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Paolo Benvegnù e Francesco Motta live a Roma: se l’età non conta

Villa Ada, 25 luglio.
Il caldo afoso della giornata è ormai lontano.
Una folta schiera di romani (e non) si raduna nella splendida cornice del caratteristico laghetto della Villa, da anni teatro del Festival Villa Ada Roma Incontra il Mondo.
Sul palco, per l’occasione, due membri della sempre più ampia famiglia Woodworm: Francesco Motta e Paolo Benvegnù.
Molti i giovanissimi, già pronti ad abbracciare la transenna, in attesa di ascoltare ‘La fine dei vent’anni‘; molti meno i veterani, che qui e là parlano del paradosso di un concerto di Motta aperto da un colosso quale Benvegnù («ma si può? dovrebbe essere quantomeno il contrario!», dice qualcuno).

Mentre lo spazio sotto al palco si riempie, arriva l’ora dell’inizio spettacolo. 
Benvegnù sale sul palco: neanche una parola, così che il silenzio lasci subito spazio alle note della sua chitarra, che suona con fare solenne.
Ogni suo movimento sembra già pensato, non c’è spazio per il casuale.
Nello spazio profondo‘ ci introduce in una dimensione musicale che unisce le classiche tonalità del cantautorato a quelle di un rock dalle atmosfere ricercate, mai scontate.
Quelle di Benvegnù sono sonorità piene di grazia, melodie che ricercano l’estatico, rotto dalla profonda voce del cantautore, che si fa quasi guida spirituale (e musicale).
Ci vengono proposti brani scelti da tutta la sua discografia: da estratti di “H3+” (il suo ultimo lavoro), come ‘Goodbye Planet Earth‘ e ‘Olovisione in parte terza‘, si arriva a brani del suo primo disco, come ‘Suggestionabili‘.
Circondato da musicisti di talento, Benvegnù ci regala un’oretta abbondante di concerto, durante la quale suona.
Suona e basta: non proferisce parola al di fuori delle sue canzoni, quasi non volesse rovinare la sacralità del momento musicale.

Gli applausi salutano il primo artista, che lascia il palco a..un’ora di totale e completo silenzio.
Un’attesa senza fine, che è spesso accompagnata da fischi e da grida di chi sta aspettando solo Francesco Motta e i suoi.
Forse problemi tecnici (si spera), visto che tra i backliner non mancano frenesie e ansie.
Per fortuna, le luci si spengono e tutti tirano un sospiro di sollievo.
Dal fumo inizia a comparire tutta la band – quella seconda famiglia che il cantautore dice spesso di aver scelto «in dieci secondi»; e poi arriva lui, accolto dalle urla dei suoi fan.
Motta è pieno d’energia: inizia a saltare qui e là sul palco, scende verso la transenna ad incitare il pubblico, che gli risponde battendo all’unisono le mani.
Se continuiamo a correre‘ è il brano d’apertura; di lì, il delirio.
Quello di Motta a Roma è un ritorno che si dimostra decisamente sopra al tono generale delle date romane della prima metà del 2017: la sua voce è forte, chiara, arriva ovunque e abbraccia l’intera platea tra dolcezza e tormento.
Il cantautore, nel suo generale eclettismo che lo vede passare in continuazione da uno strumento all’altro, ci propone tutti i brani del suo lavoro da solista: ‘Del tempo che passa la felicità‘, ‘Prima o poi ci passerà‘, ‘Mio padre era comunista‘ (con dedica ai suoi genitori, presenti tra il pubblico), ‘Sei bella davvero‘.
A sorpresa, compare sul palco Francesco Pellegrini, che con Motta ha condiviso l’esperienza dei Criminal Jokers; e proprio di questi ci vengono proposti un paio di brani: ‘Bestie‘ e ‘Fango‘.
Tra una canzone e l’altra, Motta parla: ci racconta di sé, dei tour in giro per l’Italia, delle sue esperienze musicali, di Riccardo Senigallia, il cui contributo resta fondamentale per l’ottima riuscita de “La fine dei vent’anni”.  
Dopo una breve pausa, si arriva alla conclusione, che al solito si apre con ‘Roma stasera‘, dedicata alla città che proprio in quel momento è riunita tutta per lui, e si chiude con ‘Prenditi quello che vuoi‘, nella quale i musicisti si scatenano per salutarci tutti.
Motta ci ricorda che ci vedremo presto e che sta scrivendo nuove canzoni (che era anche ora, no?), per poi sparire tra gli applausi del pubblico tutto.

Insomma, l’accoppiata Motta e Benvegnù tutto sommato convince; ciò che convince meno è l’ordine in cui i due artisti si esibiscono: se l’età non conta (uno alla fine dei vent’anni, l’altro all’inizio dei cinquanta), conta certo il pubblico che un artista piuttosto che l’altro può effettivamente portare sotto al palco di Villa Ada.
Se Benvegnù propone uno spettacolo degno di questo nome, facendosi esempio di sonorità più ricercate e meno ‘orecchiabili’ (o anche di nicchia, se vogliamo), Motta risulta di più facile ascolto, più alla portata di tutti (più pop, nel senso proprio del termine), senza nulla togliere alla sua esibizione, chiaramente.

Nota a margine: è un sentore generale che Motta si sia un po’ adagiato sugli allori, dopo questo primo disco di successo.
Ma, come ci insegna un caro amico, «il secondo album è sempre il più difficile, nella carriera di un artista».
Aspettiamo e speriamo.

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