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Luppolo In Rock 2024 | Day 03 | Amorphis

SONO GLI AMORPHIS A CONCLUDERE L’EDIZIONE 2024 DEL LUPPOLO IN ROCK

Headliner dell’ultimo giorno, la band finlandese chiude il Luppolo in Rock e dà appuntamento al prossimo anno

Cremona, 21 luglio 2024

Con il cuore ancora gonfio di gioia per aver assistito a ciò che in tanti hanno descritto come il miglior live di questo anno, i metalheads si apprestano ad un’altra impervia sfida: affrontare ancora una volta il caldo torrido.

Se nella giornata precedente il popolo metallico aveva potuto tirare un sospiro di sollievo grazie alle temperature leggermente più godibili, in questa terza e conclusiva giornata di festival, l’afa è tornata a capeggiare sul parco delle colonie padane con una implacabilità incessante. Durante tutta la durata dei diversi set, presso le casse situate all’interno dell’area si creeranno code interminabili sia per l’acquisto di una birra fresca o anche solo per il puro piacere di concedersi una pausa rinfrescante gustandosi un ghiacciolo per combattere la calura estenuante. Se, quindi, da un lato questa arsura ha colpito le lunghe code alla cassa, dall’altro non sembra aver minimamente scalfito gli Inverno, prima band in apertura quest’oggi.

Inverno

Alle 17 puntuali come un orologio svizzero Daniele, Nicola, Simone e Danilo, in arte gli Inverno, fanno il proprio ingresso sul palco cremasco, pronti a scaldare ulteriormente gli astanti. «I am the suffering, you are just to suffer»…Pronti, quindi, a soffrire sfidando le temperature toste, la band dà inizio al proprio set con ‘Hollow’, brano di debutto della band tratto dall’unico full length attualmente pubblicato, “Statis”, uscito proprio lo scorso anno.

Da questa prima fatica discografica, i nostri snoccioleranno una scaletta di circa sei pezzi, i quali verranno ben accolti dal pubblico presente già sottopalco. A giostrarsi le attenzioni degli astanti sono Simone Orizio, vocalist dalla padronanza vocale veramente lodevole, e il bassista Danilo “Dann” Arisi, la cui interazione con gli spettatori che con i fotografi, pronti ad immortalarlo nelle pose più originali, non è mai mancato dall’inizio alla fine del concerto.

«Oggi fa un caldo allucinante, ma noi siamo gli Inverno e siamo qui per portarvi un po’ di freschezza»: con questa estrosa frase del cantante, la band incoraggia gli astanti a non dar peso al sudore che scorre sui loro visi e, addirittura, li invoglia a farsi coinvolgere ulteriormente dalla propria proposta musicale, la quale si rifà audacemente a sonorità metalcore, con growl possenti e corposi, alternate a sprizzi di clean vocals e passaggi musicali più melodici e versatili. Tra i brani più significativi del set qui proposto menzioniamo ‘Curse Of The Wind’ e ‘Obsidian Blood’, dal carattere oscuro e grintoso che ci ha mostrato una band dall’incredibile potenziale e alla quale auguriamo una crescita costante e un successo più che meritato.

Uada

Direttamente dall’Oregon, ecco arrivare sul palco cremasco gli Uada che, con questo mistero celato dei loro volti, quasi a voler emulare o, semplicemente, seguire i passi dei polacchi Mgła o, volendo, gli stessi Batushka, sembrano raffigurare i quattro cavalieri dell’apocalisse. Non si fanno quindi prigionieri e i nostri partono subito, belli decisi, a dar vita alla loro danza oscura.

La proposta del quartetto statunitense parte da una base melodic black metal solida che sembra voler strizzare l’occhio, in alcuni frangenti, a colossi del movimento musicale svedese quali Dissection o Vinteland, per poi rendere le sonorità più personali e un po’ più audaci, forse proprio nato dal desiderio di ‘staccarsi’ dai continui paragoni fatti dalla stampa con gruppi più blasonati del panorama europeo. Chi scrive non ha, effettivamente, mai avuto modo di approfondire dettagliatamente la proposta sonora dei nostri, però questa sera al Luppolo sembra esserci una grossa fetta di pubblico presente solo per loro.

Molti, infatti, dimostrano di conoscere i brani a menadito e, tra un headbang e l’altro, accompagnano i propri beniamini incappucciati per tutta la durata del set. Nel corso dei 35 minuti messi a propria disposizione, la band snocciolerà diversi estratti tratti principalmente da “Cult Of A Dying Sun” (2018) e “Djinn” (2020), escludendo totalmente l’ultimo album in studio, “Crepuscule Natura”, uscito lo scorso settembre e dal quale presentano solamente un brano, ‘Retraversing The Void’. Una scelta, questa, abbastanza bislacca, in quanto non si è dato il giusto spazio ad un album che avrebbe necessitato di più promozione in sede live. Un vero peccato! Considerate le più che positive recensioni che il disco ha ottenuto dalla stampa specializzata europea ed estera, sarebbe stato davvero interessante sentire live l’ultima creatura musicale di Jake Superchi e soci. Noi ci auguriamo che questo possa essere possibile nella nuova data italiana prevista in agenda a novembre al Legend Club di Milano insieme a Ghost Bath e Cloak. 

