a chi assiste a questi live di sentirsi quasi sopraffatto da cotanta perfezione, come quella che colpisce sulle note di una canzone dedicata alla rinascita, ‘Astrobar Sinatra‘ e sulle melodie romantiche di quella legata ai passi incerti ma necessari della nostra esistenza di ‘No Drinks No Food’. 

Il concerto è finito, ma il pubblico non è ancora pronto a lasciare andare questa sensazione di fugace armonia esistenziale. A suon di cori la band torna sul palco ed aggiunge ad una scaletta già folta e ricca di lirismi onirici ed innamorati un brano altrettanto superbo, ‘È solo un sogno‘.

Paolo Benvegnù è riuscito per l’ennesima volta ad addentrarsi nei cuori altrui, forse anche leggendosi dentro e riflettendo questo metallo prezioso sul suo pubblico, traducendo in testi e musica le sfumature nascoste nelle emozioni più belle, in quelle più pure e più uniche.

Ciò attraverso un concerto che è stato una boccata d’ossigeno puro e una visione di spazia immensi in grado di rendere indimenticabile un giovedì sera qualunque.

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