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Oneida, sitcom senza comfort zone

È domenica sera, le giornate si stanno allungando, il 19 marzo è a cavallo tra inverno e primavera dunque possiamo azzardare la giacca di mezza stagione.
Ci sono gli Oneida al Circolo Magnolia di Segrate (MI) e suonano sul palco interno, quello piccolo che fa molto underground e tutto questo ci fa lacrimare forte il cuore.
Ventisei anni di militanza, sedici album in studio all’attivo, un perimetro musicale impossibile da definire, con queste premesse l’unica certezza è di un concerto da cui ci si può aspettare di tutto.
Gli Oneida arrivano da New York City, città foriera di musicisti pettinati e impostati, sono addirittura di Brooklyn, e sono probabilmente il gruppo meno imbellettato e pettinato di tutto lo stato e forse anche dell’intero nord-est.
La sola cosa che possiamo fare nell’attesa è sfregarci le mani.

I Mashrooms, che si prendono carico dell’apertura, sono uno strano oggetto che spiazza e trasmette la sensazione di qualcosa di mai sentito, su cui non è facile farsi un’opinione così su due piedi ma che senza dubbio stuzzica la curiosità di capire quale sia l’idea di fondo, cosa ci sia a monte di tutto.
Questo gruppo siciliano, di Siracusa, con un lunghissimo percorso alle spalle, si dispone sul piccolo palco con una disposizione compatta, gli sguardi incrociati come se fosse una jam, impostati e psicotropi, e miscelano ingredienti tra di loro distanti in maniera davvero singolare.
Ci si aspetta sempre un gruppo spalla accattivante, i Mashrooms seguono più la filosofia dell’apertura stimolante.

Dicevamo, a proposito dell’aspetto degli Oneida.
Non hanno l’aria glam della rock band newyorkese, e fin qui ci siamo.
Ma non ritroviamo in loro nemmeno i tratti distintivi dei musicisti di nicchia un po’ nerd, o dei soloni barbuti o barbosi che filosofeggiano con i loro pezzi.
Hanno allora un aspetto anonimo, da gente qualunque, magari di mezz’età?
Ma neanche questo.
Gli Oneida hanno i volti caratterizzanti e al tempo stesso accoglienti di personaggi usciti da qualche sitcom degli anni Novanta, quelle spalle divertenti e pungenti che spesso risultano più brillanti e gradite dei protagonisti noiosetti.

Oneida

L’inizio è sovrapposizione: di suoni, di strumenti, di generi che gli Oneida rappresentano e dunque di regole del gioco che si confondono: dobbiamo leggere quello che ci viene proposto in chiave noise rock?
O i principi sono quelli solidi e indiscutibili del progressive rock?
Sovvertiamo tutto sotto una spinta di improvvisazione jazz?
Aggiungiamo per strada, per ingigantire i nostri dubbi e porre fine per k.o. tecnico alle nostre domande, un po’ di punk, che a piacimento può diventare post-punk e addirittura proto-punk.
Ci rendiamo conto che ogni brano degli Oneida aggiunge degli interrogativi anziché aiutarci a sciogliere i quesiti precedenti, e decidiamo di passare oltre.

Concentriamoci su come gli Oneida si pongono: suonano, e tanto, non si distendono mai, inseriscono con frequenza variabile voci corali a due o a tre, dall’effetto tribale soprattutto quando si combina all’incalzare ossessivo delle lunghe scorribande strumentali.
Il lavoro più usurante è di certo quello del batterista, sempre presente e sempre premente.
C’è solo un porto sicuro nel quale potersi ristorare, ed è quello a cui di tanto in tanto, specialmente nella seconda metà del set, ci permette l’approdo nei suoni familiari degli anni Novanta.
Il resto del libro che gli Oneida scrivono si può condensare nel titolo che daremmo a questo bestseller: 101 modi per farti uscire dalla comfort zone, abbondando con gli strumenti e dosando chirurgicamente la voce.

Segrate (MI), 19 marzo 2023

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