Myrkur, evolvo ergo sum
Pur avendo già sentito parlare del progetto Myrkur, l’accostamento all’ambiente black metal – un genere che più lontano dalla mia area di comfort musicale non potrebbe essere – me ne aveva fatto tenere a debita distanza.
Di demoni ne avrei abbastanza di mio, senza dover subire anche quelli degli altri.
Non avevo considerato, però, che nella musica così come nella vita dietro ad un incontro a volte si cela la più pura delle casualità.
In questo caso, la casualità porta il nome di una ben nota piattaforma di streaming che – non chiedetemi per quale insano motivo – durante un viaggio in auto tra le mille mila proposte più disparate mi tira fuori questa rilettura myrkuriana di ‘House Carpenter’, una di quelle ballate folk che affonda le sue radici nel 17simo secolo e che fa la sua comparsa, in un modo o nell’altro, nella tradizione popolare di buona parte della cultura nord-europea.
Grattatina di testa, pit-stop all’Autogrill e successiva ricerca sulla succitata piattaforma streaming dell’album di Myrkur che la contiene (per la cronaca, si tratta di “Folkesange”, il suo quarto album datato 2020), con conseguente mea culpa e abbondante spargimento di cenere sul capo. Mai dare nulla per scontato, che poi ti penti.
E finisci per spendere soldi su Amazon, per la somma gioia del conto in banca di Amalie Bruun, la cantante/polistrumentista/attrice/modella danese che si cela dietro al monicker Myrkur.
Della serie, nomen omen, perché ammaliante è davvero l’aggettivo che più di addice alla sua peculiare vocalità.
Un po’ come se una Enya o una Loreena McKennitt si fossero lasciate tentare dal Lato Oscuro.
«Come marinai di fronte ad una sirena, non possiamo sapere cosa farà di noi il suo canto», citano i post promozionali dell’evento odierno.
Per quanto il farsi legare all’albero maestro Ulisse-style non rientri nei miei progetti per la serata, mi avvio verso il Circolo Magnolia, il luogo in cui Myrkur officerà il suo rito pagano, issandomi sulle spalle un discreto carico di impazienza, curiosità ed aspettative, sapientemente alimentate dai plurimi ascolti del nuovo album “Spine”.
E qui il caso ci mette nuovamente lo zampino, questa volta sotto forma di meteo: quello che doveva essere un evento all’insegna di una glaciale oscurità e grondante atmosfere invernali viene invece salutato dalla più calda delle domeniche di aprile, con un sole pieno e temperature che sfiorano i 30 gradi.
Praticamente un anticipo di estate.
Inizialmente previsto all’Alcatraz, per non meglio specificati motivi logistici lo show è stato spostato al Circolo Magnolia.
Trattandosi di circolo ARCI, quel minimo di obbligatoria burocrazia legata al processo di tesseramento implica tempi di ingresso decisamente più lunghi, il che per il sottoscritto si è tradotto nell’impossibilità di assistere allo show di Jonathan Hultén, il pittoresco ex-chitarrista dei Tribulation scelto da Myrkur quale special guest per questo suo tour europeo.
Un vero peccato perché il dark folk che ne caratterizza la carriera solista, su disco risulta davvero intrigante.
Non resta che affogare un minimo di delusione nella consueta birretta pre-concerto, in attesa che le luci si spengano per accogliere sul palco la sacerdotessa danese che finalmente si palesa sul palco mentre in sala risuonano le note ancestrali di ‘Bålfærd’, il brano strumentale che apre il concerto così come apre il nuovo album. L’apparizione è quasi celestiale, degna di una regina elfica virata al nero, una sorta di Galadriel norrena caduta dal Valhalla e calata tra i comuni mortali.