Personalmente, non seguendo la band, l’impressione che ho avuto ascoltando interamente il loro set è stato quello di assistere ad una lunga suite, monotematica, che, purtroppo, non mi ha dato nessun particolare appagamento. Sarà per via della durata considerevole dei brani (basti vedere che l’opening “Snakes And Vultures” ha una durata di circa 9 minuti!).

Primordial

Il sole picchia ancora molto forte quando la crew dei Primordial sale sul palco per allestire tutta la scenografia che accompagnerà per i prossimi 60 minuti la performance degli irlandesi. Per stemperare l’attesa, molti si dirigono presso la zona riservata ai nebulizzatori per rinfrescarsi il viso e godersi quei pochi istanti di frescura. Alle 19 circa ciascun membro della band prende possesso della propria postazione e solo con l’ingresso onstage di Alan Averill, in arte A.A. Nemtheanga, prende vita il racconto oscuro dei Primordial.

Era il 2012 quando, chi scrive, ebbe il piacere di vedere il combo di Skerries esibirsi sul palco dell’Estragon Club di Bologna: nonostante gli anni passati, ahimè, dispiace dover constatare come assistere ad un concerto della band con la luce del giorno ne abbia totalmente minato l’eccellente resa scenografia, in quanto la band, esattamente come accadde qualche anno fa con i nostrani Shores Of Null sempre qui al Luppolo In Rock, rende decisamente di più in un contesto notturno, creando la giusta atmosfera che gli spetta.

Nonostante spesso e (mal)volentieri la band sia sempre stata etichettata come “black metal”,  la musica dei nostri ha tratto spesso ispirazioni da giganti quali Celtic Frost e Bathory, dai quali sembra aver preso quelle sonorità cupe e sinistre presenti in dischi come “To The Nameless Dead”, da cui i Primordial suoneranno ‘As Rome Burns’, scelta come overture di questo set, e la bellissima ‘Empire Falls’, cantata a squarciagola al termine della serata da tutti i fan presenti in prima fila.

A tirare, però, i fili di questa peculiare performance è proprio il vocalist, il cui viso, nascosto da un cospicuo strato di facepainting (che tenderà sempre più a sciogliersi a causa delle alte temperature), cela uno sguardo angosciante. Lo stesso, infatti, cercherà a più riprese un coinvolgimento, un contatto non verbale con un pubblico che sembra “rapito” dallo charme del frontman irlandese, si immedesima totalmente nel suo personaggio e raffina la propria performance anche con una “adorabile” corda che si legherà al collo, quasi come a voler giocare a fare l’impiccato.

Una piccola parentesi viene affidata anche al più recente lavoro discografico, “How It Ends”, uscito lo scorso anno per Metal Blade Records, dal quale verranno presentati giusto tre pezzi, tutti ben accolti dal pubblico cremasco. Un set ben confezionato quello degli irlandesi che, ancora una volta, hanno donato ai fan uno show pregevole, seppur penalizzato, come detto pocanzi, dalla luce (battente) del sole. 

Paradise Lost

Precisi come solo loro sanno fare, i britannici Paradise Lost calcano le assi del palco cremasco alle 20.30 in punto e danno inizio alle danze con ‘Enchantment’, brano tratto dal disco per eccellenza, “Draconian Times”, che il prossimo anno, tra le altre cose, festeggerà ben 30 anni.

Rispetto alla loro ultima esibizione live, avvenuta nel 2022 al Campus Music Industry di Parma, la band si presenta con una scenografia abbastanza “ridotta”, con un banner nero raffigurante il proprio logo sullo sfondo e un impianto luci abbastanza statico, cosa che renderà il lavoro più facile ai fotografi sotto palco. La scaletta ripescherà a piene mani alcuni dei più grandi classici della gothic/doom band inglese, quali ‘As I Die’, ‘Embers Fire’, ‘Gothic’ e, ancora, la sempre immortale – a parer di chi scrive – ‘Faith Divides Us, Death Unites Us’.

La band, insieme ormai da tre decadi, sembra più in forma che mai, con un Greg Mackintosh, dallo sguardo sempre sostenuto e concentrato sul proprio strumento, intento a sollecitare a più riprese un pubblico già bello caldo e un Nick Holmes sì statico, ma mai deconcentrato sulla performance. La sua voce, infatti, tra le migliori del panorama metal internazionale, incanta e ammalia ciascun fan presente nell’area concerti. I nostri si concedono persino un piccolo spazio fuori dall’ordinario con ‘Smalltown Boy’, celebre cover degli anni ’80 di Bronski Beat e presente nel disco della band “Symbol Of Life” (2002) che, in un primo momento, manda fuori dai binari alcuni spettatori, i cui visi visibilmente allibiti cercano di comprenderne le melodie e, addirittura, li portano a tirar fuori il cellulare chiedendo aiuto all’assistente Google (ebbene sì). Una parentesi che ha deliziato maggiormente tutti coloro che da tempo aspettavano il ritorno dei britannici, attualmente impegnati nella stesura e nella composizione del loro prossimo disco. 

