Elettricità nell’aria: The Pains Of Being Pure At Heart a Marina di Ravenna (RA)
I The Pains Of Being Pure At Heart suonano all’Hana-Bi di Marina di Ravenna per la terza volta e prresentano la nuova formazione che accompagna il tour europeo.
Nella fattispecie, la nuova incarnazione del sogno indie-pop del cantante americano Kip Berman si avvale di ben due componenti dei Fear of Men, la delicata band di Brighton, che con una manciata di demo, sette e dodici pollici e un recente album è diventata in pochissimo tempo un piccolo culto degli scienziati della indie-nicchia.
Un po’ come lo erano stati i Pains a suo tempo, rivelazione della Cloudberry Records sul cui trionfo il produttore Roque Ruiz aveva fortemente scommesso assieme al cantautore svedese Twiggy, che purtroppo/fortunatamente è stato sublimato in una dimensione alternativa allo stato di pura leggenda.
Me lo ricordo il primo live dei Pains, proprio all’Hana-Bi.
Si respirava elettricità nell’aria.
Pioveva sopra la tettoia del locale: mi ero fatto autografare la copia dell’album e alcune gocce giocarono a confondere la dedica scarabocchiata sulla facciata del disco.
L’energia dello shoegaze più energico unita all’urgenza emozionale e creativa dell’adolescenza.
Questa band di New York – che sembrava quasi costruita a tavolino per l’attinenza perfetta ai canoni estetico-antropologici della nuova scena noise-pop – più di ogni altra aveva saputo coniugare la forza del power-pop più distorto ed energetico della tradizione americana alla versione pocket-book delle tematiche neo-romantico adolescenziali sospese tra cameretta e night club. Le poche ingenuità e insicurezze dei primi live erano ripagate dalla scoperta e consapevolezza di un energia crescente condivisa con i fan, generosa, in grado di regalare quasi l’impressione di esserci trovati davanti a nuovi Blur in erba.
Tanti live sono passati sotto la tettoia dell’Hana-Bi, il tempo è passato velocemente.
Il suono si è assestato su versante decisamente più pop in modo ponderato.
Mentre il secondo album del gruppo segnava un periodo di transizione, la pubblicazione di Days of Abandon (a cinque anni dall’esordio per Slumberland Records) vede una totale reinvenzione della band per l’idea di un album più melodico e ricercato, in termini di backgroround alternativo a tratti quasi «colto».
Fortunatamente l’ultimo live all’Hana-Bi ha preservato molta dell’energia che animava le origini del gruppo, tanto che mi sono ritrovato a a saltare, ballare e pogare dall’inizio alla fine con amici presi a sostenere anche la nuova formazione nel rivivere veri e propri inni da club in grado di farci sentire per una notte una grande famiglia disfunzionale.
Storico l’appuntamento live nella location l’edizione precedente, dove a causa di uno smarrimento nella giungla ravennate delle acerbe e indissime Vivian Girl finirono a suonare dopo la band di Kip senza neanche l’ausilio di un soundcheck.
Questa volta le danze sono state aperte dalle Fear Of Men.
Se dai primi lavori in studio possono erroneamente apparire come la versione sgonfia più raffazzonata dei Cranberries (ma con maggiore spessore poetico) dal vivo il gruppo è stato in grado di regalare maggiori emozioni.
Il merito va ad un sound vitale e ricco di reminescenze ad altri gruppi della scena alternativa pop degli anni ottanta, uno su tutti gli Smiths.
I brani presentati non si sono discostati troppo tra loro per idea di struttura del pezzo e utilizzo di suoni e strumenti.
La forza di una band dalla formazione classica traeva forza da un’atmosfera sinuosa dalle velate tinte darkeggianti, accarezzando reverenzialmente epigoni del calibro di Young Marble Giants e i Marine Girls.
I Fear hanno però regalato un gustoso finale a pieno pedale con una coda acida e potente in odore di post-rock. Jessica Weiss passa da chitarra a tastiera Roland Gaia prontissima all’abuso ipnotico di arpeggiator.
Il live si apre e si chiude – prima di un lunghissimo bis – con Kip che incontra il suo pubblico armato di sole sei corde.
Deve essere un’altra nuova moda indie assieme a quella di leggere libri ai concerti e chiedere al pubblico di non scattare foto, fortunatamente costume per ora estraneo ai Pains.
Ma tanto a che serve un simile paletto?
Eravamo ancora tutti impegnati a scuoterci e saltare quando, come una sola voce, cantavamo in coro «and this love is fucking right».
La band era cambiata, ma il sogno era rimasto lo stesso.
Al prossimo live Kip e soci.