La sua presenza è imponente e domina uno stage ricco ad ambientazione floreale, quasi a simbolizzare una totale immersione nella natura, in una celebrazione di madre terra che ben si confà allo spirito pagano che pervade la musica della Bruun. Per quanto breve (parliamo di 35 minuti scarsi), il nuovo album “Spine” si erge a protagonista della serata e verrà presentato quasi per intero, credo non solo per motivi promozionali ma soprattutto perché rappresenta un cambio di passo – l’ennesimo – in quella che è la visione musicale di Myrkur.
L’ispirazione black metal che stava dietro ai primi due album si è andata stemperando già con il successivo “Mareridt” (per il sottoscritto un piccolo capolavoro) e si è dissolta definitivamente con la svolta folk di un disco come “Folkesange”.
Ora è il momento di “Spine”, un disco ricercato ed affascinante, che è un po’ la summa di tutto ciò che è fino ad ora uscito dalla creatività myrkuriana, ma riletto con una sensibilità quasi pop che può ricordare – con le dovute differenze – a la svolta synth degli Ulver.
“Spine” ha un grande merito: la sintesi.
Sono ‘solo’ 34 minuti, ma in quei 34 minuti vien detto tutto ciò che si doveva dire, senza perdersi in inutili diluizioni e fronzoli che avrebbero solo appesantito un’opera godibile proprio grazie alla sua immediatezza e concisione.
Un disco dove troviamo in almeno tre brani l’influenza creativa di Billy Corgan, che con la Bruun condivide un legame di forte amicizia. Nello show di questa sera i primi sei brani sono anche i primi sei brani di ‘Spine’, proposti nella medesima sequenza.
‘Like Humans’ è stato il primo singolo, e non è difficile comprenderne i motivi: quella sensibilità pop di cui si faceva cenno poc’anzi qui la troviamo in tutto la sua infettuosa capacità penetrativa. ‘Mothlike’ è uno di quei brani bastardi che ti frega con il suo andamento melodico ma che poi ti accoltella alle spalle con quell’impennata centrale a tinte black che ti scuote per poi rasserenarsi nel finale così come ‘My Blood Is Gold’ è tanto inquietante quanto evocativa.
Con la title-track e ‘Valkyrierenes Sang’, un brano in lingua madre, si chiude temporaneamente la carrellata dedicata all’ultimo album per lasciare un minimo di spazio al passato, con una sequenza di tre brani che citano i primi due album (‘Dybt I Skoven’, ‘The Serpent’ e ‘Crown’). Con ‘Blazing Sky’ e ‘Devil In Detail’ ritorniamo a “Spine” che conclude qui la sua rappresentanza.
Da questo momento in poi si passa al folk, con il pezzo che citavo in apertura di report, quella ‘House Carpenter’ che questa sera viene eseguita in compagnia della chitarra acustica di Jonathan Hultén, seguita da ‘Bonden Og Kragen’, un brano della tradizione popolare danese risalente al 1600 che è possibile ascoltare nella sua versione in studio sull’ EP “Juniper”.
Con le delicate note di ‘Leaves Of Yggdrasil’, ancora una volta da “Folkesange”, il set principale giunge a conclusione.
Pochissimi minuti di pausa ed ecco che Myrkur e la sua band ritornano sul palco per il gran finale, affidato a due dei pezzi più rappresentativi di quel gioiellino che è stato ‘Mareridt’, con una ‘Ulvinde’ da brividi e soprattutto con una ‘Death Of Days’ apocalittica sia nel titolo che nella sostanza, che fa calare il sipario su uno dei concerti più intensi e coinvolgenti che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi.
Myrkur questa sera si è resa protagonista di una performance vocale impeccabile.
La ragazza passa con nonchalance da uno strumento all’altro, perfettamente coadiuvata da una band visivamente anonima, ma che in termini di resa sonora si è dimostrata assolutamente all’altezza.
Ottimo anche il lavoro a livello suoni, do ottimo livello per tutta la durata di uno show che mi ha lasciato completamente soddisfatto, e con il malcelato desiderio di ripetere, quanto prima, l’esperienza.