Ricerca e sperimentazione noise: EMA e Colleen Green a Marina di Ravenna (Ra)
a cura di Mark Zonda
Le cantanti americane Colleen Green ed Erika M. Anderson (in arte EMA), si sono recentemente esibite sotto la mitica tettoia dell’Hana-Bi, la spiaggia di Marina di Ravenna più ambita dai cantanti indie di oltre oceano.
Considerando la velocità supersonica a cui si muovono le scene musicali possiamo parlare delle due esponenti noise-folk di Boston e Sud Dakota come delle vecchie conoscenze.
Chitarre pannate, distorsioni e sostenze più o meno illegali sembrano contribuire a cristallizzare le due cantanti dall’attitudine intimamente disfunzionale in un eterno limbo proto-adolescenziale.
Mentre EMA sorseggia aperitivi assieme ai compegni di band, Coleen passeggia avanti indietro con gli immancabili occhiali da sole, inseparabili anche durante tutto il resto del concerto.
Devo confessare che ho sempre guardato con molto sospetto ai concerti di artisti che in studio fanno largo abuso di sostanze elettroniche.
Colleen Green era stata la molla principale che mi aveva fatto attendere il concerto con particolare aspettativa.
Almeno era previsto l’uso di una chitarra anche dal vivo.
È lei ad aprire la serata.
Srcittura delle canzoni e atteggiamento da eterna ragazzina puntano tutto su melodie dirette e semplicità di barrè trascinati da un polo all’altro del manico della chitarra elettrica, con ballate rock sostenute a volte da una drum machine vintage incastrata sullo stesso tempo, come un televisore fissato sullo stesso canale a cui è possibile soltanto aggiustare qualche oscillazione e un po’ di rumore bianco. Non a caso, Colleen ha tributato i Ramones con una cover di I Wanna Be Sedated.
Il brano che mi sono goduto di più, indubbiamente, è Taxi Driver: forse il più orecchiabile tra gli orecchiabili, forse per mie particolari idiosincrasie e plurimi ascolti su mixtape ascoltati in macchina, uno di quei brani che ascolterei per ore all’infinito.
La nera bestiolina elettrica non uccide i nazisti.
Coloratissime letterine stile calamita del frigo compongono la scritta disordinata “H.A.P.P.Y. B.I.R.F.D.A.Y.”, come nulla importasse in un mondo dove un’eterna vacanza planetaria è costantemente all’ordine del giorno, e null’altro importasse.
Jesse Has A New Girl potrebbe essere presa come canzone manifesto dell’eroina post-punk, come ogni altra traccia proposta durante la serata.
Nella sua semplicità, Colleen riesce comunque a farsti portavoce di un pop non solo diretto e sincero, ma soprattutto pulito, nonostante distorsioni e lievi stonature, come un corto di mumble-core scandito da un giovanilistico accento americano lievemente nasale.
Con un look estemporaneo quasi più adatto ad una performance all’Eurocontest che ad un concerto in un club vicino al mare, la band di EMA si rileva presto la vera sorpresa della serata, con il crescendo tecnico e emozionale di una scaletta che ha modo di regalare all’esibizione diverse sfumature.
La valchiria a stelle e strisce osannata da Pitchfork e NME sembrava autenticamente entusiasta della sua partecipazione alla serata, in un club definito da lei stessa dopo il concerto, «il locale più figo dove suonare in Europa».
EMA è accompagnata da validissimi musicisti, fra cui spiccano un polistrumentista che si alterna tra violino elettronico e sintetizzatore, un energico batterista che non disdegna pad elettronici e una chitarrista in grado di supportare all’occorrenza la cantante con convincenti innesti vocali.
EMA presenta il suo nuovo album The Future’s Void cantando sotto la tettoia di satelliti smarriti nello spazio, un’umanità che nonostante tutto è riuscita ad ergersi contro egoismi e difficioltà innalzandosi come una divinità al di sopra dei propri limiti per entrare in contatto con un vuoto pregno di sterile ed effimera inconsistenza, dove la tecnologia si insinua come mellifluo liquido amniotico per colmare gli spazi di vuoti esistenziali sostanzialmente non troppo dissimili da quelli dipinti dal Bowie berlinese di Sons of The Silent Age.
Come le illusioni sociali che stanno tapezzando in tempo reale concretissime distopie in tutto il mondo, l’approccio di molti dei brani di EMA dal vivo risulta ancora più gradevolmente pop, a volte ’80s.
Nonostante questo è sempre presente una costante ricerca e sperimentazione noise, che indaga il rumore di fondo di suoni lanciati su effetti e distorsioni come a ricercare nell’esplosione di suoni la vibrazione perfetta, la particella di un’eco prolungata, un frammento di sogno.
Il delirio calcolato della parentesi noise lascia il posto ad una ballad con EMA lasciata sola con una scordatissima chitarra sul palco. Anche il vento le gioca contro, spostandole un ciuffo che le copre gli occhi.
Poco importa: è un momento perfetto.
Come una tempesta che si placa, l’accompagnamento solitario dà modo alla voce di EMA di fondersi con la magia del contesto marittimo, rendendo lo spettacolo ancora più coinvolgente e aprendo la strada al gran finale, come la risacca che precede l’infrangersi fragorosodelle onde sulla spiaggia.
Nel suo cuore EMA vorrebbe essere una rebel girl alla Bikini Kill, ma mimica e movenze calcolate lasciano intravedere un animo gentile.
Poco importa.
Grazie a Oculus VR ognuno sarà in grado di vedere il lato di EMA che preferisce.
Nel frattempo sono semplicemente e positivamente colpito dall’intelligenza e la capacità tecnica di un’artista che ha saputo dimostrare in modo piacevole e convincente le sue capacità anche nella dimensione live, uscendo dalla sua tecnogabbia virtuale per abbracciare empaticamente i fan.
Muscoli, cuore e sudore battono ancora Second Life.
Almeno a questo giro.
Il video della serata?
Lo trovi qui.