Mark Lanegan live a Roma: tra atmosfere dark e puro rock
Il Mark Lanegan che ci accoglie nell’afa di questo 11 luglio 2017 a Roma è un’artista maturo, serio, composto e stasera forse perfino caloroso, rispetto ai suoi gelidi standard nel rapporto con il pubblico. Non che la voce roca e caldissima di Ellensburg abbia elargito grandi discorsi, ma si può tranquillamente dire che anche i suoi sporadici «thanks!» hanno fatto la differenza.
Il concerto tenutosi al Parco Rosati – dopo uno spostamento di location – nel quartiere Eur della Capitale rappresenta una delle date italiane con cui l’artista statunitense presenta dal vivo il suo decimo disco, “Gargoyle” pubblicato a fine aprile 2017.
Ma la scaletta è stata pensata in modo da non far mancare niente ai fan presenti, comprendendo brani da “Bubblegum”, da “Blues funeral”, passando per “Phantom Radio” e strizzando l’occhio a qualche cover.
È una serata ad alto tasso di umidità e di folk rock, che si apre con la luce di un tramonto lento verso le 20, quando sul palco sale Lyenn, con il suo sound melodico ma in grado di passare da canti angelici e romantici a sprazzi growl, urlati ed energici e con cambi di chitarre (e di banjo) interessanti, a presentare alcuni brani tratti dal suo ”Slow Healer”.
Fred Lyenn, come il cantante del secondo opening act, Duke Garwood, è membro effettivo della band di Mark Lanegan, in veste di bassista.
Garwood ed un suo batterista portano avanti un secondo momento di preparazione al concerto, tra blues ed un’incessante sperimentazione che ci permette l’ascolto di alcuni brani del progetto, tratti anche dall’ultimo disco, ”Garden of Ashes”.
Il livello di concentrazione del pubblico sale in modo esponenziale quando sul palco arriva la Mark Lanegan Band al completo: le atmosfere dark, amalgamate al cantautorato americano, al soul, al blues e al gusto rock’n’roll, si adagiano sulla vocalità profonda di Mark Lanegan, portando una piacevolissima folata di quel rock ”serio” – oggi sempre più raro – ai presenti.
‘Death’s Head Tattoo’ apre le danze in modo vorticoso, con calore e quel tormento legato a temi impregnati di sofferenza che l’autore è così bravo a raccontare nei suoi testi.
Direttamente da ”The Blues Funeral” del 2012, ‘The Gravedigger’s Song’ parla di un amore macabro, riscaldando ancor di più le atmosfere, infuocate da ‘Riot in My House’, tratto dallo stesso disco. Seguono brani come ‘Riding The Nightingale‘ e la splendida ‘Hit the City‘, che ai tempi vide collaborare Lanegan con Pj Harvey.
Uno dei brani più belli tratti da “Gargoyle” è ‘Nocturne‘, portata sul palco con vigore da questa voce così rauca e sensuale che intona «Do you miss me, miss me Darling?».
L’ex cantante degli Screaming Trees inserisce poi in scaletta altri tre brani dello stesso album: ‘Emperor’, narrante quasi la stessa solitudine oscura di ‘Nocturne’ ma con un ritmo più tamburellante; ‘Goodbye to Beauty’, una ballad profonda, dall’arrangiamento un po’ grunge – come le origini dell’artista – e ‘Beehive’, che punge come un’ape.
Uscito nel 2012 in ”Blues Funeral”, ‘Ode to Sad Disco‘ è uno dei pezzi più segnanti nella carriera solista del cantautore.
Il dolore in esso narrato si avvicina a quello di ‘Harborview Hospital’, dalle tinte sgargianti e affilate, cui segue in scaletta una cover dei The Twilight Singers, ‘Deepest Shade’.
Si canta di fantasmi in ‘Harvest Home‘ e la performance di ‘Floor of the Ocean’ è a dir poco fiammante, di quel rosso che tinge anche il rock di ‘Torn Red Heart’ .
È romantico il chiaro di luna di ‘One Hundred Days‘, come le sue tonalità, invece più ruvide in ‘Head’. ‘No bells on sunday‘ è morbido, a differenza della stretta di ‘The Killing Season‘, la narrazione di un incubo.
A chiudere il concerto è la cover della cover, ‘Love Will Tear Us Apart‘, firmata Joy Division: molto adatta, forse perché è un po’ di amore e della sua capacità di distruggere che si è cantato stasera, in un concerto in cui Mark Lanegan e la sua band hanno suonato magicamente.
Lanegan si è riconfermato come un artista la cui musica è in grado di abbracciare chi la ascolta come un oscuro tepore, come una notte stellata da vivere sulle note dei pezzi di uno dei cantautori più originali, e capaci di scavare nell’intimo, della sua generazione.
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