Energia sopravvissuta al tempo: The Prodigy live a Reggio Emilia
Andare ad assistere i Prodigy all’interno della rassegna di Festareggio il 25 agosto, per me equivaleva a vedere finalmente dal vivo uno di quei gruppi che mi hanno accompagnata durante l’adolescenza.
Le aspettative erano alte e la sensazione di non trovare la band capitanata da Keith Flint energica come un tempo un po’ mi preoccupava.
I gruppi di riferimento nella metà degli anni ’90 erano molti e loro, a mio avviso, hanno dato una svolta al classico concetto di musica elettronica, sdoganando il genere e rendendolo fruibile alla massa.
L’arena del Campovolo a Reggio Emilia si è riempita poco alla volta, ma quando è scattata l’ora x (con l’apertura affidata al rapper Salmo) si è tutto trasformato.
Poco dopo le 22 i Prodigy sono saliti sul palco, e la prima constatazione è che nonostante l’età (tutti i componenti sono alla soglia dei cinquant’anni) il loro fuoco non ha subito battute d’arresto.
Il pubblico è stato messo a proprio agio e questi omoni, nonostante qualche ruga o qualche chilo in più, hanno dato il via ad un vero e proprio spettacolo, concezione che al giorno d’oggi manca decisamente nei live di artisti più giovani e più in voga.
Potenza e calore sono assolutamente i due aggettivi che meglio descrivono l’inizio di quello che è stato un grande show.
Il concerto si è aperto alla grande con ‘Breathe‘, uno dei maggiori successi della band britannica: aprire con questo pezzo è stata la scelta più azzeccata, perché oltre a permettere ai presenti di entrare subito “nell’atmosfera-Prodigy”, si è dato modo di ripercorrere ai fan trentenni il periodo in cui con le cuffie si usciva da scuola scuotendo la testa come se non ci fosse un domani.
Una menzione particolare va ai musicisti che supportano live i tre membri della band (basso, chitarra e batteria), che hanno assorbito completamente quello che è lo spirito dei Prodigy riuscendo ad integrarsi in un tutt’uno armonioso ed impattante.
Il concerto è stato un susseguirsi di canzoni vecchie e nuove, da ‘Nasty‘ ad ‘Omen‘, senza tralasciare successi quale ‘Firestarter‘, suonata in chiave più minimal ma non per questo meno dirompente ai timpani.
Man mano che il concerto è andato avanti, l’energia è salita sempre più in un clima surreale, portando il pubblico (vasto sia dal punto di vista anagrafico che di personalità) ad un coinvolgimento totale: il centro dell’arena sotto il palco si è mosso uniforme in un pogo incessante.
Tra un pezzo e l’altro non c’è stata sosta, ed il ritmo continuo sicuramente ha permesso di non annoiarsi.
Il clou si è avuto verso la fine del concerto con ‘Smack My Bitch Up‘: il pezzo non ha fatto in tempo ad iniziare che il pubblico è totalmente esploso.
Non si è fatto in tempo di rendersi conto del vortice al quale si è assistito che la band ha chiuso la serata alla soglia della mezzanotte, sulle note di ‘Take Me To The Hospital‘.
Considerazioni personali?
E’ stato bello vedere come una band che è nella scena musicale da oltre vent’anni sia riuscita a racchiudere in un unico luogo sia il ventenne (che nemmeno era nato all’apice del loro successo) che il quarantenne (che con quella musica ha iniziato ad andare in discoteca o ai festival).
A corredo del live, un insieme di luci, suoni e colori che ho visto ben poche volte durante i concerti: spero che i loro prossimi 20 anni di carriera siano ancora così.