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Opeth, la lunga attesa (ripagata)

Dopo anni di attesa, la band regala ai fans qualcosa di unico ed indescrivibile 

Più che un concerto, il live degli Opeth ad Ostia Antica è stato una vera e propria esperienza a tutto tondo

Assistere ad un concerto degli Opeth, nella magica cornice dell’Anfiteatro romano di Ostia Antica, è un’esperienza nell’esperienza, qualcosa di unico e indescrivibile che catapulta lo spettatore in una dimensione parallela, un brodo primordiale dove perdersi tra suoni dilatati, bagnati nell’acido della psichedelianni Settanta, intervallati da sfuriate death metal.
Erano anni che
non partecipavo ad un evento così speciale ed unico, gli spettatori si ricorderanno a lungo di questo evento – ma iniziamo con ordine.

Appena entro nell’Anfiteatro romano di Ostia rimango a bocca aperta, rapito dall’ambientazione a dir poco evocativa del luogo.
Nubi nere incombono sulle teste degli spettatori ma Giove Pluvio sarà clemente con i numerosi paganti assiepati sulle scalinate di pietra.
Aprono le danze gli islandesi Vintage Caravan, un trio di ragazzi appena ventenni di assoluto valore
, che nel giro di pochissimi anni hanno sfornato album di qualità eccelsa, unendo un approccio squisitamente hard rock anni Settanta senza dimenticare parti melodiche e sognanti che, paradossalmente, li avvicinano ad alcune atmosfere degli Opeth più recenti.

Vintage Caravan
Vintage Caravan


I Vintage Caravan, dopo l’iniziale ‘
Whispers‘ per scaldare i motori, ingranano la quinta con ‘Crystallized’dall’ultimo ottimo lavoro “Monuments”, un concentrato di proto-stoner che strizza l’occhio alla corrente svedese di Orebrò che ad inizio anni Duemila si è imposta in ambito underground con gruppi del calibro dei Witchcraft .
La
miscela sonora è semplice e diretta, le loro cavalcate elettriche conquistano gli spettatori dell’arena romana che applaudono convinti ad ogni brano snocciolato dal gruppo.

La scaletta degli islandesi dura una quarantina di minuti, durante l’esecuzione dei sette brani ci deliziano con repentini cambi di tempo, interessanti divagazioni acustiche che ci riportano indietro ai tempi degli Uriah Heep più ispirati e dei Rainbow dell’elfo R.J.Dio.

Ovviamente, questi sono dei sovrastrati sonori e non delle influenze dirette: la band gioca sapientemente nel dosare il lato più sanguigno e viscerale del proprio sound con elementi più melodici, creando una formula che pur non essendo originale, offre un sapiente gioco di specchi del tutto unico.
Il segreto dei Vintage Caravan è quello di proporre una musica diretta ma anche
introspettiva, attingendo a piene mani dal bagaglio prog anni Settanta.
Indubbiamente la cosa che colpisce di più di questo
combo nord europeo è la padronanza degli strumenti e la prolificità in sede compositiva.
Il gruppo ha infatti inciso cinque album in nemmeno dieci anni di attività, cosa davvero lodevole. Quando la band arriva all’ultimo brano della set list, ‘Set Your Sights’, ci propone improvvisi cambi di tempo e sferzate hard rock che conquistano il pubblico che urla il loro nome a gran voce
Sono certo che dopo quest’esibizione la band avrà nuovi estimatori tra le loro fila.

Una breve pausa per ricaricare le batterie, andare al bar a prendere una birra rinfrancante ed è il turno di Mikael Akerfeldt e soci. 
Arrivano sul palco con una puntualità svizzera: alle nove spaccate gli Opeth accendono i reattori della loro nave spaziale che ci trasporterà in galassie lontane e sconosciute, con la loro musica che profuma di liturgia antica e di boschi scandinavi. 
Però, prima di iniziare a descrivervi il concerto, bisogna fare una piccola premessa.

Opeth
Opeth

La lunga carriera della band si può tranquillamente dividere in tre fasi ben distinte. 
La prima più grezza, ma letteralmente adorata dallo zoccolo duro dei fan, è quella che termina con il seminale “Still Life”. 
La seconda, della maturità, si apre con la fruttuosa collaborazione con Steven Wilson dei Porcupine Tree – vero Deus ex Machina dietro la consolle – che consolida il loro stile nel 2001, aggiungendo più parti acustiche e prog. 
E infine, la terza, con la pubblicazione del controverso “Heritage” del 2011 nel quale gli Opeth interrompono l’uso del “growl”nel cantato, staccandosi definitivamente dal passato death metal ed abbracciando con convinzione la scuola prog italiana degli anni Settanta.
Quest’ultima virata nel sound ha
, però, sfaldato la fan base del gruppo svedese: molti rimproverano l’abbandono di un ingrediente da sempre fondamentale nella personalità degli Opeth
Questa premessa è per sottolineare l’omogeneità della scaletta del concerto, che passa con disinvoltura dai classici del passato remoto a cose più recenti, in modo da accontentare tutti i presenti.

Demon of the Fall’ è il primo pezzo offerto in pasto al pubblico e rimango subito sbalordito dalla loro precisione chirurgica sui loro strumenti. 
Si prosegue dunque con il classico ‘Ghost of Perdition’, con una lunga coda acustica da brividi lungo la schiena.
Questo è il b
ello della loro proposta, il continuo gioco di chiari e scuri come in un quadro dalle mille sfumature di colore.
Mikael Akerfield è come ce lo ricordavamo, divertente e spassoso con un senso dell’umorismo molto “british che coinvolge il pubblico in un botta e risposta assolutamente esilarante.
Non un solo calo di tono durante la lunga scaletta, che ci mostra un catalogo
 di assoluto rispetto bilanciato tra vecchio e nuovo. 
Parere personale, l’apice viene raggiunto nella parte finale del concerto, quando il gruppo si cimenta nella doppietta ‘Face of Melinda’ e ‘Lotus Eater’, sfuriate death inframmezzate da litanie dal retrogusto folk ed elegiaco.

Opeth
Opeth

La band si congeda nel tripudio generale, per poi ritornare subito sul palco con un bis composto dalla recente ‘Sorceress’ e dal cavallo di battaglia ‘Deliverance’, un vero tour de force nel mondo degli Opeth.
La lunga coda con il botta e risposta tra chitarra solista e sezione ritmica è la quintessenza stessa della
 magnifica proposta della band scandinava e il motivo per cui se non eravate presenti vi siete persi uno dei live più coinvolgenti del 2022.
Le luci si accendono e i volti dei presenti sono trasfigurati in un’espressione di estasi: non capita spesso di assistere al concerto di una band così brava
e precisa in una location evocativa come l’anfiteatro di Ostia Antica.
Speriamo non passino altri sedici anni prima di rivederli da queste parti.

Photo gallery Opeth

Ostia Antica (RM), 28/09/2022
© Giulio Paravani

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