A metà tra una cover band e un progetto in via di esplosione: Poison Garden live a Roma
Il 2 agosto mi trovo per caso al Circolo degli Illuminati, a Roma.
E’ sabato, ho appuntamento con alcuni amici e veniamo accolti da un curioso odore di incenso, mentre sulle bancarelle degli espositori sono disposti orologi da tasca e strani marchingegni, occhiali da aviatore e corpetti di cuoio con incastonati bulloni da ferrovia.
Il Subbacultcha, una delle più importanti crew di organizzazione di stampo rock e attenta alle sottoculture più interessanti, ha messo in piedi una colossale macchina a vapore per portarci in un retrofuturistico steam punk.
Per chi non lo sapesse, il termine steam punk è identificativo di tutta quella corrente di moda e scrittura, accessori, libri e ambientazioni per giochi di ruolo in cui si sviluppa una distopia tra l’età dell’Inghilterra vittoriana e un vertiginoso sviluppo della tecnologia: si hanno quindi tute da meccanico e tube ottocentesche, cuffie da signora e ventagli ornati da ingranaggi e bulloni.
E poi, tazze da the, chimica e alchimia che si scontrano con la fantascienza fiabesca in un chiaro mood da libro come “Viaggio sulla Luna” o “20.000 leghe sotto i mari”.
Con un evento del genere non poteva mancare una delle band di punta di questo mondo ibrido e meccanico: i Poison Garden.
Ma che musica immaginiamo, quando immaginiamo il mondo attraverso gli occhi di un ragazzo dell’ottocento che sogna macchine volanti e robot?
Lo vedremo subito.
Non solo lo sentiremo, lo vedremo davvero: i Poison Garden infatti si presentano sul palco arredato per l’occasione come un salotto pieno di alambicchi e sedie di pelle. La scenografia è uno scorcio di un’immaginifica Parigi con zeppelin che la sorvolano.
Mentre un professore vestito come se fosse uscito dal Gabinetto del dottor Calligari armeggia con provette e tomi polverosi,
un aviatore aggiusta con un’enorme chiave inglese i componenti della batteria e la cantante sorseggia serafica una tazza di ottimo the, in sottofondo parte un crescendo di violini e ticchettare di orologi.
Imbracciati gli strumenti, i nostri propongono un sonoro e sincero Hard’n’Heavy… che si rivela essere una cover di Wim Martens, ‘Struggle for pleasure’, ma come se la suonasse Malmsteen.
La voce impostata e calda della cantante-bassista, in un completino di sbuffi e cinghie di cuoio che non lascia nulla all’immaginazione, sorprende e convince, sopratutto per delle piccole sfuriate in growl che uno non si aspetta da una lady vittoriana armata di cilindro e ombrellino imbullonato parasole.
Il concerto si sviluppa tra teatralità e metal orecchiabile e sfumature dark, con il loro pezzo di punta: ‘Days of steam’, che richiama alla mente viaggi a bordo di aereonavi e gli esperimenti di Tesla.
Ma la band, così come le innumerevoli avventure che un mondo come quello mosso da vapore e sogni di un futuro passato può proporre, non si prodiga solo nel far ballare la platea totalmente rapita e conquistata:
Madame Anais Noir (la cantante) si siede, e battendo i tasti di una vecchia Olivetti, scrive una lettera che, magia della scienza e del caso, può rompere le barriere del tempo e dello spazio e arrivare al proprio innamorato lontano negli eoni del vortice del tempo.
Piano piano i suono ticchettante della macchina da scrivere vengono sostituiti da tasti di pianoforte: una ballad che può conquistare gli amanti dei My Chemical Romance come i più epici tamarroni da Blind Guardian.
Esplode il doppio pedale del batterista-aviatore, che pesta come se dovesse riparare una locomotiva, mentre il professore offre al pubblico shot di chissà quale mistura segreta che sta sperimentando.
La band intanto suona una versione metal pestona de ‘L’antro del re della montagna’.
Abbiamo ormai capito che lo steam punk, musicalmente, è un mischione di ere e sensazioni diverse:
Tra gli applausi, veniamo rapiti da un tripudio di cornamuse che fanno l’occhietto agli arrangiamenti degli Evanescence… per poi diventare una cover dei Misfits (‘Halloween’).
Dopo altre due o tre canzoni che ricordano viaggi in treno sospeso da magneti, enormi torri parafulmine, biblioteche sottomarine, una sorpresa unica nel suo genere: chiudono la serata con un’altra cover…che mai mi sarei aspettato.
Dopo un breve pianoforte cabarettistico che ricorda le sonorizzazioni del cinema muto, ‘Tonight Tonight’ dei The Smashing Pumpkins viene eseguita in maniera simile, all’inizio, alla cover dei Metallica della drunken ballad irlandese ‘Whisky in the jar’.
Uno non può fare a meno di muovere la testa a tempo come quando aveva tredici anni e la magliettazza dei Manowar e strillare, però, la propria adolescenza agli albori dell’alternative romantico “Toniiiiiiiiiiiiiiiiiiight!”
Mi viene in mente una citazione cinematografica che potrebbe calzare a pennello: “mai incrociare i flussi”, perchè è male.
Ebbene, incrociare in un certo mondo il dark con il metal, con il pop, con il teatro…può generare una breccia nel continium dimensionale.
I Poison Garden, invece, riescono nell’impresa.
Senza spavalderia, ma con una sincera voglia di intrattenere “a tema”.
A metà tra una cover band e un progetto in via di esplosione.
Se vi capita cercate una loro serata, ma fatelo quando sarete particolarmente propensi alla non ortodossia musicale di genere scuro, e quando vi sentite pronti a mettervi degli occhialoni sperando di non finire fulminati dall’ennesimo esperimento del Professor X.
Ne varrà la pena.
Come ne vale sempre quando trovi un vecchio progetto di un antico inventore e ti viene il ghiribizzo di realizzarlo per partire verso una grande avventura.