Sulle note di ‘Ghosts’, i Paradise Lost si apprestano a cedere il passo agli headliner della serata e si portano a casa un altro show di successo che, ancora una volta, ci ha mostrato una band che non ha mai perso lo smalto e che migliora sempre di più, anno dopo anno, complice forse anche l’ingresso del nuovo batterista Guido Montarini, il quale sembra aver portato ancor più linfa vitale al combo di Halifax.

Cari PL, ci eravate mancati? Decisamente sì! 

Amorphis

Dall’incredibile performance dei Paradise Lost si passa al piatto forte della serata. Con l’arrivo degli headliner onstage, si cambia letteralmente registro: scenografia già impostata, luci blu e viola pronte a scivolare sulle note suonate da Santeri Kallio ed ecco che lo show degli Amorphis è pronto ad infuocarsi!

Assente dal 2022 dalla loro ultima esibizione in Italia, la band finlandese torna alla carica più grintosa che mai, forte anche della recente pubblicazione del live album “Tales From The Thousand Lakes (Live At Tavastia)”, uscito la settimana scorsa su Reigning Phoenix Music e che celebra il trentesimo anniversario della pubblicazione del secondo lavoro in studio, “Tales From The Thousand Lakes” (1994). Un disco che, però, almeno in questa nuova sede dal vivo, non avrà la fortuna di essere eseguito nella sua interezza, riscontrando qualche piccolo disappunto da parte di alcuni fan che speravano proprio di poterne godere. Da questo album gli Amorphis presenteranno solamente ‘My Kantele’, brano intramontabile e sempre presente nella setlist dei finlandesi.

Se da un canto, però, il quintetto ha volutamente tralasciato lo storico disco, dall’altro ha preferito costruire una scaletta a favore di materiale di più recente fattura. Sl contrario degli Uada, gli Amorphis hanno dato ampio spazio all’ultimo lavoro in studio, “Halo”, uscito nel 2022, del quale hanno presentato 4 brani con la meravigliosa ‘The Moon’ a contendersi il titolo di miglior canzone dell’intero set. Non è mancata anche una piccola parentesi dedicata a “Queen Of Time” del 2019, dal quale è estratta la meravigliosa ‘Amongst Stars’. Su disco vedeva la partecipazione dell’incredibile Anneke Van Giersbergen la cui esibizione, in questa sede live, è penalizzata dalla sua assenza. La band ha optato per una traccia registrata della cantante olandese che in parte ha minato l’esecuzione del brano ma nel complesso non sembra esser dispiaciuta al pubblico.

Ottima anche la scelta di includere qualche brano tratto da “Eclipse” del 2016, come le immortali ‘House Of Sleep’ e ‘The Smoke’, e quello che, personalmente, reputo un capolavoro di album, “Skyforger” (2019), da cui verranno tratte ‘Sky Is Mine’ e ‘Silver Bride’. 

Nascosto dalla sua folta chioma liscia, Tomi Joutsen, a parer di chi scrive, conferma ancora una volta di essere uno dei migliori vocalist in circolazione e, al pari di Mikael Stanne (Dark Tranquillity, The Halo Effect, Grand Cadaver), è uno dei pochi a saper giostrare perfettamente i propri registri: infatti, il vocalist finlandese riesce a passare dalle linee pulite al suo growl cavernoso senza fatica alcuna.

Tutto sommato, gli Amorphis presentano una scaletta ben confezionata, anche se  personalmente io avrei incluso qualche altro brano di successo tratto da dischi quali “Under The Red Cloud” o “The Beginning Of Times”,  giusto per impreziosire maggiormente la loro magia.

Da anni, ormai, gli Amorphis sono sinonimo di garanzia assoluta e, anche in questa nuova vetrina, hanno dato un’ulteriore testimonianza del loro lascito musicale, regalando in quest’ultima giornata di festival un degno finale.

Ph. © Stefano Panaro / ONR 2024

Il Luppolo in Rock si riconferma un evento dal quale è impossibile sottrarsi, poiché il festival nato dai fan per i fan, come l’organizzazione stessa si auto-definisce, sa sempre come stupire la propria community. Anche quest’anno ha confezionato tre giorni intensi se pensiamo alle incredibili emozioni che ciascuna band è stata in grado di trasmettere a 360°. L’appuntamento si sposta al prossimo anno e noi, come sempre, saremo pronti a documentare a tutto tondo la nuova edizione: ne siamo certi, si prospetterà bella succosa!

 

 

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