Manuel Agnelli, il fascino demoniaco dell’arte
Artista poliedrico protagonista della propria musica, più in generale della propria arte e cultura
Manuel Agnelli infiamma Roma con una performance unica – quella del ritorno live dopo troppo silenzio
Sono davvero pochi gli artisti che sono calati nella contemporaneità.
I tempi in cui ognuno di noi nasce, cresce, studia o non studia, scova il talento sublimandolo o uccidendolo sono sempre divisi tra chiarore e oscurità.
È una lettura dell’arte che ha avuto in Pasolini forse la vetta intellettuale e che ormai ritrovo modernizzata in Manuel Agnelli.
Scontroso, contro corrente, alfiere del rumore e profondamente milanese.
Non ci sono accezioni negative nel definirlo: profondo intellettuale, coltissimo sempre a ballare su una riga di confine come fosse un personaggio tarantiniano.
Leader degli Afterhours, capace di turbare o anagrammare gli incubi e le paure di più di una generazione, si è ritagliato poi come personaggio televisivo da prime time.
Non c’è nulla di contraddittorio in tutto questo, come, a suo modo, ha anche ricordato ieri a inizio concerto: l’arte nasce sulla committenza e non c’è nulla di cui doversi vergognare.
Si paragona a Raffaello e Leonardo esplicitando e scherzando anche sulle supposte abitudini sessuali di quest’ultimo.
Scompone e riassembla le categorie servendosi di vari piani della conoscenza, non solo musicale.
Travalica i confini del comune senso del pudore usando anche immagini turpi, ma non è mai una volgarità fine a sé stessa bensì una chiave per interpretare quello che vuole dire.
O magari no, come ad esempio ha spiegato nel ricordare il recente David di Donatello vinto per ‘La Profondità degli Abissi‘ – a suo modo di dire, brano non compreso o a cui sono state date delle letture non veritiere.
Questo pezzo insieme al futurista ‘Proci‘ sono stati scritti per l’album “Ama il prossimo tuo come te stesso” in uscita a settembre.
Per il resto, la serata scivola via con una setlist che pesca a piene mani dal repertorio più noise del cantautore.
Performance veloce con l’interpretazione superlativa di ‘Veleno‘, ‘Varanasi Baby‘, ‘Bunjee Jumping‘ e una ‘Dea‘ tiratissima, alternata a momenti più dilatati nei classici ‘Non si esce vivi dagli anni Ottanta‘, ‘Male di Miele‘, ‘Quello che non c’è‘ e ‘Padania‘.
Agnelli aveva una gran voglia di ritornare sul palco, si diverte specialmente a suonare la chitarra e le tastiere con una gran voglia di liberare l’elettricità accumulata negli ultimi anni e ricordare a tutti che nella dimensione live fornisce ancora il meglio di sé.
Sostenuto, stavolta, da una line up solida ed intraprendente.
Da un lato i Little Pieces of Marmelade, reduci da X Factor e adottati e sostenuti dal milanese: picchiano su chitarre elettriche e batterie, spingono alle note vocali alte Agnelli.
Dall’altra Giacomo Rossetti, in prestito dai Negrita, al basso, e una bravissima Beatrice Antolini al piano e suggestioni elettroniche che dimostra il feeling sul palco con il frontman degli Afterhours.
Il finale raccoglie ancora le emozioni dei fan con una versione coinvolgente di ‘Lasciami leccare l’adrenalina‘ e ‘Voglio una pelle splendida‘.
Manuel è stanco, ma ha ancora voglia e spazio per i bis con l’ormai classica ‘Non è per sempre‘ e una velocissima ‘Bye Bye Bombay‘ con chitarra e basso dilatati.
Il finale delicato ma in qualche modo sempre distorto è per ‘Ci sono molti modi‘ alle tastiere e una emozionante ed emozionata ‘La sottile linea bianca‘.
Certo, l’acustica a Villa Ada non aiuta, come se la linea ritmica fosse soffocata dall’umidità del lago circostante, però la voglia di tornare a farsi sentire per Agnelli è forte sul palco; e presto, ne sono certo, tornerà insieme anche alla sua storica band.
Parliamo di un artista davvero poliedrico che è protagonista della propria musica, ma direi più in generale della propria arte e cultura.
Capace di definire un linguaggio, di sapere comunicare e farsi persino ascoltare.
Manuel Agnelli è lo specchio bifronte dell’artista moderno: spumeggiante, quasi violento nelle contraddizioni di una società culturale in evoluzione anche negativa, con tempi che si dilatano e restringono in modo inaspettato.
C’è qualcosa di strappato nelle sue performance, come uno squarcio nelle certezze eterne, che ad esempio Roma fatica a trascinare via.
Ci voleva un milanese, di quelli che la sanno leggere da fuori questa città e non viverla da dentro.
Anche questa volta il suo ritorno è stato qualcosa di unico.