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Vinicio Capossela portrait

Ostia Antica Festival 2024 | Vinicio Capossela

“ANTICHI TASTI – DE REDITU SUO. RITORNI, ROVINE E ALTRI CROLLI” AL TEATRO ROMANO DI OSTIA ANTICA

La musica incontra la letteratura in un linguaggio comune

Un Vinicio Capossela così era inaspettato e soprattutto insospettabile. In grande forma fisica e mentale, forse esaltato dalla location meravigliosa (e caldissima) del teatro romano di Ostia Antica, il buon Vinicio esplora un concerto che definire meraviglioso è limitante.

Prima del bis ricorda di quando 18 anni prima fece, nella stessa location, un concerto non proprio eccezionale. La causa quella volta fu un vino sardo liquoroso che si scolò prima dell’inizio. Ma fu la stessa sera nel 2006 che si concluse con quel meraviglio episodio all’alba al Pincio di Roma, dove chiuse la Notte Bianca con un’esecuzione di ‘Ovunque proteggi’. Il sole stava sorgendo, il pubblico in bilico tra visibilio e sonno. Una cosa rimasta nell’eternità culturale di questa città.

Lo spunto questa sera è l’opera dell’ultimo autore latino importante, quel Rutilio Namaziano che fu prefetto di Roma costretto a fuggire dall’invasione dei Goti e che vede una città decadente in mano a un finale di storia poco dignitoso. E qui Vinicio Capossela dà il meglio di sé supportato da musicisti in grandissimo spolvero: si alterna tra passato e presente, chitarra e pianoforte, lirica e sociale-politico.

Inizia con ‘Al Colosseo’ e e una fiammeggiante ‘All you can eat’, passando per il ‘Divano Occidentale’ e il ‘Povero Cristo’. Poi emerge il Capossela poeta, quello che celebra i trenta anni dall’uscita di “Camera a sud” con Zampanò e Guiro. Capossela parla di errori personali, ma anche di migranti; cita Joseph Conrad e lo omaggia con la sempiterna ‘Lord Jim’. Poi affonda nelle celebrità del suo passato con ‘Brucia Troia’, ‘Medusa Cha Cha Cha’ e una indiavolata ‘Il Ballo di San Vito’.

Il bis è tutto per una poeticissima versione di ‘Ovunque Proteggi’, introdotta al piano da un estratto del Satyricon di Fellini. È un Capossela soddisfatto quello che si appresta a chiudere un concerto bellissimo in una città che lui sembra capire più dei suoi natali: la osserva come fece Namaziano nella sua fuga, col distacco di chi da lontano vede tanta meravigliosa decadenza fluttuare senza tempo. Indolente ma mai morente.

Capossela ormai è un nume tutelare della cultura italiana: i suoi testi e le sue canzoni forse andrebbero insegnati nelle scuole. Esiste un pensiero che lega non solo la sua opera, ma i suoi gesti – come anche brindare con un buon bicchiere di vino. Capace di passare dalle citazioni colte a Mel Brooks in pochissime parole e pensieri, la sua mente corre veloce come il suo sguardo e la sua penna. Se poi il tutto è accompagnato dalla forma fisica di questo periodo, il risultato finisce davvero per essere eccellente.

Capossela è unico anche quando si cimenta con gli altri, un volo senza destinaziona ma solo con centinaia di fermate. Non è un cantautore ma come amerebbe dire lui è un musico che viaggia nei luoghi del tempo attraverso la sua poetica. Artista straordinario di cui il pubblico non si stanca mai.

Ricordo un episodio che riguardò una serata di premi in cui nella stessa platea di aspiranti c’erano Ligabue e Capossela. Vinse il primo, che andando a ritirare il premio lo dedicò proprio a Vinicio, schernendosi di essere definito cantautore come uno della sua statura e che da anni rende questo mestiere qualcosa di unico. Ecco, Capossela è qualcosa di unico. E la bellezza sta nel fatto che i colleghi ed il pubblico sono ben coscienti della sua straordinarietà di artista, che sorge ogni giorno. Proprio come il sole di Roma quella mattina al Pincio.

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