Ludovico Einaudi, il pianoforte nel futuro
Il pensiero ricorrente durante la serata è stata la proiezione di un incontro storico impossibile: come se Beethoven avesse avuto la possibilità di incontrare Johnny Rotten dei Sex Pistols.
Attenzione, non vuol esserci nulla di sacrilego né da una parte né dall’altra.
Ludovico Einaudi è davvero un dono al mondo della musica: una capacità ed una sensibilità unica nel suonare il pianoforte.
Il dialogo instaurato attraverso le sue mani tra la formazione strumentale classica e un approccio elettronico al pentagramma è davvero un unicum nel panorama musicale moderno.
I suoi album rappresentano un concept musicale che nelle esibizioni dal vivo riescono persino a sublimarsi: il suono rimane sempre pulito e potente.
Colpisce anche il modo con cui Einaudi sapientemente usa le pause, segno anche questo dello studio classico e continuo del pianoforte.
È evidente una certa capacità britannica di approcciarsi agli strumenti, come se il pianoforte fosse una longa manus del corpo di chi lo suona.
I pezzi si susseguono armoniosi sul palco come se fosse una lunga poetica.
‘Atmos‘, ‘Berlin Song‘, ‘Tu Sei‘, ‘Nuvole Bianche‘ sembrano come i canti della Divina Commedia, tutti estratti da un unico grande libro del pianoforte moderno.
La capacità di fare astrarre gli ascoltatori da tutto ciò che c’è di circostante, di negativo e positivo, come se una enorme e avvolgente nuvola sonora accompagnasse i pensieri nostri.
‘Divenire‘ rimane una pietra miliare non solo di Einaudi, ma dell’intera composizione del Novecento.
La genesi di ‘Divenire‘ è una di quelle cose che sfiora il mito: l’ispirazione gli venne quando fu invitato a suonare al Festival che si tiene sulle Dolomiti.
Il messaggio cela la connessione profonda che esiste tra gli elementi naturali: un paesaggio e il suono.
Perché la musica, non va mai dimenticato, è nella natura che ci circonda.
Qualcosa di ancestrale e selvaggio nel tempo che la musica di Einaudi rende sinuosa come una curva di montagna che si arrampica fino alla cime.
Le sinfonie, da Beethoven in poi, sino a tutti i compositori moderni, non annusano la polvere del tempo, anzi.
Si rigenerano come una fenice ad ogni esibizione dal vivo: sempre uguale e al contempo diversa, come ‘Divenire‘, appunto, o ‘Le onde‘.
La capacità e l’ispirazione di Ludovico Einaudi stanno nel dialogo con cui ha improntato la sua recherche musicale, da sempre capace di improntare la musica classica sul piano delle espressioni novecentesche come il Jazz, il Blues, il Rock e il Punk e persino l’elettronica.
Unione di linguaggi, creazione di metalinguaggi: solamente i grandissimi artisti sono capaci di elevarsi a un tale livello di complessità qualitativa.
Il musicista torinese ha evidentemente un animo solipsistico nella sua produzione musicale, ma l’impatto emotivo sugli ascoltatori rimane capace di elevarlo ad una espressione artistica che davvero ha pochi eguali oggi nella contemporaneità.
L’Italia se ne è accorta in ritardo rispetto ad altri Paesi, ma la celebrazione che gli sta tributando ormai da qualche tempo è assolutamente meritata e va di pari passo col suo incedere.
Artista capace di cogliere gli spunti visivi e sentimentali che la realtà e i sogni gli palesano, come i grandi Beethoven e Jimi Hendrix ad esempio.
Einaudi ne è il ponte di questi mondi che conduce direttamente al futuro della musica, non solo pianoforte.